Città 30: e anziani e disabili?

Dopo aver visto che le “città 30” non limitano la libertà di nessuno e che i lavoratori possono continuare ad usare l’auto per le loro esigenze, affrontiamo l’obiezione di chi si preoccupa per anziani, disabili o persone a mobilità limitata che ora sono obbligati ad usare un mezzo motorizzato.

Le bici non possono essere un mezzo per tutti (anche se esistono tricicli, bici reclinanti ecc.), ma d’altronde nemmeno le auto lo sono, ad esempio per chi è sotto i 18 anni o per chi non è riuscito a prendere o rinnovare la patente, o semplicemente per i tanti cittadini che non se la possono permettere. Nelle “città 30” non si chiude nessuna strada: chi vuole o non può fare diversamente può continuare ad usare l’auto.

Il fatto è che anche chi riesce a guidare senza problemi oggi è sempre più in difficoltà a districarsi nel caotico traffico urbano, mentre tutti gli altri sono fortemente limitati nella mobilità proprio per la pericolosità delle strade, a prescindere dall’età anagrafica o dalle condizioni di salute. E così succede che il 50% dei pedoni e ciclisti uccisi ha oltre 65 anni (dati ASAPS): saranno spericolati avventurieri delle strisce pedonali, o cittadini magari un po’ più fragili a cui non viene perdonata alcuna esitazione?

Quindi siamo tutti costretti “per paura” a portare i nonni a fare qualsiasi commissione o attività sociale, ignorando che bici, tricicli e carrozzelle elettriche sarebbero un’ottima soluzione di autonomia se ci fosse una infrastruttura ciclabile sicura in un contesto di 30kmh. Tra l’altro questo permetterebbe loro il vantaggio extra di una moderata attività fisica quotidiana e la soddisfazione per non essere “di peso” ai parenti. E’ la stessa infrastruttura che permetterebbe ai ragazzi di essere autonomi e non obbligare i genitori a perdere un’ora al giorno per i tragitti casa/scuola (o casa/palestra!).

La popolazione sta velocemente invecchiando e le città moderne si stanno configurando come delle prigioni per le persone a limitata mobilità, sempre più confinati in casa o al massimo in zone delimitate come parchetti o centri commerciali. I nostri anziani sono sempre andati da soli in Piazza Grande, gli adolescenti a studiare da un amico in bici, e le persone con limitate capacità motorie amano essere indipendenti. Perché non ripensare una città a loro misura?

Nella prossima puntata l’obiezione “volete che torniamo all’età della pietra?”.

Da #restiamoacasa a #restiamovivi

Dopo il lockdown, che ci ha confinato nelle nostre case, è arrivato il tempo di  esercitare una libertà attenta e consapevole, il tempo della responsabilità personale

C’è stato un tempo (non molto lontano e forse non ancora finito) in cui, per amore o per forza, ci siamo tutti chiusi in casa. Lo chiamano lockdowm, che suona un po’ più misterioso ed elegante di “confinamento, isolamento, blocco”. Eppure di questo si tratta.

Lo abbiamo fatto di buon grado, ed era giusto farlo. Come dimenticare alcune immagini che saranno storia del nostro secolo, storia del mondo: medici e infermieri stremati, metropoli deserte, arcobaleni alle finestre, saluti un po’ straniti dai balconi. In quei giorni suonavano veramente stonate e fuori luogo le domande del tipo: “… ma quando potrò andare in giro con la mia bicicletta? E la mia corsetta nel parco? ”. Suonavano così stonate che addirittura avevano suscitato un fenomeno altrettanto inquietante per il motivo contrario: i delatori, le spie di quelli che mettevano il naso fuori casa anche solo per arrivare all’edicola, gli eserciti schierati contro innocui (benché “colpevoli”) camminatori solitari.

Poi arriva la fase due, quella della “convivenza con il virus”. Ed è una fase in cui i divieti non basteranno più. Le maglie un po’ più larghe lasceranno spazio agli abusi e alle interpretazioni “furbe”. Una fase in cui più si entra nei dettagli (congiunti, affetti stabili…) più si rischia il ridicolo e più si stimola la “creatività trasgressiva” che pare connotare – nel bene e nel male – gli italiani.

Ma forse è proprio questo il luogo comune da spezzare. In questa fase deve per forza entrare in campo qualcosa di diverso dalla semplice “obbedienza”, qualcosa che si chiama responsabilità, cura del bene comune, attenzione ai più fragili. Non “al posto dell’obbedienza”, che in qualche caso può ancora essere una virtù, ma “accanto all’obbedienza”.

Dalle istituzioni ci aspettiamo poche regole chiare, di “cornice”, con una ratio comprensibile. E interventi fattivi che facilitino la protezione individuale e il distanziamento, una mobilità alternativa (ciclabili ovunque, bonus per l’acquisto o la riparazione di biciclette), aiuti economici a chi non ce la fa.

È un tempo in cui non ci vergogniamo più di fare – garbatamente – delle domande: che ne è dei bambini e dei loro diritti? Si può pensare a delle modalità “estive” di scuola all’aperto, per far sì che i bimbi abbiano l’opportunità di rivedere i loro compagni di asilo, di scuola? Che società ha in mente chi dice: isoliamo solo gli anziani, per “proteggerli” e tutti gli altri continuino a fare i fatti loro (quando la maggior parte dei morti anziani era proprio nelle case “protette”)? E così via…

È tempo di aggiornare gli hashtag. Da #restiamoacasa, a #restiamovivi, dotati di senso critico, solidali e connessi. Cominciamo a considerarci, a partire da noi stessi, non bimbi che fanno la marachella per fregare i vigili ma persone adulte, in grado di adottare comportamenti virtuosi.

Attenzione però, niente sconti né furbate quando si parla di responsabilità. Bisogna farlo davvero! Per se stessi e per gli altri. Esercitando una libertà attenta e consapevole.

Se no ci toccherà tornare tutti “in castigo”, e temo che la seconda volta avremo meno voglia di fare pizze e sventolare arcobaleni.

Mirella Tassoni

Perché serve una rete ciclabile d’emergenza

Facile da attivare, richiede solo pochi interventi sulla segnaletica e offre una valida alternativa all’uso dell’auto, particolarmente importante in questo periodo

Una recente ricerca di Ilvo Diamanti ha ben descritto come l’epidemia ci abbia “sbattuto in faccia” le diseguaglianze sociali e abbia contemporaneamente fatto crescere l’autostima collettiva degli italiani. Con un nuovo clima solidale i cittadini hanno mostrato la loro parte migliore e questo è uno straordinario momento per una redistribuzione delle risorse che riequilibri il Paese.

Purtroppo, appena si sono reperite risorse pubbliche eccezionali per affrontare la crisi, è iniziato un “assalto alla diligenza” e le categorie più forti ed organizzate rischiano di sottrarre anche le briciole ai più deboli.

Si prefigura una situazione simile anche nella distribuzione dello spazio pubblico: per il distanziamento tra le persone aumenteranno le auto con un solo passeggero e il numero complessivo dei mezzi pubblici circolanti, cresceranno le occupazioni di suolo di bar e ristoranti. Contemporaneamente i pedoni dovranno mantenere una distanza di sicurezza di 1,5 metri, che per i ciclisti diventano addirittura 10, anche se pedalano sotto i 14,4 km/h.

Spetta a chi amministra le città il compito di sfruttare questo momento di clima solidale per riequilibrare il dannoso predominio delle auto, che hanno intossicato i nostri polmoni e hanno sottratto lo spazio pubblico alle relazioni sociali, che in questi mesi ci sono mancate.

FIAB ha proposto ai Comuni della provincia la realizzazione di una Rete ciclabile d’emergenza con due scopi precisi: offrire ai cittadini una valida alternativa all’uso dell’auto se non strettamente necessaria e liberare i margini esterni della strada per i pedoni, ora costretti a camminare tra infiniti ostacoli (gradini, crepe, pali, armadietti di impianti semaforici e telefonici, cavalletti di pubblicità e giornali, transenne e radici affioranti) e stretti tra muri, ciclisti e auto in sosta.

Per Modena e Carpi abbiamo proposto i percorsi più interessanti con soluzioni facilmente attuabili e già largamente utilizzate in altre città italiane ed europee, con interventi reversibili e realizzabili con la sola segnaletica, perciò con costi complessivi ridotti.

Gli itinerari scelti sono quelli che connettono le principali zone residenziali con i poli di attrazione di traffico come: le stazioni, i parcheggi di interscambio, i centri direzionali, produttivi e scolastici dei centri urbani non ancora serviti. Laddove le corsie stradali sono sovradimensionate, si è proposto di destinare una parte della carreggiata alle biciclette, con corsie ciclabili monodirezionali.

Nei centri storici e nelle zone residenziali abbiamo proposto la moderazione della velocità a 30 km/h. che permette la convivenza sicura tra tutti gli utenti della strada senza bisogno di infrastrutture aggiuntive.

In questi mesi il pericolo per la salute ci ha mostrato quali siano le cose che contano veramente, rendendoci più solidali nel cercare di risolvere i problemi della comunità. È un momento favorevole per chi ha progetti per il futuro in grado di affrontare i problemi che avvelenano la nostra vita quotidiana e schiacciano i più indifesi. Ora spetta a chi ci amministra di avere una visione per il futuro e agire di conseguenza.
Se non ora quando?

Giorgio Castelli

Bici, tempo e portafoglio

Basta fare un po’ di conti: nei confronti dell’automobile, la bici è molto competitiva sia in termini di tempi di spostamento che in termini di spesa

Siamo in crisi economica da tempo; prima la crisi del 2008, adesso il coronavirus con le conseguenze che ancora non siamo in grado di prevedere; ci rialzeremo a fatica, più poveri e certamente non ai primi posti in Europa.

Eppure con 62 auto ogni 100 abitanti abbiamo il maggior indice di motorizzazione in Europa (Germania 55, Spagna 49, Francia e Regno Unito 47); è poi così vero che l’automobile costa un sacco di soldi?

Ci viene in aiuto la Regione Emilia Romagna che, nelle sue linee guida sulla ciclabilità, ci fa sapere che l’auto, fra acquisto, ammortamento, manutenzione ed altro costa in media 7.000 €/anno, più di un terzo del reddito medio disponibile, che è di 20.000 €/anno; la Regione affina lo studio nella città di Bologna ove vi sono 511 auto ogni 1000 abitanti e 512 lavoratori ogni 1000 abitanti; ne deriva che a Bologna ogni lavoratore destina più di un terzo del proprio guadagno al mantenimento dell’auto; se in una famiglia vi sono due lavoratori questa cifra rasenta l’assurdo.

Ma oltre al denaro quanto tempo ci costa l’auto? Uno studio fatto negli U.S. ci dice che fra andare a prendere l’auto, viaggiare, parcheggiare, pagare bollo e assicurazione, fare manutenzione, lavorare per mantenerla ecc. si impiegano mediamente 1.600 ore/anno; poiché percorriamo in media 12.000 km/anno sarebbe come se ci muovessimo alla velocità di 7,5 km/h; se andassimo di buon passo otterremmo lo stesso risultato.

Quando facciamo il pieno non ci rendiamo conto di buttare i soldi dalla finestra; il rendimento del motore è al massimo del 40 % e quindi, quando mettiamo 50 € di benzina, 30 € si disperdono inquinando l’aria e solo 20 € servono davvero a muovere l’auto; se l’auto pesa 1.500 kg e noi 75, dei 20 € rimasti 19 € servono a spostare l’auto e solo 1 € serve per spostare noi stessi; spendiamo 50 € per utilizzarne davvero solo 1!

Certo non potevamo trovare niente di meno efficiente per i nostri spostamenti quotidiani!

Visto che il mondo è cambiato, proviamo anche noi a cambiare; se in famiglia abbiamo due auto proviamo a fare a meno di una, anche perché il 50 % degli spostamenti fatti in auto sono sotto i 2 km e la bicicletta è il miglior mezzo per muoverci in ambito urbano; organizziamoci con gli altri familiari e utilizzi l’auto solo chi ne ha davvero bisogno, pensiamo alla cargo-bike, magari elettrica, per fare la spesa o per portare i bimbi a scuola; stimoliamo i nostri figli a muoversi a piedi o in bicicletta, ne avranno un enorme vantaggio. Rinunciando all’auto e andando a piedi o in bicicletta faremo più esercizio fisico, perderemo peso, avremo più tempo libero e risparmieremo un sacco di soldi, compresi quelli della palestra dove andiamo in auto per fare spinning.

Piero Busso

A scuola, al lavoro andiamo in bici!

FIAB Modena da sempre sostiene campagne per la diffusione della bicicletta come mezzo di spostamento per andare al lavoro e per andare a scuola. A Modena è partner del progetto Bike to work promosso dal Comune di Modena. Assieme al Comune di Fiorano Modenese ha realizzato la campagna “M’illumino di più”, per informare i lavoratori su come andare al lavoro in bici, ma in sicurezza.

Ora più che mai il tema si propone come essenziale strategia per risolvere i problemi di spostamento che l’emergenza COVID 19 inevitabilmente ci costringerà ad affrontare: rispetto del distanziamento, difficoltà di utilizzo del trasporto pubblico, ulteriore congestione del traffico qualora la nostra risposta fosse solo l’auto privata.

Urge quindi che le nostre amministrazioni si affrettino a predisporre dei percorsi adeguati per raggiungere più velocemente e in sicurezza i luoghi i lavoro e soprattutto i poli scolastici.

Bici elettrica, monopattini, cargo-bike potranno esserci d’aiuto anche sulle distanze un po’ più lunghe? Se ci proviamo potremmo accorgerci che in bici o a piedi raggiungeremo le nostre destinazioni quasi nello stesso tempo, guadagnandoci in salute, benessere e… portafoglio. Proviamoci!

Paola Busani

La normalità dell’eccezione

Ho avuto, anche nei giorni di quarantena, la possibilità di uscire tutti i giorni e mi sono considerato un privilegiato. Mi sono goduto le strade irrealmente libere e silenziose con la mia bicicletta, a cominciare dal momento in cui aprendo le finestre al mattino ho sentito entrare aria che non sapeva più di gas di scarico. Non ho neppure, per la prima volta in 40 anni, sofferto della mia allergia primaverile!

Modena è una piccola città, gli spostamenti sono raramente oltre i 5 Km, bisogna abitare in una frazione o in qualche comune limitrofo per andare oltre, e in questi casi parliamo poi di 7, 10 Km al massimo. Non occorre essere atleti, io che non sono certo un ciclista allenato, anche se abituato ad usare la bici, facendo alcune prove banali con il gps del telefono mi sono accorto, con sorpresa, di avere rilevate percorrenze con velocità medie di 18/19 Km/h. Ammettiamo pure che si viaggi a 15 Km di media, per fare 5 Km occorrono poco più di 20 minuti, parcheggio compreso! Se poi si usa una bicicletta a pedalata assistita le velocità medie aumentano ed il rischio di arrivare in ufficio sudati sparisce. In auto le medie sono attorno ai 30 Km ora, che diminuiscono ulteriormente nelle ore di punta; se poi aggiungiamo il tempo che spesso si perde a cercare parcheggio, l’auto risulta sicuramente penalizzata nel rapporto tra distanza e tempo impiegato per spostarsi in città. Pensando a quanto ci costa tutto ciò in denaro, tempo sprecato e salute persa, diventa eclatante quanto poco conveniente ed efficiente risulti l’auto in ambito urbano.

Quindi, perché questo non potrebbe diventare normalità ? Perché invece di metterci in colonna con l’auto non proviamo ad usare la bici, o le gambe, per andare al lavoro, a muoverci con calma, goderci la nostra città, viverla, fare acquisti nei negozi di quartiere, fermarci a fare due chiacchiere con un conoscente che non avremmo neppure visto passando in auto?

L’approccio con la città vista attraverso la bicicletta è empatico. Non siamo costretti a subire la strada ed il traffico, possiamo decidere percorsi alternativi senza dover forzatamente preoccuparci di dove parcheggiare. Non si tratta solo di un modo di spostarsi, ma di vivere la città sempre, tutti i giorni, di non avere quartieri residenziali ridotti a dormitori, di non dover sentire la necessità di scappare il fine settimana per sentirsi vivi.

Eugenio Carretti

Ripartire, ma non a costo della salute

La mobilità attiva ciclo-pedonale è un vero e proprio farmaco: per le persone, contrastando le patologie legate alla sedentarietà, e per l’ambiente, riducendo le emissioni di gas nocivi

La Pianura Padana è una delle regioni più inquinate d’Europa e la ripresa delle attività produttive e della libera circolazione, rischia di portarci a livelli di inquinamento anche superiori a quelli precedenti .

Questo è preoccupante se consideriamo il contesto nazionale (l’Italia è il Paese con uno dei più alti tassi di motorizzazione a livello europeo) e locale (a Modena il 45% degli spostamenti nel contesto urbano avviene con l’automobile per distanze inferiori a 2,5 km) .
Come Associazione di Medici impegnati per la tutela della Salute e dell’Ambiente sottolineiamo quanto pesanti siano le ripercussioni per la salute di un tale scenario .

L’Agenzia Europea per l’Ambiente riporta che nella sola Italia ogni anno muoiono circa 80.000 (ottantamila!) persone per le polveri sottili.
L’inquinamento atmosferico è anche il principale responsabile dell’emergenza climatica, che sta minacciando direttamente e indirettamente la sopravvivenza della specie.

Ma questi numeri, noti da tempo, non destano la stessa preoccupazione e, conseguentemente, l’urgenza di azioni di contrasto, che ha suscitato la pandemia da COVID-19.

È ampiamente dimostrato il ruolo dell’inquinamento atmosferico nell’insorgenza di gravi patologie croniche polmonari, cardiovascolari e neoplastiche. Queste patologie, fortemente diffuse nei paesi occidentali ed in particolar modo tra la popolazione anziana, sono tra le prime cause di mortalità e morbosità e vedono come corresponsabile la sedentarietà. L’evitarla consentirebbe di ridurre significativamente l’incidenza di quelle stesse patologie croniche favorite dall’inquinamento: obesità, dislipidemia, diabete, ipertensione, patologie cerebro-cardiovascolari (come ictus ed infarti), polmonari croniche e tumorali.

Tutto questo a costo zero, anzi con un ingente risparmio in termini di spese per farmaci, ricoveri, prestazioni sanitarie e assistenziali in senso più ampio (pensiamo ai costi umani, sociali ed economici dell’assistenza ad un malato cronico come un diabetico in dialisi).

Si stima che 17.600 morti all’anno sarebbero facilmente prevenibili se si adottasse uno stile di vita più attivo. Il totale dei costi per l’inattività fisica per il SSN sono stimati intorno ai 12,1 miliardi di euro all’anno, pari all’8,9% della spesa totale .

Un’ulteriore e importante considerazione è che queste patologie croniche non sono solo le principali cause di morte in occidente, ma sono anche le principali co-patologie che determinano la “fragilità” (frailty), cioè una diminuzione delle riserve funzionali dei vari organi e apparati, con scarsa capacità di rispondere ad eventi stressanti eccezionali, ad esempio, una grave infezione.

Questo risulta evidente dai dati di mortalità da Covid-19 concentrata in quei pazienti già “indeboliti” da una di queste co-patologie .
Sedentarietà ed inquinamento dovrebbero quindi essere in cima alla lista dei “nemici” della Salute pubblica e del Benessere della Comunità in un’ottica di medicina preventiva.

La mobilità attiva ciclo-pedonale si configura quindi come un vero e proprio farmaco ed uno strumento efficace in grado di implementare la “resilienza” (ovvero la capacità di adattarsi e resistere ad eventi negativi) a livello:

  • individuale: contrastando le patologie da inquinamento e sedentarietà
  • globale: per ridurre le emissioni gas clima-alteranti responsabili dell’emergenza climatica che secondo The Lancet sarà la principale minaccia per la salute del XXI secolo .

Per queste considerazioni, sosteniamo fermamente le proposte di ridisegnare una città che metta al centro le persone, il loro benessere e bisogni.
Quindi: città verdi, con spazi per una mobilità attiva in un contesto sicuro (zone 30) e piacevole. Questo sarà possibile solo se vi saranno scelte politiche precise e coraggiose nel non riproporre soluzioni di stimolo all’economia superate e nocive per la salute dell’ambiente e delle persone.

La crisi sanitaria globale determinata dalla pandemia da Covid-19 ha reso drammaticamente evidente come non è possibile alcuna attività economica e sociale senza la salute della popolazione.

Allo stesso modo la ricerca scientifica ci dimostra come non è, e non sarà, possibile mantenere un adeguato livello di salute della popolazione se non ci si prenderà cura anche dell’ambiente che ci ospita.

Francesco Soci
ISDE, Medici per la Salute e l’Ambiente

A scuola in bici: quella piacevole sensazione di avventura urbana

Nei racconti dei bambini tutto l’entusiasmo di chi vede nella bici uno strumento di libertà e di divertimento
Ermes Spadoni

L’anno scorso abbiamo indetto un concorso letterario tra gli studenti modenesi per capire cosa provano quando usano la bici verso scuola insieme agli amici. In uno dei temi vincitori una teenager ci raccontava che “… un mio grande dispiacere è non poter andare a scuola in bici perché abito lontano, ma io andrei in bici tutti i giorni. Sarebbe divertentissimo, mi sentirei meglio e forse anche più sveglia e pronta per la lezione; inoltre la bici è pratica e veloce. Spero che quando frequenterò la seconda o la terza media la mamma mi lascerà più libera di muovermi da sola e andare dove voglio.”
Invece purtroppo nella realtà quotidiana vediamo un andirivieni ininterrotto di genitori che accompagnano i figli alle materne, alle elementari, alle medie e, da non credere, anche alle superiori.

Ed ogni giorno ci tocca assistere al teatrino assurdo di decine di vigili urbani occupati a dover far rispettare il codice della strada davanti alle scuole, con auto che si fermano a 20 metri dal cancello scolastico salva-tutti, entro il quale i ragazzi sono finalmente al sicuro… dall’assedio delle auto dei loro stessi genitori!

Queste cattive abitudini hanno importanti implicazioni sul traffico, sul senso di sicurezza e di vivibilità delle nostre città, ma soprattutto sul percorso di crescita ed autonomia dei nostri figli. Dai temi del concorso, infatti i ragazzi dimostrano di aver capito che in bici spesso si arriva prima, più svegli, divertendosi e provando ogni giorno quella piacevole sensazione di avventura urbana che li fa sentire più “grandi”.

Quindi genitori non abbiate paura: preparatevi già dalle medie a lasciarli andare a scuola da soli, e scoprirete che i ragazzi non temono il freddo, il caldo, la strada, non useranno il telefono (devono tenere il manubrio e parlare con gli amici), faranno un po’ di ginnastica dolce tutti i giorni… e voi guadagnerete una mezz’ora di libertà in più, senza l’obbligo di fare da “taxisti”.

Ed infine noi cittadini esortiamo le amministrazioni a fare con decisione la loro parte per incentivare questa voglia di autonomia, sistemando i percorsi casa-scuola non sicuri e creando ampi spazi liberi dalle auto davanti alle scuole.

I diversi colori della mobilità sostenibile

Insegnare ad andare in bici a donne straniere: un’esperienza importante e carica emozione

Diana Altiero

Quanto tempo è passato dal primo corso che come Fiab abbiamo realizzato per insegnare alle donne straniere ad andare in bicicletta? Non so, ma ho ancora in mente l’urlo “Diaaanaaa!!!”: mi volto nella direzione dell’urlo e vedo lei che pedala da sola: dopo tanti tentativi era riuscita ad andare in bici da sola e, mentre io ero impegnata con altre persone, dopo tutto lo sforzo fatto con lei per insegnarle a stare in equilibrio sulle due ruote, l’urlo di gioia per dirmi “Ce l’ho fatta, guarda!”

Negli anni tanti sono stati i corsi a cui ho partecipato, prima come “prestatrice di manodopera” e in seguito nella loro organizzazione. Ma a me resta quello sguardo, quel grido di gioia di tante che ho visto, timide, prendere in mano una bicicletta mai vista e poi cimentarsi nel tentativo di stare in equilibrio affidandosi completamente a persone mai conosciute prima. Questo, a mio parere, dimostra il grande coraggio e la volontà di impadronirsi di un mezzo che serve per necessità negli spostamenti quotidiani di vita e di lavoro, e forse anche una strada verso un’autonomia impagabile in un Paese straniero.

Di tutte le donne che sono passate nei nostri corsi, poche sono tornate, anche solo per un certo periodo, ad aiutare a loro volta, come volontarie; delle altre non sappiamo più niente. Usano la bicicletta? Il corso è stato loro utile? Hanno poi trovato il coraggio di non fermarsi e continuare per poi affrontare la strada con una certa tranquillità?

Il “dopo corso” resta un punto interrogativo, e proprio per questo mi piacerebbe che alle 6-7 lezioni si potesse aggiungere un percorso creato da una rete di altre persone che “adottassero” le nuove cicliste e le accompagnassero per un certo tempo nella fase successiva, quella di affrontare la strada con maggiore tranquillità e sicurezza.

Mi piace immaginare che la città intera si faccia carico di accogliere e promuovere l’uso della bicicletta mettendo a disposizione spazi e persone volenterose.

Sognare è sempre ammesso! Perché non farlo?

L’aria inquinata non puzza!

Il PAIR (Piano Aria Integrato Regionale) della Regione Emilia Romagna prevede entro il 2020 una riduzione sostanziale delle emissioni inquinanti. Per arrivare a questo obiettivo è fondamentale una rigorosa “dieta del traffico”

Paola Busani

 

Come sarebbe Modena senza inquinamento dell’aria?

Apparentemente la stessa, perché l’inquinamento atmosferico purtroppo non si sente, ma se il mix di sostanze inquinanti che lo compongono puzzasse – sostanze riconosciute cancerogene dall’OMS, prodotte al 70% dal traffico veicolare – allora busseremmo indignati alla porta del sindaco chiedendo immediate soluzioni, che ci permettano di continuare a vivere nel nostro bel territorio e non dover “migrare” in cerca di un luogo meno puzzolente, dove vivere senza maschere antigas per non sentire quell’insopportabile odore che, diffuso nell’aria, arriverebbe dappertutto, anche quando, chiusi ermeticamente nelle nostre automobili, giriamo per città producendo inevitabilmente altra fastidiosa puzza.

In Italia nel 2012 ci sono stati 84.000 decessi per inquinamento dell’aria da polveri sottili (PM10). Nel 2017 a Modena abbiamo superato i limiti tollerabili di questo inquinante per ben 83 giorni, 75 invece per l’ozono durante il periodo estivo (dati Arpa): 158 giorni di “puzza” oltre la normale tollerabilità. 158 giorni durante i quali senza accorgercene abbiamo offerto ai nostri polmoni una dose non tanto omeopatica di sostanze irritanti e cancerogene.

Per questo la Regione Emilia Romagna ha predisposto un Piano Aria Integrato Regionale (PAIR), per “far scendere dal 64% all’1% la popolazione esposta a più di 35 superamenti l’anno per il PM10 e assicurare il rispetto dei valori limite degli inquinanti atmosferici sull’intero territorio emiliano-romagnolo”. Il Piano prevede “entro il 2020 una riduzione sostanziale delle emissioni inquinanti, rispetto al 2010, pari al 47% per il PM10, 36% per gli ossidi di azoto, 27% per ammoniaca e composti organici volatili, 7% per l’anidride solforosa”.

Ma il 2020 è oggi, non è più il futuro.

Per l’attuazione del Piano, è fondamentale ridurre le emissioni inquinanti derivanti dal trasporto, da qui l’esigenza improrogabile di ripensare le modalità di spostamento: la dieta del traffico.

Con coraggio i nostri amministratori devono puntare ad abbassare drasticamente la percentuale delle auto private in circolazione (-20% entro il 2020 indicava la legge regionale dell’Emilia Romagna per le città con più di 30.000 abitanti), attraverso una serie di azioni che devono “ostacolare” il mezzo privato e puntare a sviluppare le modalità di MOBILITÀ ATTIVA, a piedi, in bici e con il potenziamento del trasporto pubblico.

Il raggiungimento al 2020 del 20% degli spostamenti urbani tramite mobilità ciclabile (oggi a Modena è intorno al 10%) è un obiettivo del Piano ormai inarrivabile. Abbiamo perso tempo e soldi pubblici a costruir rotonde per fluidificare il traffico, parcheggi per intasare le strade delle nostre città e poco, ma soprattutto disorganicamente e con poca fiducia, si è investito in ciclabilità, contrariamente a quanto scelto e perseguito in tante città europee e del mondo che, come la nostra, ambiscono ad essere riconosciute come città vivibili