I punti deboli delle reti ciclabili

Quando viene chiesto a Fiab Modena un parere sulla situazione della ciclabilità modenese, nel rispondere partiamo sempre da due constatazioni: non manca la realizzazione dei chilometri ciclabili, eppure tra i cittadini che pedalano è diffusa l’insoddisfazione. Un giudizio probabilmente ancora più pesante da parte di tutte quelle persone che nemmeno ci provano, a pedalare, neanche per gli spostamenti di prossimità, tanto che in città circa il 70% dei tragitti avviene in auto, ed il 45% dei tragitti in auto sono inferiori a 2,5 km.

Eppure, in una piccola città di pianura dovrebbe essere naturale muoversi in bici per una fascia ben più ampia di residenti: perché allora tutta questa diffidenza?

Le cause sono molteplici e hanno a che vedere sia con condizioni infrastrutturali che culturali, ma secondo noi il maggior ostacolo è la paura di avere un grave incidente con un automobilista.

Nei paesi che nei decenni scorsi avevano gli stessi nostri problemi di oggi, i pianificatori della mobilità hanno capito che la sicurezza percepita di un tragitto viene stabilita dai cittadini in base al punto più debole di tutto il percorso: in sostanza puoi percorrere anche 5km di ciclabili protette, ma poi se vieni lasciato in balia del traffico anche soltanto in un incrocio, allora la sensazione di sicurezza di tutto il tragitto si abbassa notevolmente.

Facciamo un esempio nostrano: alla fine della ciclabile protetta di Viale Montecuccoli, il ciclista si ritrova senza indicazioni all’interno della rotonda con Viale Monte Kosica, una delle più congestionate di tutto il centro urbano. Quale mamma si sentirebbe tranquilla a lasciare andare a scuola un adolescente dovendo passare in quel tratto? Purtroppo, in Italia la sistemazione dei punti deboli, quelli critici in cui la soluzione di sicurezza passa necessariamente da una redistribuzione degli spazi stradali, viene spesso procrastinata per gli elevati costi o perché ha risvolti rilevanti sulla circolazione automobilistica.

È un circolo vizioso: se non si affrontano questi snodi puoi avere anche una estensione di chilometri ciclabili importante come quella modenese (ai primi posti tra le città italiane) ma è una situazione che funziona solo per chi ha già una certa solidità di ciclismo urbano, e che quindi non configura una vera e propria rete attraente per il cittadino che vorrebbe provare a cambiare abitudini.

Città30, la città che si cura degli altri.

Venerdì 8 dicembre il limite di velocità sulla maggior parte delle strade di Amsterdam diventerà a 30 km/h e le autorità stanno adeguando la segnaletica con 4.400 segnali.

Nel comunicato l’amministrazione afferma che “naturalmente ci vuole un po’ di tempo per abituarsi, soprattutto per chi guida ogni giorno. Ma nella nostra città ci piace tener conto l’uno dell’altro. Guidando un po’ più lentamente contribuisci a garantire che tutti possano muoversi in sicurezza e senza preoccupazioni nella nostra città. Ad una velocità di 30 km/h ci aspettiamo dal 20 al 30% in meno di incidenti gravi, perché la probabilità che un pedone sopravviva a un incidente è del 95%. Inoltre, il rumore del traffico sarà dimezzato e la città diventa più tranquilla e stare in fuori strada sarà più piacevole”.

Non ci sarebbe poi bisogno di tante altre spiegazioni di perché una “città 30” è una giusta prospettiva da perseguire. Un luogo in cui ogni cittadino ha cura dell’altro, si prende la responsabilità della sicurezza di chi incrocia, e perdendo solo un po’ di tempo di viaggio garantisce che le persone possano stare in sicurezza in strada, o che sia possibile gustarsi un aperitivo senza il rumore assordante a coprire la voce.

Voi penserete che per le città del nord sia facile questo passaggio, in fondo hanno una lunga tradizione di strade tranquille come nei woonerf, i quartieri in cui i pedoni hanno sempre la precedenza, le auto devono procedere a passo d’uomo e i bambini possono giocare per strada.

Eppure questa tradizione non è poi così lunga, e ce lo ricorda Jan Gehl, uno dei più influenti architetti danesi, uno dei massimi ispiratori di queste trasformazioni: “a fine anni ‘60 in tutta Europa le vecchie città venivano modernizzate con grattacieli, strade larghe, immensi parcheggi e la vita cittadina scacciata dalle strade e dalle piazze. Per reagire a questo modo di procedere sono venuto in Italia, a Lucca, Siena, Ascoli, per studiare un approccio umano nei confronti della città. È naturale che sia così dal momento che nessun altro paese al mondo potrebbe offrire una tale ricchezza di spazi urbani e una cultura più profonda dell’uso delle strade e delle piazze”.

Insomma, in 60 anni ci siamo scambiati le consuetudini. Al nord Europa hanno imparato a vivere alla mediterranea e noi invece abbiamo perseverato nel trasformare secolari luoghi di vita in corsie di transito veloce per auto. Allora in fondo, a ben vedere, la “città 30” è solo un primo passo per riprendere le nostre tradizioni e tornare a prenderci cura degli altri.

Pedalando per la città 30: manifestazione per “M’illumino di meno”

In occasione dell’evento nazionale “M’illumino di meno” che ha da sempre al centro la promozione di stili di vita sostenibili, FIAB Modena insieme alle associazioni in rete per l’inclusione e l’ambiente ARIA, organizzano una pedalata il 16 Febbraio dalle ore 18.30. Pedalando dalla Ciclofficina “Rimessa in Movimento” presso il Novi Sad, per chiedere una “Città 30” subito e per sensibilizzare sul problema dell’insicurezza stradale, transiteremo sul cavalcavia Mazzoni per raggiungere la Sacca, quartiere che sconta uno storico isolamento dal resto della città dovuto alla ferrovia.

Torniamo quindi a proporre una soluzione a basso costo, che risolva da subito il problema: riservare il ponte Mazzoni (almeno una corsia) a trasporto pubblico, pedoni e biciclette, chiudendolo alle automobili private. Si realizzerebbe così un collegamento diretto e sicuro, che in poche centinaia di metri collegherebbe la nuova zona riqualificata del Canaletto a Piazza Roma.

A Modena serve una visione di insieme: non bastano interventi puntuali e scollegati, non bastano “zone 30” sporadiche, occorre trasformare l’intera città in “città 30” e farlo in tempi rapidi. Dopo Olbia e Cesena, anche Bergamo, Torino, Bologna e solo ultima Milano, stanno avviando percorsi per diventare Città 30, nella consapevolezza che occorre trovare risorse per pianificare interventi soprattutto strutturali e non solo di segnaletica, oltre che monitorare i risultati.

Moderare la velocità come previsto dalle Città 30 non rappresenta un limite alla libera e celere circolazione di persone e merci, in quanto attualmente la velocità media all’interno di Modena è di circa 29 km/h (dati PUMS MO). L’automobile privata non è il mezzo più veloce e affidabile nei centri urbani: solo con l’intermodalità tra i vari mezzi di trasporto, quali trasporto pubblico urbano, sharing e mobilità attiva, si potrà ottenere una riduzione del tasso di motorizzazione con relativa diminuzione del traffico, della difficoltà negli spostamenti e degli agenti inquinanti, i cui livelli sono spesso oggetto di procedure di infrazione da parte della UE.

Modena ha numeri di incidentalità ed inquinamento tra i più alti in Italia: Città30 è una soluzione già attuabile, che non necessita di tecnologie ancora da sviluppare.

La violenza stradale è un enorme problema di convivenza civile perché le città auto-centriche sono luoghi in cui vale la legge del più forte, mentre noi pensiamo che si debba tornare a condividere pacificamente gli spazi pubblici. Vi aspettiamo giovedì!

Mobilità provinciale: improvvisazioni sul tema

Settimane sconfortanti per la mobilità nella nostra provincia.

Da giugno Gigetto sarà sospeso per un anno tra Formigine e Sassuolo per la costruzione del sovrappasso sulla pedemontana: sarà sostituito da autobus ma è stato confermato che non ci sarà la possibilità di portarsi dietro la bici (come si poteva fare in ferrovia). Un servizio più lento, con cambi di mezzo e con buona pace dell’ intermodalità, che facilmente indurrà parte dei passeggeri a passare all’auto privata. I disagi sono inevitabili, perché non rendere gratuito l’abbonamento nel periodo dei lavori?

A Nonantola è prevista la chiusura per qualche settimana del sottopasso scatolare della SP255 su via Maestra di Bagazzano (strada secondaria che la mattina è intasata di traffico perché viene usata dagli automobilisti come bypass della Nonantolana), e allo stesso tempo ANAS ha annunciato lavori sul Ponte di Sant’Ambrogio che sembravano prospettarne la chiusura per 6 mesi dal 1 luglio, con un conseguente, devastante aggravamento di traffico su Vignolese e Nonantolana.

Pare ora che il ponte non chiuderà: almeno non tutto, almeno non subito, ma lascia sgomenti la mancanza di coordinamento, di qualsiasi analisi sugli impatti sul traffico e di pianificazione di soluzioni alternative. FIAB ha invitato le parti in causa a considerare seriamente l’opzione di un ponte Bailey che nell’immediato permetterebbe di non interrompere il transito, e un domani diventerebbe il tassello mancante della pista ciclabile Castelfranco-Modena lungo la via Emilia. Al contempo si potrebbe dare un incentivo forte all’utilizzo del treno, con abbonamenti gratuiti sulla tratta, per alleggerire il traffico automobilistico (al momento un abbonamento mensile costa 39 euro, 5 euro invece per una corsa andata-ritorno per un adulto). Finora nessun riscontro ufficiale.

Improvvisazione? “Altre priorità” che rendono la mobilità un tema di “serie b”? E non diteci che non ci sono soldi. In Germania per contrastare il caro-carburanti e l’inquinamento è stato inaugurato un abbonamento mensile che copre tutto il trasporto pubblico locale su tutto il territorio nazionale a 9 euro, per i 3 mesi d’estate: treni locali, bus, tram, traghetti, metro. Meno di due viaggi andata ritorno Modena-Castelfranco o Modena-Carpi: qui da noi sembra fantascienza. Investimento del governo tedesco: 2 miliardi di euro. Gli stessi 2 miliardi di euro di “ecobonus” che il nostro governo ha destinato a finanziare l’acquisto di automobili. I soldi ci sono, ma vengono spesi malissimo. Qui è la visione che manca.

Via Vignolese: o bici o auto? 

Dopo il secondo incidente grave in poche settimane, un lettore ha scritto ad un giornale locale: “in via Vignolese c’è un grosso problema di convivenza con le due ruote. Questa strada non ha ciclabili, quindi i casi sono due: o si creano le ciclabili o si vietano le bici.”

Analisi perfetta, ma è stata esclusa una soluzione: si tolgono le auto. È una provocazione, anche se in tanti paesi europei sarebbe presa in seria considerazione.

Per prevenire molti incidenti basterebbe circolare più piano, non sorpassare i ciclisti così vicino da colpirli con il retrovisore, o non parcheggiare un furgoncino a mezza carreggiata, ma è vero che in quella strada la convivenza è problematica.

Come diverse arterie storiche che dal centro portano in periferia, anche via Vignolese è diventata nel tempo una strada densamente abitata e con un diffuso commercio locale, il che mal si concilia con la funzione di strada di scorrimento che ha assunto nella seconda metà del ‘900. Viste le dimensioni che in diversi punti non permettono la costruzione di ciclabili separate e marciapiedi a norma, sarebbe ora di prendere atto che gli attuali flussi di traffico degradano e rendono invivibili tali direttrici ormai diventate strade di quartiere: bisogna restituire loro una conformazione che senza vietare il traffico automobilistico lo renda secondario rispetto a pedonalità e ciclabilità.

Si possono usare metodi consolidati (restringimenti, riordino delle soste, sensi unici) o sperimentare le strade urbane a priorità ciclabile E-bis introdotte nel Codice della Strada nel 2020. Così si renderebbe la convivenza non solo possibile, ma vantaggiosa per tutti i cittadini.

 

Corsie ciclabili: uno strumento innovativo spiegato poco e male

Come era prevedibile, l’introduzione di tre corsie ciclabili in città è diventata la causa di tutti i mali della mobilità modenese. Ovviamente non è così.

Il Codice della strada da due indicazioni ai ciclisti e agli automobilisti:
•  i veicoli sprovvisti di motore devono stare “il più vicino possibile al margine destro della strada”
• “il conducente di un autoveicolo che effettui il sorpasso di un velocipede è tenuto ad usare particolari cautele al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza, in considerazione della minore stabilità e della probabilità di ondeggiamenti e deviazioni da parte del velocipede stesso”.

Per facilitare questi ragionevoli comportamenti, le recenti modifiche al Codice hanno introdotto le “corsie ciclabili”, da realizzare con semplici linee tratteggiate, con la finalità di segnalare lo spazio per i ciclisti e indurre gli automobilisti ad usare nel sorpasso le cautele necessarie ad assicurare “una maggiore distanza laterale di sicurezza”.

Alla FIAB, appare pertanto del tutto fuori luogo parlare di provvedimenti temporanei o di emergenza e meno ancora di “ciclabilità spinta” o addirittura di “sindrome da ciclabile”. La vera emergenza a Modena è il livello della mobilità automobilistica privata, non sicuramente quella della presenza di spazi ciclabili. Rimane purtroppo sullo sfondo l’evidente disinteresse politico per il benessere ambientale dei modenesi, che subiscono quotidianamente il traffico parassitario di attraversamento della città, essendo ancora più conveniente passare per i viali o per il cavalcavia Mazzoni che praticare soluzioni più esterne.

A Modena, nonostante le insistenti richieste della FIAB, le corsie ciclabili sono state realizzate senza una preventiva comunicazione ai cittadini e senza azioni di accompagnamento e di controllo da parte della Polizia Locale. Si sono così diffuse perplessità derivanti dalla cattiva informazione e hanno avuto gioco facile pretestuose critiche di chi considera i pedoni e i ciclisti “utenti incongrui” della strada e gli automobilisti che si devono “immolare” sulla carreggiata opposta.

Vi sono stati anche alcune sottovalutazioni nella progettazione, perlopiù derivanti dalla mancata riorganizzazione della sosta e degli incroci.

È il caso di via Emilia Ovest, dove è stata realizzata una corsia ciclabile verso la Madonnina per regolarizzare la storica pista ciclabile che, da Codice, poteva essere percorsa solo in direzione centro. In alternativa poteva essere adeguata la ciclabile bidirezionale da un solo lato della strada alle dimensioni minime di legge 2,5mt + 0,50 di cordolo: ma sempre 3 metri di carreggiata erano necessari.

In via Tagliazucchi, dove da anni la FIAB registra centinaia di studenti e lavoratori in bici che la percorrono nelle ore di punta, le nuove corsie hanno delimitato lo spazio alla destra da sempre usato dai ciclisti ed hanno riaffermato la loro precedenza: in quel breve tratto di strada le auto devono accodarsi ed attendere di avere spazio per il sorpasso. Da codice era così anche prima, a meno che i sorpassi non fossero effettuati contravvenendo alla norma.

E’ molto simile anche il tratto più stretto di via Morane, quello tra Via Sigonio e il passaggio a livello, dove si è persa l’occasione per ridisegnare complessivamente gli spazi assegnati ai pedoni e ai ciclisti e rendere maggiormente vivibile e sicura questa arteria che ha visto, già diversi incidenti mortali, di pedoni e i ciclisti.

In alternativa, il nuovo Codice prevede sempre la possibilità di realizzare una strada urbana ad unica carreggiata a 30Km/h con priorità ciclabile.

Le situazioni sono come al solito complesse e toccano esigenze contrastanti: ma è dovere degli amministratori coinvolgere preventivamente tutti gli attori, motivare apertamente le scelte, accompagnarle con la comunicazione, avendo il coraggio anche di correggere eventuali errori.

La FIAB, come al solito, è a disposizione di tutta la comunità per dare il proprio costruttivo contributo, per passare da quella che è una città a misura di auto ad una a misura di persone.

Attraverso la ferrovia

Una decina di giorni fa un automobilista ha investito e ucciso un uomo che pedalava sul cavalcavia Cialdini; se l’è cavata invece il ciclista investito a maggio sul cavalcavia Mazzoni. Perchè ci si ostina a pedalare su questi cavalcavia se sono tanto pericolosi?

La linea della ferrovia divide Modena in due: per oltrepassarla, ci sono il sottopasso del cimitero di San Cataldo, il cavalcavia Cialdini, il cavalcavia Mazzoni e il cavalcavia di viale Ciro Menotti, ma solo il primo e l’ultimo danno a chi pedala la possibilità di attraversarli in sicurezza con percorsi protetti: quindi per quasi 3 km non esistono connessioni ciclabili adeguate e sicure attraverso la ferrovia tra Modena Nord e Modena Sud.

Le soluzioni ci sarebbero. Il cavalcavia Cialdini ospita ben 4 ampie corsie, quasi un’autostrada, e così invita gli automobilisti a velocità “autostradali” e manovre azzardate di attraversamento delle corsie per risparmiare qualche minuto. Il posto per una ciclabile ci sarebbe, di gran lunga preferibile al sottopasso esistente che per le bici è inadeguato.

Per il cavalcavia Mazzoni, creare un sottopasso sarebbe complesso per via della rete di canali, e l’ancoraggio di una ciclabile a sbalzo non è possibile data la struttura storica. Però la stragrande maggioranza delle auto che scendono in piazza Natale Bruni vanno verso viale Crispi o viale Caduti in Guerra; in pratica viene usato al posto di quelli di Via Cialdini e di Ciro Menotti. Se fosse riservato a mezzi pubblici, pedoni e ciclisti, alleggerirebbe il traffico e l’inquinamento del centro densamente abitato: soluzione efficace ed economica che metterebbe al centro le persone.

 

Via Panni in panne

Nei giorni scorsi Claudio Borsari, Andrea Cavani, Giulio Orsini, Silvia Sitton, Federico Zanfi, in qualità di professionisti e studiosi impegnati a vario titolo in progetti che riguardano la città, si sono interrogati sulla complicata questione della intersezione tra la linea ferroviaria Modena-Sassuolo e via Panni.

Abbiamo letto con interesse la loro lettera indirizzata al Sindaco ed all’Assessore competente: certamente l’introduzione di una variante tecnologica ai sistemi di segnalamento con un ripensamento del tracciato e delle funzioni della attuale ferrovia Modena-Sassuolo fa risaltare quanto siano perlomeno ridondanti le soluzioni proposte dall’Amministrazione. Da questo punto di vista aderiamo e sottoscriviamo l’appello, al quale ci permettiamo di aggiungere il tema di un trasporto pubblico a salvaguardia e sviluppo dell’intermodalità treno+bici, ad oggi garantita quasi solo sul trasporto ferroviario.

Pensiamo che nella discussione con l’Amministrazione, AMO e FER sia necessario partire da quanto sia totalmente non più sostenibile la quantità di veicoli privati che quotidianamente sia la città che il territorio della provincia debbano sopportare.

Come ben sappiamo, abbiamo un rapporto di 640 auto per 1000 abitanti ma se si escludono i cittadini sotto i 18 anni e quelli sopra gli 80 probabilmente siamo bel al di sopra di ogni media nazionale o europea senza contare che nel biennio 2016-2018 il tasso di motorizzazione è aumentato dell’1,6%. Gli effetti negativi di tale abnorme motorizzazione (addirittura in aumento) sono a tutti noti, ma nella pianificazione del trasporto pubblico, sia esso su gomma o su ferro non entrano mai, come nel caso sovrappasso/sottopasso, minimamente in considerazione. E ci meraviglia che tali opere siano considerate prioritarie se non cantierabili già entro la fine dell’anno come asserito recentemente dal Sindaco. Che dimostra che, come abbiamo sempre sostenuto, nel PUMS l’unica cosa certa sono tempi e denari per le infrastrutture automobilistiche. Ad esempio, la soluzione di un passaggio sicuro per i ciclisti sul cavalcavia Mazzoni, che aspetta una risposta da oltre 30 anni, può attendere tranquillamente un altro decennio.

Invece di pensare sempre a come fluidificare il traffico con sovra e sottopassi, rotonde, svincoli, complanari e tangenziali che semplicemente spostano il problema all’incrocio ed al lustro successivo, sarebbe ora di iniziare a scoraggiasse l’uso dell’auto privata in favore del trasporto pubblico e del trasporto non motorizzato: forse non ci sarebbe bisogno di questa ulteriore cesura del territorio, viste le attuale frequenze del Gigetto, con molte meno auto in attesa ai passaggi a livello su Via Panni e Via Morane.

Sorprende che tali opere siano talmente urgenti da non aspettare nemmeno le conclusioni dello studio di fattibilità commissionato di recente da AMO che dovrebbe essere pronto entro il prossimo Novembre. Quindi o il progetto commissionato è già stato consegnato, è noto ai committenti e quindi anche al Sindaco, oppure si è deciso che si debbano fare a prescindere senza un progetto sul futuro di questa iconica ferrovia che potrebbe avere un ruolo ben più incisivo nella mobilità complessiva della Provincia di Modena. In quest’ultimo caso ci si chiede allora perché spendere soldi su uno studio di fattibilità quando tutto è deciso in altra sede.

Corsia Ciclabile Via Emilia Ovest

Comunicato Stampa

Con soddisfazione iniziamo a vedere anche a Modena le nuove corsie ciclabili monodirezionali, previste dalle nuove disposizioni del Codice della strada. Riteniamo che siano una opzione molto utile per incrementare gli spazi ciclabili, ma vanno realizzate con buonsenso perché devono essere facilmente comprensibili dai cittadini, supportate anche da campagne di informazione alla cittadinanza.

Essendo strutture disegnate solo con segnaletica orizzontale compaiono spesso nel giro di una notte, ed al momento della loro tracciatura a volte invece sembra che il buonsenso sia rimasto nel cassetto.

È il caso di via Emilia Ovest dove il percorso della corsia ciclabile è fatto come prescritto dalle nuove normative, ma purtroppo ci si è scordati di sistemare alcuni parcheggi che sono rimasti “a spina di pesce”: in questo modo si mettono in grossa difficoltà gli automobilisti nella manovra di uscita, perché coperti da altre auto non possono vedere i ciclisti in arrivo con il concreto rischio di creare situazioni di pericolo.

Tutte le linee guida di progettazione ciclabile consigliano che eventuali parcheggi alla destra di una corsia ciclabile in carreggiata siano in asse con la direzione di percorrenza e che ci sia una zona franca di almeno 50 cm per poter aprire la portiera, proprio per minimizzare il conflitto inevitabile tra l’auto in manovra ed il ciclista in corsia.

L’unica controindicazione di questa soluzione è che vengono a mancare alcuni posteggi: dai nostri sopralluoghi in quel breve tratto iniziale di via Emilia abbiamo valutato una perdita di tre, massimo quattro posti auto. Ci sembra un “costo” accettabile se guardiamo ai vantaggi di avere una corsia ciclabile più sicura e maggior spazio pedonale davanti alle attività economiche ed alle abitazioni.

La normativa che istituisce le “corsie ciclabili” le ha previste espressamente molto facili da inserire nel tessuto urbano: poca segnaletica, nessuna misura minima di carreggiata, nessun vincolo per presenza di parcheggi o fermate autobus. Non per questo però vanno fatte “alla leggera”, e se fossimo stati consultati preventivamente avremmo sicuramente dato qualche consiglio: inserimento di misure di moderazione della velocità, uso di vernici durevoli, allineamento dei parcheggi.

Poteva essere l’occasione per rivedere complessivamente l’organizzazione degli spazi delle strade interessate, speriamo almeno che essendo un intervento a basso costo sia possibile correggere subito alcune scelte discutibili. A breve faremo le necessarie segnalazioni al Comune.

Cavalcavia Mazzoni: 10 anni possono bastare

In città si torna a parlare del Cavalcavia Mazzoni. Sino a ieri, 8 marzo, è stato possibile da parte dei professionisti invitati, presentare le proprie offerte per diversi studi di fattibilità previsti dal PUMS (Piano urbano per la mobilità sostenibile), tra cui quello del cavalcavia Mazzoni. L’obbiettivo è quello della realizzazione di un sottopasso o sovrappasso ciclabile vicino al cavalcavia, per rispondere agli abitanti della zona nord, che da sempre chiedono un collegamento ciclabile sicuro alla città. L’intervento di notevole complessità perchè il cavalcavia storico impedisce l’ancoraggio di una ciclabile a sbalzo e la fascia di rispetto della linea elettrica della ferrovia aumenta sensibilmente il dislivello da superare, mentre la rete dei canali rende complesso e molto costoso realizzare un sottopasso, tanto che l’assessora Filippi ne prevede una realizzazione a 10 anni. Quindi per altri 10 anni è normale che centinaia di cittadini al giorno continuino a rischiare sul cavalcavia?

La FIAB, che da oltre 10 anni compie il rilevamento semestrale dei ciclisti, può testimoniare che la stragrande maggioranza delle auto che scendono dal cavalcavia in Piazza Natale Bruni, non vanno verso il centro, ma svoltano verso viale Crispi o verso Viale Caduti in Guerra; si tratta cioè di automobilisti che usano questo cavalcavia al posto di quelli di Via Cialdini e di Ciro Menotti, impedendo ai ciclisti ed ai pedoni un collegamento breve con la città e rallentando inutilmente il transito dei mezzi pubblici diretti alle stazioni dei treni e delle autocorriere.

Per tutti questi motivi, in coerenza con le direttive del PUMS e del buon senso, riteniamo che sia giunto il momento di abbandonare soluzioni difficili e costose e di riservare questo cavalcavia ai mezzi pubblici, ai pedoni ed ai ciclisti. Non è solo una soluzione più ragionevole e fattibile, ma alleggerisce sensibilmente la pressione e l’inquinamento di zone centrali densamente abitate, dando una risposta efficace alle richieste dei cittadini.