Sicurezza e spazio come bene comune inalienabile

passaggi in sicurezza

Sicurezza e spazio come bene comune inalienabile
Lorenzo Carapellese

Parlare, discutere, scrivere ed immaginare di sicurezza stradale è sempre opportuno. Specialmente dopo due o tre annate in cui sembrava che morti e feriti, in primo luogo ciclisti e pedoni, fossero in diminuzione.

Sappiamo che la velocità gioca un ruolo primario nella decimazione di giovani ed anziani nonché nella triste conta del dolore. Oramai conosciamo a memoria ed abbiamo digerito decine e decine di diapositive in cui si paragona la velocità al cadere giù da una finestra dal primo, secondo, terzo piano e così via, a seconda della velocità dell’auto che colpisce le persone che come unico riparo hanno la loro pelle.

Sappiamo anche che il codice della strada (sempre quello “nuovo” che poi nuovo non è) indica rimedi, detta norme e condizioni per rendere strade, ciclabili e marciapiedi sicuri. Ma poi?

Ma poi succede che per motivi prevalentemente e squisitamente politici (paura di perdere voti e lobbies particolarmente forti e danarose), i passi in avanti concreti verso la sicurezza stradale (ciclistica e pedonale in primo luogo) sono veloci come quelli del bradipo, se non a volte addirittura di verso opposto, come quelli del gambero.

È ora quindi di rovesciare il paradigma: è forse tempo di parlare di spazio come bene comune unico, indivisibile ma adattabile a diversi usi che non siano solo quelli dell’automobile? Di dire che forse a spazi comuni belli, piacevoli, sicuri, poco rumorosi hanno diritto anche pedoni e ciclisti? E pure quelli che salgono e scendono da un mezzo pubblico, sia esso taxi, bus e metropolitana?

E che forse tale diritto lo devono avere i ragazzi e le ragazze quando entrano ed escono da scuola? Anche a dispetto dei loro genitori su quattro ruote per quattro che a orari fissi, come le maree, invadono piazzali, strade antistanti le scuole, aiuole e giardinetti, parcheggiando in doppia e tripla fila?

Si, penso di si. E non è necessario inventarsi chissà mai quali tecniche, infrastrutture e tecnologie anche se possono aiutare. L’importante è partire dallo spazio urbano considerandolo come bene comune che deve essere disponibile per tutti.

monaco

Il tema è diventato nel tempo talmente ovvio che diverse città nel mondo, chi prima chi dopo, hanno agito secondo questa direzione di pensiero: certo, avvalendosi anche di norme di ingegneria stradale, ma soprattutto di esperienza e buon senso. Non vorrei fare una graduatoria delle città più virtuose o di quelle comunità urbane che sono arrivate prima (il palmares andrebbe senz’altro alle città olandesi e danesi), ma piuttosto cercare di dimostrare che la sicurezza stradale non è solo divieto, limite, cartello, corsia riservata, dosso, segnaletica, illuminazione) ma una condizione culturale. Una questione di civiltà urbana, un fatto di relazioni sociali educate e gentili, non aggressive. E quindi anche una opportunità economica che origina dalla dinamica lenta del passeggiare e pedalare, che rendono molto più al commercio che non l’arrivare veloce, parcheggiare in doppia fila e comprare a sparo giusto quello che si aveva in mente di comprare.

Ecco allora che Monaco, Londra, New York, Barcellona, Melbourne, Bogotà, Atlanta, Copenaghen e Victoria Gasteiz, solo per citare alcune municipalità virtuose, già da tempo si sono decise ad affrontare, per poi portare ad un livello di soluzione più vicino ai tempi d’oggi, il convivere di cittadini con eguali diritti anche se “mobili” su mezzi diversi nello stesso tempo e nello stesso spazio urbano.

poyton

A Monaco semplicemente hanno tolto una carreggiata intera da alcune strade per poi trasformarle in comode piste ciclabili. Mentre a Poyton in Inghilterra, un incrocio pericolosissimo è stato trasformato in una spazio che non solo è sicuro ma che aiuta e si integra con il vissuto urbano semplicemente (ma intelligentemente) differenziando e rialzando la pavimentazione stradale, disegnando un percorso sinuoso, di fatto facendo operazione di traffic calming, rinnovo urbano, qualità visiva e di accessibilità particolarmente efficace per ciclisti, pedoni ed anche disabili senza mortificare il traffico di attraversamento.

A New York la geniale Janette Sadik Khan (ex Transport Commissioner della Grande Mela) ha addirittura pedonalizzato la mitica Time Square da un giorno all’altro, semplicemente ricorrendo a pochi cartelli stradali, vernice e… sedie a sdraio e tavolini. Per sempre

Anche la sensazione di sicurezza (che deve essere però reale e non solo percepita), entra nella qualificazione dello spazio urbano. Ecco allora che nella riqualificazione della città e soprattutto delle periferie, negli Stati Uniti il ridisegno delle carreggiate è oramai codificato in manuali di progettazione che vengono non solo rispettati, ma anche migliorati in base all’esperienza.

L’inserimento di isole di attraversamento, pavimenti leggermente rialzati, corridoi centrali per la svolta, il parcheggio d’emergenza per i mezzi pubblici così come per il sorpasso breve in caso di impedimento sono ormai entrati nella prassi di molte città americane. E non è raro, anzi è frequente, che in operazioni di rinnovo urbano i marciapiedi vengano allargati a scapito della corsia stradale.

new york

E poi le aree a Zone 30 vengono chiaramente marcate, classificandole a seconda della tipologia di strada e del tipo di quartiere.

Ma anche città come Victoria Gasteiz in Spagna sono riuscite a gareggiare con intelligenza con città storicamente ciclabili e pedonabili come Stoccolma, Amburgo o Copenaghen. Tanto che nel 2012 la città è stata nominata Capitale Verde d’Europa. Una città che in soli quattro anni ha costruito 96 chilometri di piste ciclabili, dando vita ad un sistema di mobilità urbana dove la metà degli spostamenti interni alla città, il 49%, viene effettuato a piedi. In questa città la sicurezza stradale deriva allora da questo, dal fatto che 18.000 sono i ciclisti che ogni giorno effettuano gli spostamenti casa lavoro e casa scuola e per il fatto che il 16% sceglie il mezzo pubblico.

Pare che il segreto di tale successo sia dovuto al notevole coinvolgimento della popolazione, tanto che incontri mensili e settimanali con i quartieri sono stati compiuti per raggiungere le decisioni strategiche, portando così alla luce le vere problematiche. Inoltre le autorità di controllo del trasporto pubblico sono state scelte non in virtù di una tessera di partito, quanto per l’esperienza, competenza ed indipendenza, cosa che, alle nostre latitudini, è ancora fatto raro.

E poi ritorniamo al codice (nuovo) della strada che nuovo non è ma solo di nome.
Vedremo mai questi cartelli in lingua italiana?

Come cambiare il Codice della Strada: Le proposte Fiab a sostegno della mobilità ciclistica

Come cambiare il Codice della Strada: Le proposte Fiab a sostegno della mobilità ciclistica
Giorgio Castelli

Prima di tutto la proposta di Legge Quadro per la Mobilità Ciclistica. Presentata lunedì 17 ottobre al Parlamento dal relatore on. Paolo Gandolfi, dopo oltre due anni di lavori e revisioni è ferma alla Camera, con grande amarezza della nostra Associazione.

“La Legge Quadro è funzionale per sostenere, anche in Italia, una nuova politica nazionale che, con un rinnovato approccio, può dare seguito alle ormai note esigenze di città soffocate dal traffico e dall’inquinamento – afferma Giulietta Pagliaccio. – L’80% della popolazione italiana vive all’interno di agglomerati urbani ed è dunque urgente agire sulle necessità di mobilità quotidiana delle persone con interventi realizzabili in tempi brevi e con investimenti che possano garantire risultati immediati e ritorni economici per l’intera società”.

Il disegno di legge che modifica l’art. 148 del C. d. S. propone di inserire: “È vietato il sorpasso di un velocipede a una distanza laterale minima inferiore a un metro e mezzo”, estendendo la sanzione amministrava del divieto di sorpasso anche a chi “non rispetti la tale distanza minima”. Sarebbe un grande passo avanti per la sicurezza di chi, quotidianamente, utilizza la bicicletta per andare a lavoro o a scuola, per divertimento o per attività sportive.

La proposta di Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e altre disposizioni in materia di circolazione delle biciclette e di caratteristiche tecniche delle piste ciclabili riprende anche alcune delle proposte presenti nel quaderno realizzato dalla FIAB in occasione della “1° Conferenza nazionale della Bicicletta”:
Il testo della proposta nel sito della camera (PDF):
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0018550.pdf

Inoltre la FIAB chiede da tempo un provvedimento per gli “Investimenti per lo sviluppo della mobilità ciclistica in Italia” con l’indicazione di date certe e con risorse vere, continuative nel tempo e dedicate solo a quella voce. Perché mobilità sostenibile significa togliere auto dalle strade e non sostituirle con altre meno inquinanti. Chissà se la prossima Legge di Stabilità riuscirà a produrre qualcosa del genere?

Per ulteriori approfondimenti si consiglia di visitare:
http://www.fiab-areatecnica.it/pubblicazioni/manuali-e-studi/fiab/11-sicurezza-stradale.html

A scuola a piedi o in bici: insieme il Comune di Novi e Fiab

a scuola con la bici

A scuola a piedi o in bici: insieme il Comune di Novi e Fiab
Giuseppe Marano

La concentrazione davanti alle scuole di un elevato numero di autoveicoli, pedoni e ciclisti provoca rischi di incidenti, inquinamento e confusione nelle ore di entrata e uscita. Nell’intento di migliorare la situazione, l’Amministrazione comunale di Novi ha avviato un progetto con cui intende favorire l’uso di mezzi alternativi alle automobili sui percorsi casa-scuola.

L’iniziativa è stata assunta dall’assessora all’Ambiente, Lorella Gasperi, e ha portato al coinvolgimento della Fiab di Modena e del Circolo Naturalistico Novese, oltre che delle scuole e delle famiglie interessate. Il primo passo è stato un’indagine sulle attuali modalità di spostamento casa-scuola e sulla disponibilità a cambiare abitudini a favore dei mezzi ecologici.

Il 48% degli studenti elementari e medi di Novi vengono accompagnati a scuola con l’automobile, pur abitando vicino ai plessi scolastici (il 58% a meno di 1 km). Va piedi il 26%, in bici il 18% e con trasporto pubblico l’8%. L’impiego dell’auto viene giustificato principalmente per la comodità (22%) e per l’età dei ragazzi (22%), ma anche per l’insicurezza dei percorsi (traffico e mancanza di sicurezza 29%).

Tuttavia, i genitori ‘aprono’ all’ipotesi di non usare più l’auto: ben il 79% si dice disponibile a valutare le alternative proposte dal Comune. A quali condizioni? Vogliono più sicurezza (54%) o l’accompagnamento di un adulto (24%). Il 17% chiede anche più sicurezza contro i furti delle bici. Impressiona la risposta al quesito sul possibile impegno diretto nel progetto comunale: l’83% dichiara di voler partecipare.

La seconda fase del progetto consiste nel rilievo dei possibili percorsi casa-scuola, effettuata con la collaborazione dei tecnici della Fiab. L’obiettivo è individuare interventi prioritari da realizzare per la messa in sicurezza dei principali tragitti.

Per la Fiab di Modena si tratta del primo progetto di promozione della mobilità ciclistica e pedonale sui percorsi casa-scuola, che si propone di affrontare organicamente tutti gli aspetti del problema della sicurezza: i percorsi, la segnaletica, il coinvolgimento dei vari soggetti sociali lungo i tragitti, il rapporto con la scuola, l’educazione alla mobilità sostenibile e all’autonomia personale. Sulla base dell’esperienza condotta a Novi, l’associazione formulerà un proprio modello di intervento che poi offrirà agli altri Comuni della provincia.

Modena: il piano della mobilità piange

modena, dubbi sul piano ciclabile

Se il piano piange
Giuseppe Marano

Dopo oltre due anni di iter contrastato e numerose versioni, recentemente il Consiglio comunale ha approvato il primo Piano della Mobilità. Nelle intenzioni, questo atto definisce una visione organica della mobilità ciclistica. Nel voluminoso documento (252 pagine), supportato da varie tavole tecniche, gli interventi prospettati vengono corredati da dati finanziari: 6.28 milioni di euro di investimenti previsti nel breve periodo (entro 2018) e 15.3 milioni di euro nel medio-lungo periodo (oltre il 2018).

Il PMC si propone un obiettivo coraggioso: incrementare dell’1.5% annuo la quota ciclistica sull’insieme degli spostamenti (oggi la mobilità ciclistica è il 10.38%). A sostegno dell’obiettivo, sulla carta, vengono previste misure coerenti: aumento della sicurezza stradale, eliminazione di criticità e carenze nella rete, incremento della rete ciclo-pedonale, riconnessione di percorsi frammentati, realizzazione di Zone a 30 km/h.

La traduzione concreta degli obiettivi tocca ogni aspetto della mobilità: segnaletica; nuovi tratti ciclabili; riduzione delle criticità viabili; incremento delle zone a 30 km/h, completamento delle ciclovie modenesi. Inoltre, si contano interventi di messa in sicurezza, collegamento e completamento della rete. Per non citare gli impegni assai rilevanti di lungo periodo (oltre il 2018) indicati nel PMC, francamente assai aleatori, in quanto non finanziati.

Pur dando atto che l’Amministrazione ha fatto appello a competenze tecniche e impegno professionale notevoli, PMC appare uno strumento spuntato in due elementi fondamentali: la prevedibile inefficacia degli interventi previsti e la scarsità delle risorse. Se c’è un fattore di successo in questo tipo di imprese ad alto contenuto sociale, esso consiste nella chiarezza degli indirizzi percepiti dai cittadini, frutto di determinazione del decisore politico e di disponibilità finanziarie. Che però non emergono dai fatti.

Come è possibile, ad esempio, ridurre gli incidenti agli incroci e alle rotatorie limitandosi a disseminarli del nuovo totem progettuale, i ‘segnalatori luminosi’, che si aggiungono alla segnaletica inosservata? Troppo facile. E i nuovi tratti di ciclabili? Come mai mancano ancora segmenti essenziali di alcune strade pericolose, come Vignolese ed Emilia, solo per citare le più rilevanti? Alcuni progetti appaiono giochi di prestigio: un segnalatore luminoso qui, una chicane là, un cambio di segnaletica più avanti… come se il ciclista fosse uno strano animale cui puoi chiedere tutto, mentre gli automobilisti possono sfrecciare in strada senza disturbo. Il discorso delle zone a 30 km/h suscita più perplessità che soddisfazione per la novità, dopo anni di inerzia: oltre ad essere numericamente irrisorie, sono delimitate e scollegate, rendendo lo stesso quartiere diversamente transitabile nel giro di pochi metri. Mancano iniziative per illuminare tratti ciclabili insicuri di notte.

In sostanza il piano ha semplicemente ripreso interventi già ampiamente previsti in passato, senza sostanziali novità. I 15.3 milioni della fase futura sono nel libro dei sogni. Sulla base di questi dati, i ciclisti modenesi potranno davvero avvertire una maggiore sicurezza nelle strade e spostarsi fiduciosi ed ottimisti con questo mezzo semplice, efficiente e maledettamente poetico?

Il senso del ciclista per la sicurezza

incroci

Il senso del ciclista per la sicurezza
Ermes Spadoni

La scarsa sicurezza dei percorsi è tra le principali cause del mancato utilizzo della bici negli spostamenti quotidiani. Solo un italiano su dieci si reca ogni mattina a piedi sul posto di lavoro: eppure il 41% dichiara di metterci meno di 15 minuti. Il 75% degli italiani va al lavoro in automobile e meno del 4% raggiunge l’ufficio in bicicletta. Commentando i dati Istat 2016, è possibile affermare che i tanti programmi pubblici di sostegno alla mobilità sostenibile non bastano a convincere gli italiani a lasciare l’auto in garage per raggiungere l’ufficio.

Come mai? Siamo un popolo di inguaribili automobilisti o semplicemente queste politiche di incentivo, molte delle quali vorrebbero mettere in sicurezza i tragitti, non ci hanno convinto della loro efficacia?

La verità è che chiunque abbia provato ad usare la bici in città, può confermare che un tragitto qualsiasi, da un punto A ad un punto B, non è mai continuo, scorrevole, prioritario, segnalato, protetto ed illuminato.

Se i piani della mobilità si prefiggono di riconnettere qualche ciclabile qua e là, impiantare zone 30 a macchia di leopardo in quartieri periferici già a bassa intensità di traffico, mettere qualche centinaio di lampeggianti in più e ritinteggiare i passaggi pedonali, è del tutto evidente che la sensazione di sicurezza percepita dai ciclisti e dai pedoni non aumenterà.

E fino a quando l’onere della sicurezza sarà principalmente imputato al senso di autotutela del ciclista, è evidente che non cambierà nulla.

Due esempi? Primo: sulle piste ciclabili – incredibilmente spesso anche in corrispondenza di passi carrabili privati – troviamo ingombranti panettoni, infidi paletti, strettissime chicane che obbligano il ciclista a pericolose manovre: proviamo ad invertire gli ostacoli e metterli a rallentare l’uscita delle auto? Secondo: passaggi pedonali su strade cittadine grandi e dritte, semplicemente attrezzati con un lampeggiante e un disegno sbiadito sulla strada. Vogliamo provare a restringere le carreggiate, e mettere un’isola salvagente centrale?

Scommettiamo che pedoni e ciclisti si sentiranno più sicuri?

Sicurezza stradale: no a riserve indiane, si a spazi condivisi.

spazio condiviso

Sicurezza stradale: no a riserve indiane, si a spazi condivisi.
Giorgio Castelli

La sicurezza dei ciclisti è spesso invocata chiedendo a gran voce provvedimenti nei confronti delle biciclette (freni inefficaci, luci non funzionanti), delle infrastrutture (piste ciclabili ovunque, anche in città), e del ciclista (educazione stradale, casco obbligatorio, abbigliamento ad alta visibilità).
Questi Commissari Tecnici del Traffico si scordano sempre dei provvedimenti da applicare al traffico motorizzato, e guardano alla bicicletta come corpo estraneo del traffico, da relegare solo al tempo libero. Tanto che nei loro commenti da bar o bacheche virtuali, per i pedoni ed i ciclisti auspicano un futuro da riserva indiana su ciclabili protette, non nascondendo il sogno di separare completamente la mobilità pedonale e ciclistica dalla mobilità generale.

Purtroppo per loro, i freddi numeri sugli incidenti stradali presentano il vero problema: la velocità dei mezzi motorizzati è la prima causa degli incidenti e dei morti, seguita dalla distrazione alla guida. Il 40% degli automobilisti dichiara di non rispettare, quasi sempre, i limiti di velocità nel centro urbano.

Bisogna allora intervenire sull’intera superficie stradale, ridisegnando gli spazi per abbassare le velocità e garantire una coesistenza in sicurezza a tutti, tramite ampliamento dei marciapiedi, costruzione delle isole spartitraffico salvagente, riduzione delle dimensioni delle corsie di marcia. Basta sostanzialmente riproporre i caratteri tipici dei nostri centri storici, dove la velocità contenuta e la presenza diffusa di pedoni e ciclisti fa aumentare la sicurezza.

Perché così facendo si diffonde tra chi guida, tutti i mezzi, la percezione diffusa del rischio, e così la guida viene automaticamente adeguata al pericolo reale. Diversamente si continuerà a pensare agli incidenti stradali nella loro radice etimologica, cioè come eventi inevitabili che devono accadere. Invece notiamo una inutile e negativa tendenza alla diffusione nelle città di cartelli luminosi, di segnali di grandi dimensioni, di cordoli giganti, magari colorati di giallo, tipici della viabilità autostradale, che inducono gli automobilisti a pensare di essere davvero su una strada ad alto scorrimento.

Pensare di ottenere sicurezza progettando lo spazio pubblico e le strade come si è fatto negli ultimi 60 anni, oppure relegando il trasporto pubblico, i pedoni ed i ciclisti ai margini, fa venire in mente una frase celebre di Albert Einstein “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”.

Una bicicletta di speranza per i minori richiedenti asilo

laboratorio ciclo officina

Presso la Comunità “L’Argonauta” di Modena sono ospitati minori stranieri non accompagnati e minori richiedenti asilo che frequentano corsi di alfabetizzazione primaria e/o corsi di formazione professionale presso le scuole secondarie di Modena, prevalentemente la mattina.

«Abbiamo pensato di coinvolgere questi ragazzi nell’attività di ciclofficina che oltre ad impegnarli per due pomeriggi la settimana, fornisce loro competenze pratiche nella riparazione della bicicletta e alla fine del progetto la bicicletta aggiustata da loro gli verrà assegnata e potranno utilizzarla negli spostamenti in città. Inoltre prevediamo incontri formativi sul corretto uso del mezzo e sui dispositivi di sicurezza da utilizzare. Tutto questo in collaborazione con i volontari della Fiab che hanno accolto con grande favore la nostra proposta di collaborazione», spiega Alessio Costetti, coordinatore delle Comunità minori di Modena e Parma del Gruppo Ceis, illustrando un interessante progetto che vede coinvolto anche il mondo del volontariato.

«Da anni organizziamo corsi di bicicletta nelle scuole, laboratori di ciclomeccanica e di cicloturismo per i ragazzi e per gli adulti. Ci è venuto naturale affiancare il Ceis in questo progetto – gli fa eco Giorgio Castelli, volontario Fiab e presidente della sezione modenese che si dedica alla formazione dei ragazzi due volte la settimana come tutor meccanico di biciclette – Come facciamo sempre nelle nostre attività, abbiamo attivato le risorse dei nostri soci e delle altre associazioni di volontariato modenesi, per raccogliere parte delle attrezzature e le biciclette usate da riparare o da utilizzare come pezzi di ricambio. Prezioso è stato il contributo del Laboratorio Tric e Trac che ci ha fornito morse, chiavi e biciclette».

Tutti i ragazzi della Comunità frequentano il laboratorio di ciclofficina in gruppi di 5/6 ragazzi per volta affiancati da 2/ 3 volontari in modo da essere seguiti da vicino. «I ragazzi imparano così ad aggiustare biciclette e utilizzano strumenti molto semplici per esercitare la propria manualità», afferma Costetti. Ad ogni ragazzo viene assegnata una bicicletta che viene lavata e smontata revisionata e rimontata completamente. «E’ una soddisfazione vedere un ragazzo che passa del tempo per riportare una catena arrugginita a nuovo splendore – conclude Castelli – Si crea così la propria bici che gli permetterà una nuova autonomia di movimento e forse una nuova esperienza utile per il futuro».

Il laboratorio si trova all’interno della Comunità e in questo primo mese di attività i ragazzi sono stati molto collaborativi, hanno frequentato con entusiasmo e desiderio di apprendere. Alcuni di loro hanno già completato una bicicletta con grande soddisfazione personale, che utilizzano negli spostamenti. Per ampliare il laboratorio servono biciclette usate da adulto di ogni genere, chiavi da meccanico, pinze, cacciaviti e volontari.

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Infobici n.44: numero monografico “M’ILLUMINO DI PIÙ”

luci nel buio

luci nel buio

Infobici n.44: numero monografico “M’ILLUMINO DI PIÙ”

rendersi ben visibili di notte per circolare serenamente e in sicurezza

infobici – Pubblicazione edita dalla FIAB-Modena
Numero 44 – Anno XII – Settembre 2016

In questo numero:

  • M’illumino di più : Voglia di sicurezza
    Beppe Amorelli
  • Pedalare nelle tenebre a Modena
    Giuseppe Marano
  • Tecnologie per illuminare la nostra bicicletta
    Armando Gualandrini
  • Le norme e la bicicletta di notte
    Giorgio Castelli
  • Il ciclista illuminato
    Due libri… e non solo
  • Dai led alle cavigliere: che luce sia!
    Armando Gualandrini
  • Buone esperienze urbane nell’illuminazione delle ciclabili
    Ermes Spadoni
infobici n.44 - settembre 2016

infobici n.44 – settembre 2016

M’illumino di più : Voglia di sicurezza

rossella-luci-vangogh

luci nella notte

In bicicletta bisogna essere sempre visibili, è un obbligo, soprattutto quando si viaggia di sera. L’importanza di questo tema è ben nota alla FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) che da anni è impegnata in primo piano per “illuminare” chi deve rendersi visibile sulla strada.

È così che è nata la campagna “ciclista illuminato” che ha assunto un posto di primo piano tra gli impegni che la FIAB, tutti gli anni, porta avanti nel campo della sicurezza in bicicletta.

Illuminare, è il termine più utilizzato perché queste iniziative si propongono non solo di affrontare i noti aspetti del rispetto del codice della strada, ma anche di sottolineare con forza che, chi si rende visibile in bicicletta, fa una scelta intelligente, “illuminata”, perché crea sicurezza per sé e per gli altri utenti della strada.

L’interesse e coinvolgimento su questo tema avviene attraverso l’organizzazione a livello nazionale di manifestazioni, dibattiti e incontri con divulgazione di dati e informazioni sul tema, ma anche attraverso l’invito a tutte le associazioni aderenti alla FIAB a fare altrettanto, ovvero dedicare annualmente almeno un giorno (una sera) ad un’iniziativa di carattere locale volta a sensibilizzare gli utenti sul tema della visibilità quando si utilizza la bicicletta di sera.

I risultati sono molto interessanti in quanto le iniziative, svolte nelle diverse province e regioni, sono affrontate nei modi più svariati: c’è chi propone banchetti in piazza dove si illustrano dati, filmati, si mostrano materiali tecnici per rendersi visibili, ma c’è anche chi organizza biciclettate (veri sciami di ciclisti e bici festosamente addobbati
con luci e materiali catarifrangenti con cui si illuminano le strade percorse), non manca poi chi, in queste occasioni, organizza punti di controllo per censire il numero di ciclisti che passano e verificare il loro grado di “illuminazione”, e chi infine organizza banchetti con premiazioni simboliche offerte ai ciclisti “illuminati” che viaggiano ben visibili ed in piena sicurezza.

I dati e gli stimoli raccolti dalle varie associazioni locali nelle singole attività svolte
sono poi analizzati dalla FIAB (nazionale) che fa sintesi, valuta i risultati ottenuti, e
dà indirizzi sulle iniziative da promuovere negli anni successivi per formare sempre
più “ciclisti illuminati”.

Beppe Amorelli