Senza rotelle!

Sono stati tanti i bambini che domenica 7 aprile hanno partecipato a “I Senza Rotelle”, organizzato dai “Genitori ECOattivi” al Parco Novi Sad di Modena, nei pressi della gradinata: un percorso disegnato sull’asfalto con segnali stradali, strade scolastiche e un attraversamento pedonale dotato di semaforo: un’occasione per i genitori di trovare suggerimenti e concreto aiuto fisico per insegnare ai figli a guidare la bici. Un bel modo di vivere la Giornata mondiale della salute.

Una situazione, quella delle persone che trascorrono tempo all’aria aperta a piedi e in bici, che ricordava situazioni già viste in nazioni del nord Europa, oppure in alcuni nuovi quartieri residenziali con percorsi ciclabili e “isole ambientali” dove sono limitati il transito delle auto o la loro velocità.

Molti dei presenti hanno voluto ascoltare la descrizione delle biciclette da carico (bici cargo) esposte, ed alcuni le hanno provate per un breve tratto, per provare la possibilità di trasportare la spesa settimanale o i bimbi più piccoli senza usare l’auto. Principalmente bici prodotte da produttori di Modena che le hanno messe a disposizione per prove gratuite. Era presente anche ARIA con la raccolta delle firme per la petizione Modena30, per promuovere un ripensamento degli spazi pubblici, in cui trascorrere tempo con i bambini all’aria aperta e in sicurezza.

Erano 60 i bambini iscritti, dai 2 fino agli 8 anni: chi è venuto con la sua balance bike, o la sua bici a pedali, con o senza rotelle. Un resoconto preciso del numero dei partecipanti è difficile, perché alcuni genitori a passeggio coi bimbi sono capitati lì per caso, incuriositi forse dalle voci amplificate dell’asta delle biciclette recuperate grazie all’animazione della Ciclofficina Popolare “Rimessa in Movimento” e dal Comitatissimo della Balorda, ed è stato bello assistere alla generosità dei giovani ciclisti che hanno prestato la propria bicicletta ai coetanei sprovvisti, per consentire loro di fare qualche prova.

I volontari della ciclofficina con il laboratorio “Come ti rubo la bici” hanno dato consigli su come fronteggiare al meglio il problema dei furti, e altri volontari hanno assistito alla nascita di nuovi ciclisti senza rotelle: il momento in cui il bambino smette di appoggiarsi al braccio o alle ruotine e pedala sulla bici autonomamente è sempre sorprendente.

Chissà se anche loro, da adulti, quando dovranno fare l’esempio di una azione che imparata non si dimentica più, diranno “… è come andare in bicicletta!”

Corsie ciclabili di Via Panni. Polemiche ed alternative.

La recente realizzazione di due corsie ciclabili in via Panni ha sollevato diverse opinioni contrarie riportate dalla stampa locale.

Come FIAB ricorda sempre, queste corsie sono destinate prioritariamente alla circolazione delle biciclette ma, se non sono impegnate da ciclisti, possono essere utilizzate da altri veicoli. Sono di fatto la rappresentazione visiva di quanto viene stabilito fin dal 1992 dal Codice della Strada: i veicoli privi di motore devono stare “il più vicino possibile al margine destro della strada” e “il conducente di un autoveicolo che effettui il sorpasso di un velocipede è tenuto ad usare particolari cautele al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza (..).

Le corsie monodirezionali in carreggiata sono ampiamente utilizzate in ambito residenziale in tutta Europa e chi si oppone a prescindere a questa soluzione dovrebbe indicare delle alternative ragionevoli, purché vengano mantenute le caratteristiche di strada di interquartiere che deve connettere numerosi servizi e poli di attrazione come parchi, polisportive e scuole che devono poter essere raggiunti anche in bicicletta nel modo più diretto, confortevole e sicuro.

Durante un sopralluogo abbiamo potuto verificare le dimensioni della strada e dei marciapiedi esistenti che non consentono né piste ciclabili separate sulla carreggiata, né ciclopedonali sui marciapiedi. FIAB ritiene quindi che la soluzione scelta sia adeguata al contesto, vista anche la concomitante realizzazione di dossi rallentatori con l’istituzione di tratti a 30km/h.

Abbiamo tuttavia alcune osservazioni da avanzare al Comune. La prima riguarda l’imbocco della corsia sulla pista del sottopasso in direzione di via Rosselli, che per dare la priorità all’innesto di via Beato Angelico e a un accesso privato, ha sacrificato la linearità del percorso. È sufficiente un sopralluogo per verificare l’inadeguatezza della soluzione adottata che induce i pedoni e i ciclisti ad uscire dalla pista.

La seconda riguarda l’abituale assenza di una adeguata comunicazione ai cittadini per spiegare e motivare queste trasformazioni della viabilità. È quanto è avvenuto anche nel 2020 quando sono stati realizzati in città altri tre tratti di corsie senza il supporto di una solida campagna informativa che spiegasse a tutti, ciclisti e no, l’uso corretto di questi nuovi strumenti e senza prevedere una efficace attività di controllo.

Il fatto stesso che l’inaugurazione del sottopasso abbia anticipato la realizzazione delle corsie ciclabili, induce a pensare ad una mancanza di sostegno convinto di queste iniziative, e ad una timidezza verso le modifiche allo spazio pubblico che salvaguardino prioritariamente gli utenti della strada più vulnerabili. Su queste scelte bisogna essere innanzitutto convinti per essere convincenti.

FIAB ritiene necessaria l’infrastrutturazione di ciclabili in sede separata sulle dorsali ove le condizioni del traffico lo richiedano, ma altrettanto un cambio di paradigma che negli ambiti residenziali preveda un rallentamento della velocità ed una condivisione dello spazio consapevole e rispettosa da parte di tutte le utenze, a partire da quelle che ne occupano di più.

Le strade e la città educante

Siamo abituati a pensare allo spazio pubblico delle nostre città come a un contenitore inerte, uno sfondo tutto sommato neutro per alcune delle funzioni e delle vicende urbane: la piazza dove si svolge il mercato, le strade dove ci si sposta, i parcheggi dove si lascia l’auto, i parchi per il gioco dei bambini.

In realtà, non c’è nulla di neutro: il modo in cui questo spazio pubblico è organizzato e vissuto, quanto ce n’è, dove e per chi, chi è avvantaggiato e chi svantaggiato nel fruirlo, tutto questo dipende dalla visione sociale e culturale di città di chi quello spazio l’ha progettato.

Non solo, ma senza che ce ne accorgiamo il modo in cui lo spazio pubblico è organizzato ci restituisce dei messaggi importanti su come si vive in quella determinata città e come ci si deve comportare, su chi e cosa conta, e così assume un valore “educativo” fondamentale specie nei confronti delle nuove generazioni, ancora più potente perché agisce senza che ne abbiamo piena consapevolezza.

Qualche esempio per capirci meglio: marciapiedi così stretti da non essere facilmente transitabili per carrozzine a rotelle e passeggini ci inviano il messaggio che genitori e disabili non sono i benvenuti. Se questi marciapiedi stretti si trovano su punti di collegamento cruciali per la città, come sul cavalcavia Mazzoni, e non c’è alcuno spazio dedicato nemmeno al passaggio delle bici, il messaggio è che il diritto di transitare in sicurezza ce l’hanno solo le automobili mentre gli altri restano senza tutele.

Se chi cammina o pedala deve condividere gli stessi passaggi, le piste ciclopedonali, non abbastanza ampie da assicurare una convivenza serena, mentre chi guida ha a disposizione corsie larghe più di quanto necessario, allora le persone a piedi o in bici ricevono il messaggio di essere utenti residuali e tutto sommato indesiderati.

Non solo, ma la prevalenza di ciclopedonali in giro per Modena, quando invece per il codice della strada dovrebbero essere delle eccezioni limitate a tratti brevi, comunica chiaramente che la normativa può venire forzata senza problemi a scapito degli utenti più vulnerabili della strada.

E quindi che chi danneggia l’ambiente ma è più grosso, più robusto e più pericoloso gode di più tutele e di più diritti: è questo il messaggio che vogliamo che i nostri bambini recepiscano e facciano proprio? L’educazione civica passa prima di tutto dalle nostre strade: è qui che si gioca in primis la partita tra la città dei bulli e la città di tutti, specialmente chi è più fragile.

I punti deboli delle reti ciclabili

Quando viene chiesto a Fiab Modena un parere sulla situazione della ciclabilità modenese, nel rispondere partiamo sempre da due constatazioni: non manca la realizzazione dei chilometri ciclabili, eppure tra i cittadini che pedalano è diffusa l’insoddisfazione. Un giudizio probabilmente ancora più pesante da parte di tutte quelle persone che nemmeno ci provano, a pedalare, neanche per gli spostamenti di prossimità, tanto che in città circa il 70% dei tragitti avviene in auto, ed il 45% dei tragitti in auto sono inferiori a 2,5 km.

Eppure, in una piccola città di pianura dovrebbe essere naturale muoversi in bici per una fascia ben più ampia di residenti: perché allora tutta questa diffidenza?

Le cause sono molteplici e hanno a che vedere sia con condizioni infrastrutturali che culturali, ma secondo noi il maggior ostacolo è la paura di avere un grave incidente con un automobilista.

Nei paesi che nei decenni scorsi avevano gli stessi nostri problemi di oggi, i pianificatori della mobilità hanno capito che la sicurezza percepita di un tragitto viene stabilita dai cittadini in base al punto più debole di tutto il percorso: in sostanza puoi percorrere anche 5km di ciclabili protette, ma poi se vieni lasciato in balia del traffico anche soltanto in un incrocio, allora la sensazione di sicurezza di tutto il tragitto si abbassa notevolmente.

Facciamo un esempio nostrano: alla fine della ciclabile protetta di Viale Montecuccoli, il ciclista si ritrova senza indicazioni all’interno della rotonda con Viale Monte Kosica, una delle più congestionate di tutto il centro urbano. Quale mamma si sentirebbe tranquilla a lasciare andare a scuola un adolescente dovendo passare in quel tratto? Purtroppo, in Italia la sistemazione dei punti deboli, quelli critici in cui la soluzione di sicurezza passa necessariamente da una redistribuzione degli spazi stradali, viene spesso procrastinata per gli elevati costi o perché ha risvolti rilevanti sulla circolazione automobilistica.

È un circolo vizioso: se non si affrontano questi snodi puoi avere anche una estensione di chilometri ciclabili importante come quella modenese (ai primi posti tra le città italiane) ma è una situazione che funziona solo per chi ha già una certa solidità di ciclismo urbano, e che quindi non configura una vera e propria rete attraente per il cittadino che vorrebbe provare a cambiare abitudini.

Dimmi che mobilità vuoi …

“Dimmi che mobilità vuoi, e ti dirò che infrastrutture progettare”: è uno dei principi fondamentali della pianificazione urbana. Vuol dire che bisogna pianificare sulla base del tipo di traffico che si vuole, e non di quello che si ha già: se si vogliono più auto in circolazione, occorre investire in nuove strade, o allargare quelle che ci sono. Se si vuole che più persone si spostino in bici, occorre investire nel miglioramento dei percorsi ciclabili; se si vuole incentivare gli spostamenti a piedi, occorre ampliare i marciapiedi, magari dotarli di panchine e mettere in sicurezza gli attraversamenti pedonali.

Questo è ormai un principio talmente assodato che qualsiasi tentativo di sostenere che “qui non può funzionare perché il contesto/le condizioni/la mentalità sono diversi” è come sostenere che ci sono delle eccezioni alle leggi di gravitazione universale. Per confutare il principio, occorrerebbe presentare le eccezioni, ma eccezioni al momento non se ne conoscono.

Un po’ di esempi. Offenbach, comune di 150mila abitanti nell’area di Francoforte: l’asse principale della città a 4 corsie veicolari è stato riorganizzato trasformando due corsie in ciclabili. Risultato: nessun aumento di ingorghi o traffico sulle strade parallele, ma un boom di transiti in bicicletta. Parigi: Rue de Rivoli viene chiusa temporaneamente al traffico veicolare in favore di biciclette e pedoni. Risultato: i passaggi in bicicletta sono aumentati vertiginosamente, tutti sono soddisfatti e la chiusura al traffico veicolare viene resa permanente. Siviglia: dal 2006 al 2011 vengono creati 164km di percorsi ciclabili, quasi tutti eliminando i parcheggi lungo le strade. Risultato: si passa dallo 0,5% di transiti in bici al 9%, cioè 70mila transiti in bici al giorno (ora sono oltre 111mila). Più vicino a noi, Bologna: con la tangenziale ciclabile lungo i viali, diverse corsie ciclabili e la città 30, a gennaio 2024 si è registrato un aumento del 30% dei transiti in bici rispetto alla media dei cinque anni precedenti.

E dove si aumentano o allargano le strade? Gli studi confermano che per ogni aumento dell’1% di capacità veicolare, ci si può aspettare dopo 5 anni un aumento del numero dei veicoli di circa l’1%.

E’ tempo di campagna elettorale: per capire se davvero le soluzioni anti-traffico che verranno presentate potranno funzionare, basta guardare a quanto si investe in mobilità alternativa. Se vuoi meno auto, investi in mobilità pedonale e ciclabile: è la legge della strada.

Dove passano le cargobike

La Regione Emilia Romagna ha attivato sia nel 2023 che nel 2024 un programma di incentivi fino a 1400 euro per l’acquisto di bici e bici cargo a pedalata assistita. L’obiettivo primario, si legge sul sito della Regione, è “la riduzione delle concentrazioni di PM10 e NOx nei comuni interessati dal numero di superamenti del valore limite giornaliero di PM10, a causa del quale le zone di pianura sono oggetto di procedura di infrazione europea”.

Le risorse sono andate esaurite in pochissimo tempo, segno dell’interesse dei cittadini per questa iniziativa e per quella che è ancora una novità nel panorama a due e tre ruote italiano: la bici cargo.

Ne esistono di varie tipologie: le più diffuse sono le cosiddette “longtail”, più lunghe nella parte posteriore per trasportare bambini o merci; le bici a “carriola” molto diffuse in Olanda, a due ruote e con un cassone anteriore; infine quelle a tre ruote, col cassone anteriore che ricorda vagamente una carrozza da film western.

Tutte rientrano a pieno titolo nelle dimensioni previste per i “velocipedi” secondo il Codice della Strada (massimo 1,30 m di larghezza, 3,5 m di lunghezza e 2,20 m di altezza), ma non tutte le infrastrutture ciclabili delle nostre città (ancora meno quelle ciclopedonali) sono adatte alla loro circolazione.

Per via delle dimensioni superiori a quelle di una bici classica, le bici cargo sono difficili da manovrare nelle curve a gomito di certe ciclopedonali; non passano agevolmente attraverso le barriere di archetti e cavalle che sono purtroppo ancora frequenti nonostante il Ministero col decreto 43 del 2 ottobre 2020 abbia precisato che non sono consentiti in funzione di rallentamento delle biciclette; richiedono infine una ampiezza della pista adeguata.

Secondo il D.M. Lavori Pubblici 557 del 1999, la larghezza minima di una pista ciclabile unidirezionale è di 1,50 m, che diventano 2,50 in caso di pista ciclabile bidirezionale. Questi, specifica il decreto, sono i minimi inderogabili per le piste sulle quali è prevista la circolazione solo di velocipedi a due ruote: “per le piste sulle quali è ammessa la circolazione di velocipedi a tre o più ruote, le suddette dimensioni devono essere opportunamente adeguate”.

Rendere le infrastrutture accoglienti per le cargo bike significa rimuovere le barriere architettoniche anche sedie a rotelle, scooter per disabili, tricicli per chi ha un ridotto equilibrio, carrellini per il trasporto bambini: una fondamentale tutela per le categorie più fragili.

Ladri di biciclette

Quando si parla di pedalare in città, sempre due aspetti vengono menzionati come i principali deterrenti: la percezione di essere in pericolo quando si pedala, e il timore di essere vittima di un furto di bicicletta. Per entrambi i problemi, la soluzione dipende in gran parte dall’offerta di infrastrutture adeguate, ma esistono buone pratiche che ciascuno di noi può adottare a livello individuale per essere più al sicuro. Oggi ci focalizziamo sulla questione furti.

La sicurezza di ritrovare la propria bici dopo averla parcheggiata dipende prima di tutto dalla disponibilità di stalli adeguati, il che implica due cose: sufficienti stalli, e di “qualità”. Se in città ci si imbatte in biciclette appoggiate a pali segnaletici, ringhiere e staccionate, significa che in quel luogo specifico ci sono troppi pochi stalli: oltre che brutto da vedere, è anche poco sicuro e può creare ingombro per gli altri passanti, specie se il palo o la ringhiera in questione dà su un marciapiede. Un urbanista in gamba saprà cogliere questa indicazione e pianificherà l’inserimento di un nuovo parcheggio bici, parcheggio che comunque non dovrebbe mai mancare vicino a scuole, biblioteche, centri medici, servizi pubblici, uffici postali e zone commerciali.

Laddove per questioni di spazio non si possono creare depositi custoditi, gli stalli devono essere “di qualità”: devono permettere di assicurare agevolmente il telaio della bici e non solo una ruota come succede nelle rastrelliere a “scolapiatti” che vanno ancora per la maggiore. Avete mai osservato una signora con la borsa della spesa armeggiare faticosamente, chinata tra una bici e l’altra, per slegare la ruota della sua dalla rastrelliera? E avete mai visto una ruota rimasta legata alla rastrelliera, mentre il ladro presumibilmente se ne è andato col telaio e tutto il resto? I depositi custoditi sarebbero essenziali invece vicino agli snodi di scambio come stazioni ferroviarie o degli autobus: dovrebbero accogliere un numero importante di biciclette, ed essere facilmente accessibili. Se uno ha liste d’attesa lunghissime, vuol dire che è troppo piccolo per le esigenze, e non accessibile.

In ultimo, ci possiamo salvaguardare in parte dai furti legando il telaio della bici con un solido lucchetto a U e assicurando le ruote (e la sella se possibile) con un cavo supplementare di ancoraggio in acciaio, oppure utilizzando due lucchetti. I ladri puntano a rubare quello che è più facile e veloce portare via.

Autovelox truffa? Allora aboliamo I limiti di velocità

Quando si sente parlare di truffe, si pensa subito al finto addetto del gas che tenta di intrufolarsi nelle case degli anziani con una scusa, per derubarli. Invece ultimamente la “truffa” per eccellenza sembra diventata quella degli autovelox, o almeno così sostiene nientepopodimeno che il Ministero dei Trasporti, che in un documento sulla “sicurezza stradale” titola “BASTA AUTOVELOX TRUFFA”, col sottotitolo “via gli impianti mangiasoldi, meno burocrazia, utilizzo solo di strumenti certificati, tutelando i cittadini da multe pazze”.

Vien da chiedere se il Ministro sa che, per direttiva del suo Ministero, solo dispositivi certificatissimi possono essere installati da sempre, e che ogni postazione fissa deve avere il via libera del Prefetto competente per territorio, al termine di un procedimento amministrativo di valutazione. L’iter per l’installazione è complesso, e i requisiti della strada molti: ci deve essere un rettilineo, senza frequenti intersezioni con altre strade e senza attraversamenti a raso. Inoltre, gli autovelox devono essere segnalati in anticipo: cosa c’è di truffaldino in tutto ciò?

Gli autovelox fanno scattare la multa se la velocità del veicolo supera quella stabilita per quella strada in base alle sue caratteristiche e anche alle convenzioni internazionali: il limite non è interpretabile, chi lo infrange viola una norma e mette a repentaglio se stesso e gli altri. Se le sanzioni volte a sanzionare il non rispetto del limite sono multe “pazze”, tanto vale, suggerisce Lorenzo Berselli, Ispettore della Polizia di Stato, responsabile della comunicazione di ASAPS, abolire tutte le multe per eccesso di velocità e già che ci siamo abolire del tutto anche i limiti di velocità. Bisognerebbe però rivedere anche le leggi della fisica, perché evidentemente quello che ci insegnano sulla velocità di impatto in caso di incidente è sbagliato. E bisognerebbe sospendere le indagini su Fleximan, che agirebbe nell’adempimento di un dovere sociale: e infatti anche i sindaci cedono sugli autovelox, “dobbiamo tener conto del sentire dei cittadini”.

Paola Di Caro, giornalista del Corriere della Sera che 18 mesi fa ha perso il figlio Francesco, travolto da un’auto mentre era sul marciapiede a Roma, scrive: “Vorrei che solo un giorno nella sua vita -uno solo- Fleximan provasse quello che provo io quando vado sulla Colombo, dove mio figlio è stato ammazzato, a sistemare i fiori. E poi vado al Verano, dove l’ho visto rinchiudere per sempre dietro una colata di cemento. A 18 anni”.

Siena 1965 – Bologna 2024: la storia si ripete

(*) “Era il maggio del 1965 ed il sindaco Fazio Fabbrini guidava Siena da pochi mesi quando presentò l’ordinanza di chiusura al traffico del centro storico: l’11 luglio entrò in vigore la ZTL (prima al mondo) che vietava il traffico nel nucleo centrale del centro storico 24 ore su 24, salvo alcune eccezioni: bus, taxi, ambulanze e i veicoli per lo scarico e carico merci che potevano muoversi per qualche ora la mattina.

Fu la rivolta. I negozianti iniziarono una lunga serrata dei loro esercizi, organizzarono picchetti di protesta, con le automobili accerchiarono il Comune e per ore suonarono il clacson. Le associazioni degli Industriali, degli Albergatori, l’Ordine dei Medici e l’ACI fecero un esposto al ministro dei Lavori Pubblici. Il PCI minacciò il sindaco di espellerlo dal partito, i socialisti minacciarono di lasciare la maggioranza e votarono una mozione della DC che voleva ripristinare il traffico cittadino. Nel 1966 fu costretto a dimettersi. Lasciò dicendo che “la chiusura del centro cittadino al traffico è la cosa più giusta che ho fatto. La storia mi darà ragione”. Lo derisero. Aveva ragione.

Pochi anni dopo a Siena si presentò il sindaco di Amsterdam Ivo Samkalden per studiare “un modello virtuoso di gestione della mobilità cittadina”. All’epoca era alle prese con l’associazione Stop de Kindermoord che protestava per avere più sicurezza nelle strade. La giunta Samkalden nel 1976 presentò il primo piano di riforma del traffico cittadino sottolineando come “Siena fosse l’avanguardia europea sulla gestione del traffico, un sistema efficace per il benessere dei cittadini”.”

(*) Articolo di Giovanni Battistuzzi – il Foglio – 10-12-2018

Nel 2024 un altro Sindaco ed un’altra città sono sotto tiro per un’altra decisione storica: quella di diventare la prima “città 30” italiana, sulla scia di decine di esempi di successo in tutta Europa, seguendo le prescrizioni dell’ OMS, le indicazioni del parlamento UE e le stesse previsioni del Piano per la sicurezza stradale del Ministero dei Trasporti.

Nulla di tutto questo sembra contare e, mentre l’Olanda ha capito la lezione, l’Italia strangolata dalla mobilità automobilistica è sempre quella: le proteste e le derisioni a Bologna in questi giorni sono identiche a quelle di 60 anni fa a Siena. Noi invece ringraziamo il Sindaco Lepore, per aver avuto il coraggio di mettere la città 30 nel programma elettorale, averla approvata nei primi mesi della legislatura e realizzata dopo meno di 2 anni.

Ed anche questa volta attenderemo con calma che la storia faccia il suo corso.

In bicicletta sui luoghi della memoria a Carpi

“Ricordati di non dimenticare” affermava Nuto Revelli e noi ricordiamo che la Città di Carpi è stata insignita della medaglia d’oro al merito civile e della medaglia d’argento al valor militare “per i sacrifici delle sue popolazioni e per l’attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale”. Da qui nasce la proposta di ampliare il “Percorso della Memoria” del Comune di Carpi con i “Percorsi della Memoria in Bicicletta”.
L’idea è di diversi anni fa quando Paola Fregni pedalando nelle valli tra Budrione e Migliarina, notò altri ciclisti, coppie, famiglie con bambini, fermi a guardare i cippi in ricordo dei caduti della lotta partigiana, e quando qualche anno dopo Giorgio Pinelli, appassionato fotografo e volontario ANPI, realizzò il censimento fotografico di cippi, lapidi e monumenti presenti sul territorio del comune di Carpi. Unendo le forze si è arrivati a tracciare i percorsi, verificarli e trasferiti su Google Maps grazie al lavoro dei Soci Fiab Modena Sezione Carpi (Paola, Gisella, Roberta e Mara) in collaborazione con ANPI Carpi.
Gli elementi di interesse (cippi, lapidi, monumenti, steli, sacrari) sono una sessantina e dotati di un QR Code per accedere alla banca dati del Memoriale Digitale della Resistenza Modenese. Osservandone l’ubicazione e analizzando i tracciati stradali, si sono individuati itinerari su strade a basso traffico, escludendo statali e provinciali con lunghezze percorribili con ogni tipo di bici.
Il risultato sono quattro percorsi ciclabili che attraversano sia l’esistente “Percorso della Memoria” come il Campo di Concentramento di Fossoli, il Museo Monumento al Deportato, il Poligono di Tiro, sia la maggior parte dei Cippi, Monumenti, Lapidi, Lastre, Steli, Sacrari del territorio. In totale una lunghezza complessiva di oltre 150 km suddivisi in quattro itinerari con lunghezze variabili dai 30 ai 50 chilometri.
Ogni itinerario è completato con una scheda descrittiva dettagliata, con foto e con un file GPX.
Per chi volesse percorrerli in compagnia nei mesi che ci separano dagli ottanta anni della fine della guerra, Fiab ha inserito nel calendario i quattro percorsi: i primi tre già nel 2024 (21 Aprile, 8 settembre e 13 ottobre) e l’ultimo nel 2025.
Ogni dettaglio del progetto “Percorsi della Memoria in Bicicletta” sul sito di Fiab Modena: https://www.modenainbici.it/progetti/sui-percorsi-della-memoria-a-carpi/