I diversi colori della mobilità sostenibile

corso donne straniere

I diversi colori della mobilità sostenibile
Riparte dal 3 ottobre il corso della Fiab di Modena per insegnare l’uso della bicicletta alle donne migranti

Dal 3 ottobre riparte il corso della Fiab di Modena I diversi colori della mobilità sostenibile rivolto alle donne migranti (ma non solo) per insegnare l’uso della bicicletta. Della durata di sei incontri, si tiene nelle giornate di martedì e giovedì, dalle ore 18 alle 19, presso il piazzale ove ha sede l’Arci di Modena (Via IV Novembre 40).

Grazie all’aiuto delle volontarie dell’Associazione, vere colonne portanti di tutto il progetto, le partecipanti vengono familiarizzate con il mezzo a due ruote, imparando progressivamente a stare in equilibrio da sole ed, infine, a tentare la grande prova: pedalare da sole in strada. Un’attenzione particolare viene non a caso riservata alla sicurezza stradale ed alla segnaletica, con informazioni e consigli sui modi più corretti di spostarsi nel traffico.

I diversi colori della mobilità sostenibile è un originale progetto della Fiab di Modena, attivo da quasi dieci anni, che persegue l’obiettivo di rendere le donne perfettamente autonome negli spostamenti quotidiani con la bicicletta. A causa del successo dell’iniziativa, molto apprezzata dalle donne, nel corso degli anni i corsi sono divenuti più numerosi e vengono svolti con una cadenza semestrale, a primavera ed a fine estate.
Si accede ai corsi attraverso una preiscrizione ed il pagamento di una minima quota assicurativa.
Le biciclette sono fornite dalla Fiab.

Informazioni:
www.modenainbici.it

La libertà viaggia su due ruote

corso donne straniere

Diceva Susan B. Anthony, una delle pioniere del movimento per i diritti della donna, che “l’uso della bicicletta ha contribuito all’emancipazione femminile più di ogni altra cosa al mondo.”

In una società autocentrica come la nostra un’affermazione come questa può sembrare superata, eppure é proprio il circolo vizioso provocato dalla carenza di adeguati piani sulla mobilità a spingere da un lato le persone all’uso del mezzo privato, dall’altra a relegare nella marginalità la fascia di popolazione più povera.

A farne le spese sono soprattutto le donne immigrate, la cui difficoltà é aggravata dal fatto che molte di loro non sanno usare la bicicletta, mezzo che permetterebbe loro, a costo zero, di muoversi in autonomia. Da dieci anni la Fiab di Modena si fa carico di questo bisogno, istituendo corsi per insegnare alle donne straniere l’uso della bicicletta. Per fare questo usufruiamo dell’aiuto di varie associazioni come la Uisp, l’Arci e la Casa della Donna e soprattutto, colonna portante del nostro progetto, delle volontarie, che assicurano con il loro entusiasmo il buon esito dei nostri incontri. La tenacia delle allieve, che raramente concludono i nostri corsi semestrali senza imparare a stare in equilibrio sulle due ruote, fa il resto.

Nonostante tutta questa sinergia positiva, il numero di volontarie presenti non riesce a coprire il crescente numero di domande cui ci troviamo a far fronte, per questo motivo da queste pagine lanciamo un appello a tutte le donne che hanno voglia di darci una mano per il prossimo corso di ottobre o per quelli che verranno. Per chi fosse interessata può scrivere a: redazione@modenainbici.it

Il corso, sei incontri, riparte il 3 ottobre e si tiene nelle giornate di martedì e giovedì, dalle ore 18 alle 19, presso il piazzale ove ha sede l’Arci di Modena (Via IV Novembre 40).

Luana Marangoni
www.modenainbici.it

 

Della bici non si butta via niente

Uno dei tanti slogan delle Ciclofficine popolari, prende spunto dalla nostra tradizione enogastronomica. Nulla di più vero!

Nelle Ciclofficine si recupera, si ripara, si immagina e si costruisce la propria bicicletta, anche ex-novo, in piena autonomia, nell’ottica del riciclo. Si hanno a disposizione, gratuitamente, tutti gli attrezzi necessari alle riparazioni e come spesso accade, se si necessita di qualche pezzo di ricambio, sicuramente lo si può trovare, più o meno in buone condizioni, tra le tante biciclette, che periodicamente vengono recuperate nei Punti di Raccolta dei rifiuti ingombranti, negli Uffici Oggetti Smarriti o date in donazione, vengono messe a disposizioni di tutti. Nelle Ciclofficine non si compra e non si vende nulla; di prassi viene chiesta un’offerta libera, a seconda delle proprie possibilità, e se si frequentano spesso, è possibile fare una sottoscrizione di circa 10 euro annuali, per sostenere le spese comuni.Le Ciclofficine sono luoghi autogestiti, a tutti coloro che ne usufruiscono viene chiesto di pulire dove si sporca, di rimettere in ordine gli attrezzi usati e di rispettare la raccolta differenziata dei rifiuti; è semplicemente un luogo dove si condividono i materiali e le conoscenze; se non si sa fare qualcosa si chiede agli esperti meccanici, che volontariamente diffondono l’abc dell’autoriparazione, e viceversa se si vede qualcuno in difficoltà si offre il proprio aiuto. Luoghi fisici dove ci si sporca le mani, luoghi di condivisione del “sapere meccanico” e di cene sociali, di riflessione sul consumo critico dei beni, di supporto alla mobilità dolce, e soprattutto di rimessa in circolo delle due ruote. Come? Con alcune giornate di festa nelle piazze, dedicate ai velocipedi recuperati e revisionati dai meccanici durante l’anno.

Questo 24 settembre, sarà proprio la nostra Ciclofficina popolare “Rimessa in movimento” di Modena, a coinvolgerci in un’appassionata Asta di Beneficienza di biciclette recuperate al giusto prezzo, battute con la formula “visto e piaciuto” al miglior offerente.

 

Marina Beneventi

www.modenainbici.it

Alla scoperta delle antiche vie d’acqua: una pedalata per la ricerca

partenza – vie d’acqua

Alla scoperta delle antiche vie d’acqua: una pedalata per la ricerca

Questa seconda tappa alla scoperta in bici delle antiche vie d’acqua ci ha portato nella pianura a nord di Modena a conoscere il Canale Naviglio o canale delle navi. Questo canale, che oggi ha solo la funzione di deflusso delle acque della città, era infatti un canale navigabile, la via d’acqua del ducato Estense, che collegava Modena con Ferrara e l’Adriatico.

Il Canale Naviglio, per essere navigabile, ha richiesto nei secoli un’opera assidua di manutenzione e la costruzione di manufatti che consentissero di mantenere un livello dell’acqua sufficiente per il transito delle imbarcazioni e un vero e proprio porto fluviale.  Alcuni di questi manufatti si sono conservati e si possono osservare percorrendo la sponda del canale.

Il timore di pedalare con una temperatura elevata è svanito subito; un’aria frizzante ci ha accompagnato per tutta la giornata anche nella terra della Bonifica nonantolana e nell’area del Canal Torbido.

Una gioia per gli occhi sono stati gli immensi campi di grano maturo. E che dire della sosta pranzo nell’area naturalistica del Torrazzuolo? Meravigliosa! Le torte buonissime. Il ricavato del pranzo è stato devoluto all’Associazione A.I.M.E.D.  che sostiene la ricerca sulla distrofia muscolare.

Per non dimenticare. Da Gina a Gabriella: un percorso, due medaglie d’oro.

Sabato 22 aprile abbiamo pedalato lungo strade basse per arrivare nei luoghi del martirio di Gabriella degli Esposti, medaglia d’oro al valor militare, che sacrificò la sua esistenza per amore della libertà. Nonostante avesse due bambine piccole e fosse in attesa di un terzo figlio, trasformò la sua casa in una base della Quarta Zona della Resistenza. Si impegnò nell’organizzazione dei primi gruppi di difesa della donna, scendendo in piazza a Castelfranco per protestare contro la guerra e la scarsità di alimenti.

Era il luglio del 1944, i tempi erano difficili, ma lei non ebbe paura, nè tentennò quando vennero a casa a prelevarla, sotto gli occhi della figlia, per cercare di farla parlare e tradire il marito ed i suoi compagni di lotta. La prelevarono dalla sua cascina il 13 dicembre del 1944 e la trascinarono insieme agli altri nel luogo di prigionia, dove fu barbaramente seviziata e torturata.

Il 17 dicembre fu uccisa e trasportata nel greto del fiume Panaro, a San Cesario,  insieme ad altri 9 compagni. La sua storia , con grande commozione e straordinaria semplicità, abbiamo avuto l’onore di sentirla raccontare dalle parole di Savina Reverberi Catellani, sua figlia, che quel lontano 13 dicembre aveva solo 12 anni. Parole piene di dolore e di amore, verso quella madre che le fu strappata via con odio e violenza e che non vide più dopo quel giorno. Ascoltare dalle sue parole questa terribile tragedia é stata un’esperienza commovente e formativa: é stato un privilegio conoscere questa donna che non si é lesinata nel raccontare questa triste pagina della sua storia personale, che é diventata storia collettiva, che non va perduta nè dimenticata in alcun modo.

Saremmo rimasti ore ed ore ad ascoltare Savina e le parole che fluivano dalle sue labbre, come se non fossero passati 74 anni da quel triste giorno. Altre persone ci attendevano a Castelfranco per aiutarci a ricostruire gli ultimi giorni della sua vita, la tortura all’Ammasso Canapa, l’uccisione sul greto del Panaro,  le pagine del libro di Savina letti dagli allievi delle scuole Spallanzani e Pacinotti,  Cosi abbiamo inforcato le nostre biciclette ed abbiamo continuato il nostro cammino della memoria lungo le tappe designate, fino a giungere a San Cesario.

La giornata é terminata al Bersò delle rose del parco della Resistenza di Modena, per onorare un’altra medaglia d’oro della storia della nostra Resistenza: Gina Borellini, alla cui vita e il prossimo sabato 29 aprile alle h 10, sarà dedicata una stele.

commemorazione gabriella degli esposti

Sulle orme della memoria, a colpi di pedale.

Sul suo profilo facebook si definisce “un lento viaggiatore solitario in bicicletta”, ma da quando ha deciso di partire per Israele, Giovanni la solitudine non l’ha ancora assaggiata….

Autorità amministrative, semplici cittadini, associazioni ed istituzioni lo vogliono incontrare, conoscere ed accompagnare per un breve tratto del suo viaggio. E’ stato cosi’ che domenica scorsa, anche noi della Fiab di Modena abbiamo accolto l’invito dell’Istituto Storico  e della Comunità Ebraica di Modena e siamo andati ad incontrare il nostro amico a Nonantola per poi pedalare insieme a lui fino a Modena ,dove nel primo pomeriggio ci attendeva Federica di Padova per un itinerario nei luoghi della memoria ebraica cittadina. Con lei abbiamo visitato la Sinagoga, e , dopo un breve passaggio nei luoghi simboli della città (piazza Torre, Le Carceri di Sant’Eufemia) abbiamo pedalato ancora fino a Villa Bisbini in località Fossalta che nel periodo post-bellico  fu luogo di accoglienza di giovani donne e uomini in attesa di emigrare verso la Palestina.

Ed é proprio il motivo dell’accoglienza che ha spinto Giovanni Bloisi ad affrontare i 2500 chilometri in bicicletta che da Varano Borghi lo porterà fino a Brindisi, da dove si imbarcherà per la Grecia ed infine per Gerusalemme in aereo. Tra le molteplici mete del suo pedalare in Italia e lungo l’Europa sulla scia della memoria, una di queste in particolare  é rimasta impressa nel suo cuore: la ex colonia fascista di Sciesopoli a Salvino nella Val Seriana  (Bergamo), che accolse nell’immediato dopoguerra 800 orfani ebrei, raccolti in giro per l’Europa tra le macerie dei ghetti , le rovine dei lager o perduti nella foresta a cibarsi di sole radici. Dopo un tentativo di speculazione fallito, la ex colonia  ora é in rovina ed é nato una appello corale per salvarla e trasformarla in luogo della memoria. Giovanni ha fatto suo questo appello corale ed é per questo che ora é in viaggio  fino in Israele, dove  incontrerà alcuni degli ebrei sopravvissuti  accolti a Selvino e sarà ospite nel kibbutz di Tze’lim, costruito proprio da e  per loro.

Per saperne di piu’

https://www.facebook.com/SciesopoliEbraica

 

Una bici per la vita

laboratorio ciclo officina

Una bici per la vita

Fra le numerose attività proposte dalla Fiab di Modena per promuovere l’uso della bici figurano due corsi rivolti a categorie speciali di persone: ‘Donne in bici‘ coinvolge le straniere e insegna loro a usare la ciclo nei normali spostamenti urbani; ‘Ciclofficina‘ interessa invece gruppi di giovani migranti non accompagnati e minori richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza modenesi.

L’attuazione dei corsi è resa possibile grazie alla collaborazione con altri enti e associazioni. Nel caso di ‘Ciclofficina‘, in particolare, il partenariato è stato sviluppato col Ceis, la Comunità l’Argonauta e il Laboratorio Tric e Trac.

La Fiab recupera le biciclette, i pezzi di ricambio, le attrezzature, i locali per svolgere le attività e tiene i corsi con i propri volontari, articolandoli in più incontri a settimana, durante i quali fornisce loro competenze pratiche nella riparazione della bicicletta, ma anche sul corretto uso del mezzo e sui dispositivi di sicurezza da utilizzare.

I ragazzi imparano ad aggiustare le biciclette utilizzando strumenti molto semplici. Ad ogni partecipante viene consegnata una bicicletta che, dopo essere stata lavata, smontata e revisionata, è infine rimontata. La bici così faticosamente rimessa a nuovo è regalata alla fine del corso, consentendogli una più ampia autonomia di spostamento in città e lo sviluppo delle relazioni sociali. Una bici aiuta l’integrazione e apre nuove prospettive di vita.

Per ampliare il progetto di ‘Ciclofficina’, la Fiab cerca altre biciclette usate da adulto, di qualsiasi genere, gli strumenti base per la manutenzione (chiavi inglesi, pinze, cacciaviti) e anche volontari desiderosi di effettuare un’esperienza originale e ricca di risvolti umani.

Giuseppe Marano
www.modenainbici.it

2 ruote – 19 febbraio 2017

Una bicicletta di speranza per i minori richiedenti asilo

laboratorio ciclo officina

Presso la Comunità “L’Argonauta” di Modena sono ospitati minori stranieri non accompagnati e minori richiedenti asilo che frequentano corsi di alfabetizzazione primaria e/o corsi di formazione professionale presso le scuole secondarie di Modena, prevalentemente la mattina.

«Abbiamo pensato di coinvolgere questi ragazzi nell’attività di ciclofficina che oltre ad impegnarli per due pomeriggi la settimana, fornisce loro competenze pratiche nella riparazione della bicicletta e alla fine del progetto la bicicletta aggiustata da loro gli verrà assegnata e potranno utilizzarla negli spostamenti in città. Inoltre prevediamo incontri formativi sul corretto uso del mezzo e sui dispositivi di sicurezza da utilizzare. Tutto questo in collaborazione con i volontari della Fiab che hanno accolto con grande favore la nostra proposta di collaborazione», spiega Alessio Costetti, coordinatore delle Comunità minori di Modena e Parma del Gruppo Ceis, illustrando un interessante progetto che vede coinvolto anche il mondo del volontariato.

«Da anni organizziamo corsi di bicicletta nelle scuole, laboratori di ciclomeccanica e di cicloturismo per i ragazzi e per gli adulti. Ci è venuto naturale affiancare il Ceis in questo progetto – gli fa eco Giorgio Castelli, volontario Fiab e presidente della sezione modenese che si dedica alla formazione dei ragazzi due volte la settimana come tutor meccanico di biciclette – Come facciamo sempre nelle nostre attività, abbiamo attivato le risorse dei nostri soci e delle altre associazioni di volontariato modenesi, per raccogliere parte delle attrezzature e le biciclette usate da riparare o da utilizzare come pezzi di ricambio. Prezioso è stato il contributo del Laboratorio Tric e Trac che ci ha fornito morse, chiavi e biciclette».

Tutti i ragazzi della Comunità frequentano il laboratorio di ciclofficina in gruppi di 5/6 ragazzi per volta affiancati da 2/ 3 volontari in modo da essere seguiti da vicino. «I ragazzi imparano così ad aggiustare biciclette e utilizzano strumenti molto semplici per esercitare la propria manualità», afferma Costetti. Ad ogni ragazzo viene assegnata una bicicletta che viene lavata e smontata revisionata e rimontata completamente. «E’ una soddisfazione vedere un ragazzo che passa del tempo per riportare una catena arrugginita a nuovo splendore – conclude Castelli – Si crea così la propria bici che gli permetterà una nuova autonomia di movimento e forse una nuova esperienza utile per il futuro».

Il laboratorio si trova all’interno della Comunità e in questo primo mese di attività i ragazzi sono stati molto collaborativi, hanno frequentato con entusiasmo e desiderio di apprendere. Alcuni di loro hanno già completato una bicicletta con grande soddisfazione personale, che utilizzano negli spostamenti. Per ampliare il laboratorio servono biciclette usate da adulto di ogni genere, chiavi da meccanico, pinze, cacciaviti e volontari.

articolo stampa

Modena-Fossoli: 3° Edizione Pedalata non Competitiva “Gambe di Emilio”

Domenica 29 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria “Casa Mazzolini” organizza una pedalata non competitiva in direzione Fossoli, per visitare l’Ex Campo di Concentramento.

– All’arrivo a Fossoli troveremo un volontario a farci da guida.
– Auto al seguito sulla quale poter appoggiare un’eventuale maglietta di ricambio e che servirà da supporto in caso di forature o rotture in genere

Alleneremo il corpo e la memoria. Può partecipare chiunque. Lo scopo è quello di pedalare in compagnia.

Andata e Ritorno sono circa 60/70km. Ritrovo ore 9.30 presso il Bar Molinari in Via Emilia. Al caldo. Per prendere un caffé, conoscersi, riconoscersi e partire.

NON E’ UNA INIZIATIVA IN CALENDARIO FIAB: Per qualsiasi informazione scrivete a benvenuti@casamazzolini.it o chiamate direttamente Emilio al 3478241496

E io pedalo. Donne che hanno voluto la bicicletta

e io pedalo - donne che hanno voluto la bicicletta

e io pedalo – donne che hanno voluto la bicicletta

Sabato 24 settembre a Maranello, nell’ambito delle celebrazioni legate ai 70 anni dal voto alle donne, si è tenuta lo spettacolo teatrale di Donatella Allegro: “E io pedalo. Donne che hanno voluto la bicicletta”, una storia tutta al femminile di emancipazione, amore, libertà e coraggio.

Abbiamo conosciuto Donatella Allegro nel 2012 in occasione dell’interessante progetto dell’ ERT “Il ratto d’Europa”, che ha visto lavorare insieme in un dialogo interattivo gli attori e le varie realtà territoriali modenesi tra cui la FIAB, dialogo che è proseguito con la meravigliosa esperienza di “Carissimi Padri”.

Il sodalizio che è nato tra la nostra associazione e gli attori dei due progetti ha avuto come “mezzo di trasmissione” la bicicletta e ci ha dato l’opportunità di unire la nostra passione per la bici ed il loro amore per il teatro. Pedalando insieme a loro ed alla cittadinanza abbiamo riflettuto, discusso e ci siamo interrogati sulla nostra idea di Europa e sulle origini storiche e culturali della Prima Guerra Mondiale.

Ma la nostra collaborazione con Donatella è proseguita quest’anno nel corso del suo ultimo lavoro “E io pedalo. Donne che hanno voluto la bicicletta“, della quale è regista ( interpreti: Irene Guadagnini ed Eugenia Rofi), spettacolo che ha esordito nel mese di giugno a Sant’Agata Bolognese, per poi replicare durante l’estate a Bologna ed a Modena

Questa volta l'”apporto” della nostra associazione è stato meno concreto e più esperienziale, essendo legato alla pratica, che perdura oramai da diversi anni, di insegnare l’uso della bicicletta alle donne migranti e che è sfociata in un vero e proprio progetto.

Ma veniamo al lavoro teatrale.

È un viaggio insolito, quello cui ci portano le due attrici di scena: la bici è ferma, in riparazione, eppure è come se corresse veloce come il vento, anzi come il tempo che scivola via un decennio dopo l’altro per circa un secolo, le parole si susseguono come pedalate: dure, leggere, allegre, drammatiche, storie di emancipazione al femminile, a cominciare da quella di Alfonsina Strada, che nel 1924 corse il giro d’Italia insieme agli altri uomini, storie spesso dimenticate di staffette partigiane che hanno dato la propria vita per amore della libertà, storie di eccellenza consapevole, come quella dell’atleta olimpionica Antonella Bellutti ed infine storie dei nostri giorni, esperienze moderne dove la bicicletta diventa un mezzo di emancipazione e consapevolezza, un mezzo per volare leggere come farfalle, un mezzo necessario per muoversi in autonomia

Incontriamo Donatella a Modena 20 giorni dopo il debutto dello spettacolo teatrale a Sant’Agata Bolognese per farle alcune domande

1. Sappiamo che il tema dell’emancipazione femminile non ti è nuovo, pensiamo alla ricerca che hai svolto sull’esperienza storica dei Gruppi di Difesa della Donna tra Resistenza ed emancipazione, che è sfociato nello spettacolo “Pane, lavoro e pace”, oppure al lavoro sulla problematica del lavoro e dell’identità femminile di “E sei anche fortunata”; questa volta hai affrontato la tematica da un punto di vista diverso, raccontando di donne cicliste. Cosa ti ha spinto a fare questa ricerca?

Due direzioni diverse. La prima spinta è nata dal voler lavorare sullo sport femminile, avendo letto e ascoltato esperienze che mi avevano fatto rendere conto di quanto lo sport possa rivelarsi un concentrato di discriminazione di genere poco note, poco note perché spesso non le vogliamo vedere. Dico che è un “concentrato” perché lo sport, questo mondo apparentemente pieno di attrattive, ha tutti i problemi dell’emancipazione femminile: basti pensare all’enorme disparità nelle retribuzioni e il non accesso al professionismo. Quest’ultimo è un aspetto prettamente italiano, dato che in Italia il regolamento non prevede che lo sport femminile sia uno sport professionistico – e questa è anche una delle scuse per cui si pagano poco le donne … ma non è l’unica, naturalmente.

spettacolo - e io pedalo

spettacolo – e io pedalo

La seconda spinta nasce dal voler mettere in evidenza sia l’importanza che ha avuto per le donne l’accesso a sport tradizionalmente maschili, sia l’aspetto dell’iconografia dello sportivo, con tutti i suoi riflessi sessisti, o comunque stereotipati, presenti nei media, soprattutto sulle donne ma non solo.

Questi sono i temi che trovavo interessati nell’affrontare le tematiche donne e sport.

Però man mano che leggevo mi sono resa conto che lo sport agonistico era il punto di partenza ma non quello di arrivo, così il mio interesse si è focalizzato sulla bicicletta, che mi è sembrata il caso più interessante ed eclatante.

Poi naturalmente c’è un dato personale: anche per me la bici ha rappresentato una compagna molto importante della mia vita, anche se adesso la frequento meno di quello che vorrei.

Questi due aspetti sono confluiti in uno spettacolo sulla bicicletta come strumento di libertà, per tutti e in ogni parte del mondo, e come strumento di liberazione, nello specifico per le donne e nella storia di quest’ultimo secolo.

2. Alfonsina Strada, le staffette partigiane, Antonella Bellutti e poi le donne migranti, qual’é il filo conduttore del tuo spettacolo?

Potrei dare due risposte. Il primo filo è quello che lega alcuni casi esemplari in cui la bicicletta ha rappresentato uno strumento di emancipazione concreta, non solo nello sport ma anche nel potenziare un ruolo “attivo” della donna nella società.

Le storie che avete citato sono precedute da una specie di prologo molto scherzoso ma di grande importanza: accenniamo, per sketch, a pregiudizi di fine Ottocento-inizi Novecento molto diffusi in Italia, pregiudizi di cui erano oggetto le donne che andavano in bicicletta, con tutte una serie di presunte ricadute paramediche e fisiologiche. Si diceva, ad esempio, che la bicicletta danneggiasse gli organi riproduttivi, portasse malformazioni… inoltre era uno strumento considerato indecente per via della sua (sempre presunta) connotazione erotica. Noi queste cose le diciamo nello spettacolo, mostrando anche il coté ironico della letteratura dell’epoca, che dipingeva queste donne cicliste come strane ed eccentriche – come peraltro erano e come penso si debba essere a volte nella vita se si vuole ottenere qualcosa.

Questo aspetto ci interessa non solo perché racconta la difficoltà del conquistarsi questo strumento ma anche perché evidenzia come le argomentazioni adottate per criticare una qualsiasi conquista femminile siano sempre le stesse, ossia spiegazioni pseudo-scientifiche, pseudo-naturalistiche, fondamentalmente di controllo del corpo femminile, come quelle che contestavano l’accesso delle donne alla Magistratura poiché le si considerava “umorali”.

Dovremmo anche aver superato il concetto di natura come una sorta di entità divina e quindi immutabile; ma in realtà ancora oggi ci vengono date spiegazioni di questo tipo: dobbiamo tenerlo presente e dobbiamo non farci mai bloccare da queste argomentazioni.

corso donne straniere

corso donne straniere

Il secondo, possibile, filo conduttore è interno, ed è ben rappresentato dall’ultima di queste storie, vale a dire quella delle donne straniere che oggi imparano ad andare in bicicletta. Io mi sono basata sull’esperienza della FIAB di Modena, non solo perché ero venuta a conoscenza di questa attività, ma anche perché volevo essere molto concreta, molto specifica, volevo dire i loro nomi, quello che fanno quotidianamente nella vita, le cose pratiche che vengono fatte e come vengono fatte, così da poter pensare di farlo noi stessi.

Le storie delle donne che ho intervistato rappresentano da sole una miniatura di tutto lo spettacolo, che a sua volta è la miniatura di uno spaccato molto più grande. Queste storie ci fanno (ri)scoprire che andare in bicicletta può essere divertente, utile, comodo, economico, relativamente facile e che rende indipendenti. Le donne mi raccontano che da quando hanno la bici possono andare in giro da sole, non devono chiedere a qualcuno di accompagnarle; cosa che vale anche per noi, se ci pensiamo: per me la bici è stato lo strumento che mi ha permesso, finalmente, di uscire, la macchina non ce l’avevo, il motorino non ce l’avevo, l’autobus c’era fino all’una di notte …

Sono gli stessi elementi che tengono insieme tutte le storie dello spettacolo: in modo diverso, sono storie di professionismo, di lotta politica e di partecipazione civile.

3. Veniamo alla nostra precipua esperienza, quella del corso per insegnare alla donne straniere ad andare in bicicletta e all’incontro con le donne migranti: raccontaci come è andata e quali sono state le tue riflessioni , umori, reazioni…

L’esperienza è stata molto intensa. Quando ho sentito parlare di questo corso non ho pensato, come quando ho letto i diversi libri, “adesso guardo e vedo se è interessante”, ho pensato “è proprio ciò di cui voglio parlare”. Ho incontrato la Fiab di Modena, che mi ha spiegato il progetto e mi ha dato alcune informazioni che mi sono servite per lo spettacolo e mi ha infine indirizzata alla Casa delle Donne Migranti, frequentata da molte delle donne straniere che seguono i loro corsi.

Qui ho trovato una grande disponibilità, Edith mi ha messo in contatto con alcune di loro e le ho intervistate. Avevano una grande voglia di raccontare e mi hanno raccontato storie molto diverse tra loro; le ho registrate, ma mi hanno chiesto di non fare ascoltare in pubblico le loro voci. Quando le ho riascoltate a casa, da sola, mi sono molto emozionata.

corso donne straniere

corso donne straniere

Cosa ho imparato? Un sacco di cose. Più domande che risposte. Innanzitutto, sono tutte storie diverse, dato che ogni paese di provenienza ha una cultura differente, ma, come da noi, è diverso anche se si viene dalla città o da un paese. Ho notato da alcune di loro la bicicletta non era stata presa in considerazione per molto tempo, a volte per paure, altre per pregiudizi o divieti espliciti.

È interessante perché se si facesse un serio discorso di coscienza femminile si vedrebbe che il crinale fra queste due cose è molto sottile, perché una proibizione, a meno che non sia sanzionata con una punizione corporale immediata, molto spesso crea in noi una auto-moderazione, una auto-repressione che fa in modo che in questa cosa non ci buttiamo. Cito un caso molto chiaro: Edith mi ha raccontato che ha imparato ad andare in bicicletta a 28 anni, dopo che si era separata dal marito. Nonostante lui stesso avesse cercato di insegnarle, lei non era riuscita a imparare: solo dopo la separazione, che corrispondeva ad una presa di coscienza, c’è riuscita.

Così anche un’altra donna che ho intervistato, di origine albanese, racconta che a lei non era proibito andare in bicicletta, ma aveva molta paura; quando si è separata, ha fatto un percorso particolare, si è liberata di una famiglia molto oppressiva e ha iniziato a concedersi delle cose come andare in giro da sola, ed è per questo che ha imparato ad andare in bici.

Poi mi ha colpito molto la storia di Rima, di origine marocchina che, con un entusiasmo debordante, mi ha raccontato che adesso lei va ad aiutare al corso, e lo racconta come qualcosa che le riempie la vita. Mi ha detto mille volte “perché io salgo nella bici, giro e sono felice”, e vorrebbe che lo fossero anche le altre. In questa storia appare chiaramente il valore del passaggio di testimone tra donne, la trasmissione di un sapere, anche molto pratico, e di una presa di coscienza.

4. Dopo aver visto “E io pedalo” ti abbiamo coniato con una definizione che compendia due concetti : quella di direttrice e quella , più ludica, di ciclista, ti calza questa definizione? Quanto la senti tua? In particolare ti chiediamo se e come quest’esperienza ha cambiato il tuo approccio alla bicicletta e alla mobilità nel contesto urbano in cui vivi?

Oddio, “direttrice” mi fa un po’ paura però diciamo di sì… nel senso che si suppone che un regista diriga. Ma fino a un certo punto; diciamo che propone una direzione, poi, se funziona, qualcuno segue.

Ciclista? Come la donna del mio spettacolo sono una di quelle che in inverno non va in bicicletta, perché ho le borse, con la giacca mi suda la schiena… Insomma sono una di città, specie adesso che ho la macchina. Insomma, sono una ciclista poco attiva, ma sinceramente debitrice alla bicicletta. Tra i tanti episodi, ne cito uno. Al tempo del liceo la bici faceva da buchetta della posta: avevo un’amica che andava già all’università, mentre io frequentavo ancora il liceo, i cellulari non c’erano ancora e lei mi lasciava i bigliettini sulla bici.

spettacolo - e io pedalo

spettacolo – e io pedalo

Mi avete chiesto se lo spettacolo ha cambiato il mio approccio alla bici. In parte sì, perché mi sono resa conto che vorrei usarla di più, per sentirmi un po’ più libera. Io appartengo a quella fetta di popolazione che vive in macchina con l’auricolare del telefono nelle orecchie; tuttavia, facendo questa ricerca, leggendo tanti testi sulla bicicletta, sentendo tante esperienze, mi sono detta che un cambiamento ci vuole e che non è più procrastinabile. Il mondo non ci concede questi tempi, lo dice Antonella Bellutti in una sua intervista che cito nel testo. I ciclisti, afferma, sono personaggi scomodi perché danno un tempo che non è quello della città e del resto del mondo; si inseriscono con la loro leggerezza e con i loro ritmi diversi – che non sono necessariamente più lenti perché in città sono anzi più rapidi – in un mondo fatto modo differente. Essere scomodi però è importante, per non essere totalmente travolti da cose che non abbiamo scelto. Ma anche da quelle che abbiamo scelto.

Dunque sì, personalmente mi sento un po’ cambiata e spero che lo spettacolo faccia qualcosa in questo senso. Un’amica, che non si occupa né di teatro, né di bici, mi ha raccontato che dopo il debutto a Sant’Agata ha sentito un gruppo di signore dibattere su chi ancora andava in bici, chi non c’era mai andata, etc. I dibattiti nascono sempre dopo gli spettacoli e ho pensato “ecco era proprio quello che volevo”.