Strade scolastiche: indispensabili, da subito

Dal 2020 è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica” (art. 3 comma 58-bis del CdS): è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

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La settimana scorsa a L’Aquila un’automobile incustodita ha sfondato la recinzione di una scuola materna, uccidendo un bambino e ferendone altri cinque. È la norma davanti agli istituti scolastici di tutta Italia: mezzi a motore che sostano (spesso in doppia fila) o sfrecciano di fronte agli ingressi delle scuole di ogni ordine e grado, creando pericolo, inquinamento e cattiva educazione stradale.

Ancora una volta si sarebbe potuto evitare.

Dal 2020 infatti è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica”: un’area in prossimità della scuola, in cui è garantita una “particolare protezione dei pedoni e dell’ambiente” (art. 3 comma 58-bis del CdS). Per istituire una strada scolastica è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

Sono trascorsi due anni dall’introduzione delle strade scolastiche nel Codice della Strada, ma questo provvedimento è stato adottato solo da poche decine di comuni su un totale di oltre 8.000. Si tratta di un numero irrisorio a fronte del valore in termini di sicurezza e salute per i nostri bambini. L’inerzia da parte dei Comuni nell’istituirle ha purtroppo conseguenze molto pesanti: la tragedia di ieri è solo l’ultimo episodio sconvolgente di uno stile di mobilità non più accettabile, non più sostenibile.

Leggiamo messaggi di cordoglio da parte di Parlamentari, Presidenti di Regione e Sindaci.

Il cordoglio non basta. Si vada oltre.

Il Coordinamento Associazioni e Movimenti Ambientalisti per la Mobilità Attiva e Sostenibile chiede che i Sindaci colmino il ritardo accumulato in questi due anni, ed emettano, già da domani, divieti di transito e parcheggio ad auto e moto di fronte ad asili e scuole: bastano un’ordinanza, un cartello e una transenna. Chiediamo che i Dirigenti scolastici liberino da subito i cortili delle scuole dal parcheggio delle auto di personale e genitori, che sono un rischio quotidiano di tragedie e privano i più piccoli di spazi di gioco ed educazione all’aperto.

Chiediamo poi che il Parlamento renda obbligatoria l’istituzione delle zone scolastiche davanti a ogni istituto, con chiusura al traffico e alla sosta delle macchine come minimo negli orari di entrata e uscita degli alunni mediante barriere fisiche: ci appelliamo ai Presidenti e Consiglieri di Regione perché facciano pressione a livello nazionale in questo senso.

Facciamolo per i nostri bambini.

Chiedi strade e parcheggi: otterrai auto e traffico

Negli ultimi giorni sui giornali locali hanno trovato ampio spazio le notizie dedicate alla invasività e pericolosità delle attuali e future strade modenesi: mentre alla Sacca continua il dibattito sull’incremento previsto del traffico pesante, il nuovo sottopasso di via Panni viene bocciato dai residenti, ed al Colombarone i cittadini dopo anni di lotte riescono a far installare gli autovelox.

Sembra che abbiamo finalmente preso coscienza come collettività che le auto in città sono la principale fonte di pericolo, inquinamento, rumore, e comportano una tale occupazione dello spazio da impedire ogni altra forma di mobilità e di vivibilità.

Peccato che dall’altro canto, con uguale veemenza, sempre i cittadini continuano a reclamare strade più larghe, sottopassi, svincoli, parcheggi. È la sindrome di Nimby (“Not in my back yard”, ossia “non nel mio giardino”): come residenti pretendiamo strade tranquille e verdi, ma quando viaggiamo vorremmo andare veloci e parcheggiare dappertutto.

Vero è che le strade in pochi decenni sono state trasformate da spazi di vita in spazi di transito che, data la velocità e l’intensità della presenza delle auto, uniscono persone lontane ma separano tra di loro i vicini di casa. Succederà anche nella zona Sud di Modena dove nuovi sottopassi e bretelline risulteranno comodi per chi transita, ma comporteranno nuove cesure per chi ci vive.

Il fatto è che se chiedi strade e parcheggi otterrai auto e traffico, se chiedi luoghi vivibili per le persone otterrai persone e una maggiore vivibilità.

Condividiamo al 100% le recenti osservazioni di Diego Lenzini quando ricorda che “le strade che oggi sono concepite solo per le auto, dovranno essere al servizio di tutti, auto, bici, pedoni e trasporto pubblico. In passato sono state fatte scelte poco coraggiose che hanno incentivato l’uso dell’auto (il 45% degli spostamenti a Modena sono sotto i 2,5km). I nostri quartieri devono tornare aree da vivere e non spazi in cui si rischia di essere investiti”.

Abbiamo bisogno di una politica coraggiosa che sappia fronteggiare la sindrome Nimby: a costo di qualche cambiamento di abitudini, è fondamentale che ci si schieri con decisione dalla parte dei cittadini che chiedono spazio per le persone e non per le loro auto. Chiarendo che l’unica alternativa sarebbero finte soluzioni poco lungimiranti, che spostano il problema del traffico 5 km (e 5 anni) più in là.

Il diritto di andare a lavorare in bici

Il 1 maggio è stato l’occasione per fermarsi e riflettere sul significato del lavoro, sul diritto a svolgerlo (qualsiasi lavoro) con la giusta e riconosciuta dignità e nelle condizioni di massima sicurezza possibili. Noi di FIAB da anni ci impegniamo perché questa stessa dignità e sicurezza vengano estese e garantite a chi sceglie, al lavoro, di andarci in bici.

Uno potrebbe pensare che abbiamo tutti il diritto di andare al lavoro col mezzo che riteniamo opportuno: in effetti, nessuno ce lo vieta, ma nei fatti questo diritto è davvero garantito? Le cronache di Modena e provincia evidenziano che tra le (troppe) vittime della violenza stradale non ci sono tanto ciclisti della domenica in tutine di lycra ma soprattutto pendolari in bicicletta. Provate poi a chiedere a un residente di Nonantola se si sente tutelato nel suo diritto di usare la bicicletta per andare a lavorare a Modena.

Il diritto di andare a lavorare in bici è negato nei fatti da un sistema perverso di mobilità in cui gli unici ad avere garantita la possibilità di spostarsi verso la loro sede di lavoro senza rischiare quotidianamente la vita sono le persone alla guida di un’auto. E’ un sistema che esclude: taglia perfidamente fuori chi non ha le capacità economiche per acquistare e mantenere un’auto, o chi non vorrebbe spendere a questo scopo una buona fetta del proprio stipendio. La rivista Ecological Economics ha stimato che, con 15.000 km percorsi all’anno, una utilitaria come una Opel Corsa viene a costare tra carburante e spese di mantenimento oltre 6700 euro l’anno: si va a lavorare per mantenere l’auto per poter andare a lavorare. Sensato, no?

Non solo, ma ad essere tagliati fuori sono anche tutti coloro che non hanno le capacità fisiche di guidare un’auto. Persone con una limitata mobilità agli arti, con uno o più arti mancanti, con problemi di equilibrio, persone affette da tetraplegia, paraplegia: per ognuna di queste categorie, il sito inglese Cyclescheme suggerisce una tipologia di bici. Secondo un sondaggio del Transport for London, il 70% delle persone con condizioni invalidanti alla guida di un’auto possono in realtà andare autonomamente in bici.

Tutelare il diritto ad andare in bici al lavoro esige una revisione radicale delle infrastrutture dedicate alla mobilità. Significa tutelare l’inclusione, l’ambiente, la salute individuale e pubblica, il benessere e il diritto all’autonomia e alla felicità.

Bici & Pace

Come nella Paciclica, la storica pedalata che da tutta Italia porta i ciclisti FIAB alla marcia della Pace da Perugia ad Assisi, quest’anno dal 22 al 25 aprile FIAB ha organizzato un viaggio in bici sui luoghi della Memoria legati alla Liberazione dal nazifascismo. Una pedalata di impegno civile con diversi itinerari che, partendo da Brescia, Cremona, Parma, Sarzana, Pontremoli, Milano, Modena, Reggio, Bologna, Ferrara e Forlì, hanno portato i gruppi a pedalare insieme su luoghi simbolo, da Casa Cervi alla Linea Gotica, Marzabotto, Carpi, Fossoli, Conselice, Alfonsine, Ravenna, Isola degli Spinaroni.

Da Modena siamo andati a visitare Casa Cervi, dove abbiamo partecipato al rito della pastasciutta antifascista, e poi abbiamo accompagnato un gruppo a Fossoli e Carpi. Ambientalismo e pacifismo sono nostri temi fondanti (tanto che la nostra sede è a Casa della Pace) e la bici è uno strumento che coniuga questi due argomenti, perché da sempre rappresenta un mezzo che permette alle persone di ampliare scambi economici e culturali, senza impattare negativamente sull’ambiente attraversato, rispettandone gli equilibri e la sicurezza.

Noi crediamo che questo mezzo debba tornare ad essere privilegiato non solo per scopi turistici e ricreativi, ma sostenuto nell’uso quotidiano per pacificare le nostre città, che sono da decenni ostaggio della violenza motoristica. Che si esprime con una incidentalità intollerabile, una occupazione totalitaria dello spazio che impedisce qualsiasi altra funzione pubblica, un inquinamento acustico ed ambientale che rendono invivibili gli spazi aperti.

Ci tocca riprendere il pensiero di Danilo Dolci (“il Ghandi italiano”) quando con il termine “omile”, (ovile umano) indicava la degenerazione della città in cui le persone non stanno davvero insieme, ma semplicemente si ammassano in un uno stesso luogo. La città diventa omile quando perde lo spazio pubblico, la democrazia vera, la gentilezza, la civiltà, la bellezza, la forza dei legami interpersonali. Insomma, la pace con l’ambiente ed il prossimo.

Ogni cittadino vi potrebbe indicare nella velocità ed aggressività delle auto una primaria fonte di conflitto e pericolo della vita in città. È ora di prendere atto che la mobilità attiva, oltre ad essere una risposta efficiente per quasi la metà degli spostamenti cittadini, è anche un eccellente modo di riportare pace e fiducia nei rapporti tra le persone. Non si può continuare a considerarla un fastidio a cui destinare spazi e risorse marginali.

Mobilitiamoci per le zone scolastiche

Giorni fa abbiamo avuto il piacere e l’onore di partecipare, quali giurati, alla selezione dei primi tre disegni classificati del concorso, rivolto alle classi seconde delle Scuola Secondaria di primo grado di Cavezzo, per la creazione del logo “Tutti in sella”, in occasione del progetto regionale Mobilityamoci, a cura del CEAS Tutti per la TERRA.

Ma un “dettaglio”, assai importante, è che il comune, da mesi, ha chiuso l’area antistante le scuole alle automobili realizzando in maniera semplice, una di quelle “zone scolastiche”, previste dal nostro codice della strada, in cui “possono essere limitate o escluse la circolazione, la sosta o la fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli, in orari e con modalità definite con ordinanza del sindaco”.

Queste zone sono assai importanti per una lunga serie di motivi:

  • Incentivano modalità di spostamento come l’uso della bici o l’andare a piedi.
  • Favoriscono la socializzazione e l’autonomia dei ragazzi,
  • Ne tutelano la salute riducendo l’inquinamento da traffico, gas di scarico e polveri, davanti alle scuole.
  • Riducono il rischio di incidenti dovuti all’assembramento selvaggio dei genitori che devono arrivare il più possibile vicino all’ingresso delle scuole.

Davanti alle scuole di Cavezzo c’è oggi una bella distesa di biciclette ed è un piacere ascoltare i commenti dei ragazzi quanto raccontano come sia bello poter andare a scuola in autonomia e con gli amici e gestendosi il tempo. Dovrebbe essere la normalità. Quando i genitori portano i bambini a scuola in auto perché non si fidano a mandarli soli in quanto tutti li portano in auto, ci si rende conto che nei nostri cervelli è avvenuto un qualche tipo di cortocircuito.

Le zone scolastiche, specie se temporanee, non sono difficili ne costose da realizzare. Magari si potrebbe pensare di farlo anche coinvolgendo gli studenti, trasformando gli spazi da grigi ed anonimi parcheggi a nuove piazze, magari con del verde ed attrezzate con aree destinate al gioco e alla socializzazione dei ragazzi.

Potrebbero essere i centri di spirali virtuose che spingano i quartieri in cui sorgono le scuole verso una trasformazione da città delle auto a citta delle persone. Il permettere ai nostri ragazzi di andare a scuola in autonomia e sicurezza dovrebbe essere un dovere morale dei nostri amministratori, sarebbe un enorme investimento per il nostro futuro.

Eppure vediamo mamme che accompagnano i loro bambini a scuola, con bacino sulla guancia, quando sono già iscritti all’università

Auto o condizionatore?

La soglia di Pm10 a Modena nel 2022 è già stata superata per 44 volte (un giorno su due) ed abbiamo già sforato il numero di giornate permesse in un anno. Nel 2021 la media annuale dei PM10 è stata oltre il doppio del limite massimo stabilito da OMS, mentre biossido di azoto e PM2,5 oltre il triplo. Secondo il World Air Quality Report nell’ultimo mese nella nostra città la qualità dell’aria è la settima peggiore al mondo, addirittura dietro a megalopoli come Dacca.

Le polveri sono un inquinamento che non si vede ma che crea gravi problemi alla salute soprattutto dei più piccoli, degli anziani e di chi già soffre di patologie cardio-respiratorie, spesso i nostri familiari più deboli a cui dedichiamo le cure maggiori. Non è una situazione nuova ma nessuno interviene in modo deciso; anzi, appena i valori giornalieri tornano nei limiti, vengono subito annullate le misure restrittive sul traffico.

Non è facile risolvere un problema decennale in pochi mesi, ma è ora almeno di iniziare a fare quello che è nelle nostre possibilità. Tra queste c’è sicuramente una revisione delle politiche sulla mobilità, visto che secondo i dati del PUMS l’ 83% dei tragitti in auto inizia e finisce nel comune di Modena e il 45% di questi è più corto di 2,5Km: basterebbero questi due numeri per capire che nell’immediato è necessario incidere per ridurre drasticamente il traffico automobilistico inutile.

Ed invece di blocchi del traffico giornalieri, si dovrebbero imporre misure permanenti come l’estensione del limite del 30kmh a tutte le zone residenziali: oltre a minor rumore ed inquinamento, favorirebbe anche la scelta dell’utilizzo della bici nei percorsi casa-scuola o casa-lavoro perché diminuendo la velocità del traffico aumenterebbe la sicurezza per ciclisti e pedoni, che è il primo motivo per cui le persone non camminano o non pedalano.

Oppure istituire il divieto di transito/parcheggio auto davanti alle scuole, dove i nostri ragazzi rimangono per tutto l’arco della giornata. Con un piccolo cambio di abitudini, accompagnarli a piedi od in bici potrebbe diventare una sana consuetudine anche per gli adulti.

Ognuno di noi, davanti al probabile razionamento delle fonti energetiche fossili deve iniziare a domandarsi quali comportamenti virtuosi tenere: cambiare la modalità di qualche spostamento quotidiano, oltre a non essere un grande sacrificio reale, ha anche il grande vantaggio che è sempre e comunque una scelta di pace. Anche per le nostre città.

Le ciclabili non le usa nessuno. Davvero?

“Se costruisci piste ciclabili, i ciclisti arriveranno”. L’urbanista danese Mikael Colville Andersen ci ricorda che questo è successo ovunque è stata costruita una infrastruttura ciclabile significativa.
 
Un esempio nostrano? A Milano il 21 novembre 2019 il 75% dei veicoli che transitavano lungo Corso Buenos Aires erano automobili e solo il 5% biciclette. Due anni dopo, con la nuova ciclabile, il 18 novembre 2021, il numero delle auto è crollato (58%) mentre le bici e monopattini sono schizzati al 21%. E tra le 6 e le 22 di un giorno feriale sono stati 6.471 (molto di più che nei giorni festivi). La conclusione è una sola: la ciclabile è ampiamente utilizzata da lavoratori e studenti.
 
Eppure, nei discorsi da bar social sentiamo dire che le ciclabili non le usa mai nessuno. Questo capita anche perché chi guida non considera che le bici occupano poco posto e che quando i cittadini pedalano in ciclabile sono fuori dal suo angolo visuale.
 
E’ quindi necessario contare gli effetti di una nuova infrastruttura per smontare questi (pre)giudizi. Prima e dopo la realizzazione bisogna sapere quante persone la percorrono, in che orari, quanti sono stati gli incidenti, quanto sono variate le vendite dei negozi prospicenti, quanto è aumentato il valore immobiliare degli appartamenti. Solo così si potranno avere argomenti inconfutabili per confermare le scelte, riproporle in nuovi ambiti o correggere ciò che non ha funzionato.
 
Ad esempio, dopo la realizzazione della ciclabile in via Giardini sono aumentati i ciclisti? O sono diminuiti i negozi? E le nuove corsie in Via Morane sono davvero così pericolose come vengono dipinte, o l’incidentalità è diminuita dopo la loro realizzazione? Sarebbe bene che l’Amministrazione si facesse forza con questi dati tangibili per comunicare ai cittadini gli effetti delle proprie scelte.
 
Le amministrazioni non dovrebbero ormai aver dubbi: fate infrastrutture ciclabili adeguate (non vecchie ciclopedonali anni 90 come continuiamo tristemente a vedere) e i ciclisti arriveranno. Così come il consenso elettorale, come hanno dimostrato tutte le città italiane e straniere in cui si è investito in ciclabilità e vivibilità pedonale.
 
Ed anche il fatto che per certe strade si contino pochi cittadini in bici non può essere usato come argomento per non fare investimenti. Se due città popolose fossero divise da un fiume, direste che un ponte non serve perché non ci sono mai persone che transitano sull’unica passerella tibetana esistente?

Pedalare è sentirsi vivi

Appena 11 anni dopo il lancio della prima bicicletta moderna nel 1885, Sir Arthur Conan Doyle scrisse in un articolo per Scientific American: “Quando il morale è basso, quando il giorno appare scuro, quando il lavoro diventa monotono, quando la speranza sembra a malapena degna di essere vissuta, basta salire in bicicletta ed uscire a fare un giro lungo la strada, senza pensare a nient’altro che al giro che stai facendo”. In questi giorni di eventi inquietanti, salire in sella e pedalare può essere davvero una strategia per ritrovare il proprio centro e il proprio equilibrio. Pedalando si sentono i muscoli delle gambe che si attivano, il cuore che pompa a un ritmo un po’ più sostenuto, il respiro che si coordina col ritmo dei pedali: si riprende il contatto con la propria dimensione fisica, corporea, e ci si sente consapevoli di sè stessi e intensamente vivi, al di là delle preoccupazioni e dell’ansia. Le endorfine che si liberano durante il movimento contribuiscono a dare una sensazione di benessere fisico e psicologico, mentre il regolarizzarsi di battito cardiaco, respiro e pedalata favoriscono uno stato mentale simile a quello che si raggiunge con la meditazione: si è presenti a sè stessi, i pensieri fluiscono in maniera più sciolta.

Pedalare tutti i giorni poi è un’esperienza liberatoria perché porta a riprendere coscienza delle condizioni atmosferiche e ad abbracciarle, anziché essere ostaggio del cattivo tempo e uscire solo con il sole (ma non troppo caldo!). Ci si rende conto che può essere inaspettatamente piacevole pedalare anche quando la pioggia batte fredda sulle mani e sul viso, perché anche questi stimoli sensoriali a cui non siamo più abituati fanno sentire vivi. E comunque, un buon equipaggiamento (giacche e pantaloni antipioggia, stivaletti impermeabili) aiuta a fronteggiare le intemperie con più serenità.

Pedalare porta a vedere, annusare, ascoltare, vivere di più la strada che si percorre. Non è solo uno scenario che scorre veloce dietro un vetro: ci si è dentro in pieno, si ha il tempo di assaporarlo. In città si possono salutare i bottegai con la mano mentre si passa, in campagna si sentono gli odori della fioritura primaverile, del fieno, del mosto in autunno, si traccia il passare delle settimane nel mutare dei fiori selvatici al bordo della strada. Il tragitto verso un luogo non è più un tempo sospeso in attesa di arrivare: è un tempo vissuto davvero. E nei momenti cupi è importante sentirsi “attaccati alla vita”, come scriveva Ungaretti.

Cicloturismo: siamo pronti?

Lo scorso weekend a Milano si è tenuta la fiera del cicloturismo che ha visto la partecipazione di oltre 10.000 cittadini da tutta Italia. Sono numeri che, soprattutto di questi tempi, fanno capire come questo non sia più un fenomeno di nicchia.

In Europa il cicloturismo vale circa 44 miliardi di Euro/anno e sono 5,7 milioni i tedeschi che hanno fatto un viaggio in bici negli ultimi 3 anni dormendo fuori almeno 3 notti con un indotto di 11 miliardi di Euro/anno. In Italia nel 2019 il cicloturismo ha generato 55,1 milioni di pernottamenti, dei quali 34,4 di stranieri, per una spesa totale pari a 4,6 miliardi di euro.

Con il boom dei “cammini”, che condividono gli stessi tracciati ed hanno gli stessi bisogni, i vantaggi del modello di turismo slow sono sotto gli occhi di tutti: è la valorizzazione dei luoghi minori, l’Italia rurale, un patrimonio lontano dai percorsi turistici di massa. I cicloturisti non chiedono solo di fare sport, ma di pedalare fuori dal traffico, nella natura, soffermarsi a visitare le bellezze culturali, fare degustazioni a scoprire i produttori locali e le piccole strutture recettive.

Il turismo in bici ed a piedi si svolge in primavera e autunno, e permette di allungare la stagione: tutta l’Italia ha le caratteristiche per accogliere questi turisti, ma solo le destinazioni che si attrezzeranno adeguatamente potranno godere di questi flussi.

Perché nel turismo in movimento non è più il singolo operatore ad offrire un pacchetto, ma è la destinazione che, come comunità, deve offrire sé stessa con un alto livello generalizzato di ospitalità e servizi, frutto della collaborazione di diversi soggetti istituzionali e privati che rendono fruibili le proprie competenze e servizi.

In Fiera a Milano erano presenti alcune destinazioni che una volta avremmo definito “minori”: Biella, il Collio Goriziano, il Novarese, la Basilicata, le Valli Varesine, i Parchi Calabresi (Aspromonte, Sila e Pollino), l’Irpinia, la Val Seriana, Terre di Pisa, il Monviso. E tanti altri.

Nella nostra provincia non mancano certo i motivi per richiamare un turista esperienziale: varietà di paesaggi, monumenti e castelli, una enogastronomia unica al mondo, alcuni richiami irresistibili (Ferrari, Pavarotti…). Consci di queste potenzialità, già nel 2013 a Modena avevamo organizzato il Festival del Cicloturismo: forse troppo in anticipo, ma adesso sarebbe autolesionistico continuare a sottovalutare questo formidabile volano per economia e rigenerazione del territorio.

Nonantola: Lettera aperta per uno sviluppo urbanistico sostenibile del territorio

Al Sindaco e alla Giunta del Comune di Nonantola
Al Consorzio delle Attività Produttive di Modena
Al Consiglio Comunale di Nonantola
Alla Provincia di Modena

Lettera aperta per uno sviluppo urbanistico sostenibile del territorio

Viviamo un periodo difficile, in cui all’emergenza ambientale si sovrappongono la pandemia e la crisi economica. Come se ciò non bastasse, un anno fa il nostro comune è stato colpito dall’alluvione del fiume Panaro, con gravi conseguenze sulla vita dei cittadini e delle imprese. Oggi nessuno ha più dubbi che i modelli economici della società globalizzata e interconnessa – e i suoi stili di vita – abbiano avuto e continuino ad avere importanti responsabilità in questi eventi drammatici.

Spesso percepiamo una condizione di impotenza di fronte a questi problemi globali e ci chiediamo cosa potremmo fare per dare un contributo alla lotta al cambiamento climatico. Se molto può essere fatto a livello di piccoli gesti quotidiani, come cittadini attivi e consapevoli dobbiamo però pretendere che anche le nostre istituzioni si impegnino nella transizione ecologica e nell’attuazione del PNRR, chiedendo loro l’assunzione di precise responsabilità per attivare immediatamente un cambio di dire-zione nelle politiche ambientali ed economiche. In particolare, il consumo di suolo – che con i suoi “co-sti nascosti” è causa di veri e propri danni economici messi a carico della collettività – rappresenta un’emergenza ecosistemica fortemente correlata al fenomeno del cambiamento climatico, da anni de-nunciato da rapporti, indagini e studi riguardanti ogni parte del mondo.

L’urbanistica è un potente strumento nelle mani dell’Ente locale che dovrebbe indirizzare lo sviluppo della città verso la sostenibilità ambientale, in quanto governa l’uso del territorio, i trasporti, la mobilità e i consumi energetici. L’elaborazione del nuovo Piano Urbanistico Generale di Nonantola, lo strumento politico-amministrativo che caratterizzerà il nostro territorio e la nostra città per i prossimi 30 anni, può essere l’occasione per pianificare uno sviluppo sostenibile per il nostro territorio. La sua ap-provazione è prevista nel corso del 2022.

Il nuovo strumento urbanistico avrà inevitabilmente ricadute sui grandi interessi economici e forse non è un caso che, nelle more dell’approvazione del piano, nei prossimi mesi si concretizzeranno due nuove grandi urbanizzazioni che interesseranno la zona ovest di Nonantola: il Fondo Consolata e l’ex-PIP Gazzate. Il primo interesserà un’area di oltre 90 mila mq posta fra il fiume Panaro e la rotatoria Modena, con insediamenti commerciali e produttivi collocati fuori dal perimetro della tangenziale. Il secondo sarà collocato su un’area posta sud di via Zuccola e prevede un grande polo dedicato alla logistica conto terzi su gomma – 60 baie di carico e 1.400 passaggi mensili di camion in ingresso e uscita – che coprirà un’area di 75 mila mq di un terreno oggi occupato da un bosco spontaneo.

Come associazioni firmatarie sottolineiamo con forza, proponendoli alla valutazione e al giudizio dell’intera nostra comunità, le preoccupazioni e il timore per le conseguenze che i due nuovi insediamenti possono comportare. Riteniamo che ogni nuova trasformazione urbanistica debba portare ad un migliora-mento della qualità del paese, secondo i principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, indicati negli obiettivi ONU dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Riteniamo inoltre che le azioni del Comune, e soprattutto la comunicazione istituzionale su materie così rilevanti e decisive per il futuro del nostro territorio e della nostra comunità, debbano corrispondere pienamente ed esaustivamente ai bisogni di conoscenza e di partecipazione dei cittadini in questa importante fase progettuale.

Sosteniamo poi che siano da evitare nuovi insediamenti, ed in particolare quelli produttivi, fuori dal perimetro già urbanizzato del paese, a maggior ragione se realizzati su aree ad elevato rischio idraulico; laddove ciò non fosse possibile in virtù di diritti giuridicamente consolidati, l’ente locale dovrebbe intervenire affinché le trasformazioni siano conformi alle norme di sicurezza del territorio – in coerenza con i principi di salvaguardia della permeabilità del suolo e di prevenzione del rischio idraulico – e non impattino sulla mobilità locale e intercomunale. Temiamo inoltre che l’insediamento di un polo logistico sul nostro territorio, data la natura “conto terzi” dell’attività, possa un domani intensificarsi in termini di impatto sul traffico locale, seguendo dinamiche economiche estranee al controllo delle amministra-zioni locali.

Riteniamo infine che le istituzioni, anche attraverso la pianificazione urbanistica, insieme alle forze sociali e produttive, debbano esercitare appieno la funzione di governo delle dinamiche economiche del territorio, secondo i principi dell’economia circolare, indirizzandole verso attività ecologicamente compatibili che ne riducano l’impatto ambientale sul territorio e contribuiscano alla completa decarbonizzazione e utilizzo dei combustibili fossili entro il 2030.

Per quanto sopra richiamato, le scelte di insediare a Nonantola un polo logistico nell’area ex-PIP Gazzate e di realizzare un intervento misto commerciale/industriale nell’area Fondo Consolata, vanificherebbero gli intenti dell’Amministrazione locale verso la transizione ecologica di cui al PNRR e, ancora una volta, rinvierebbero al futuro la soluzione di problematiche già oggi insostenibili, quali la vulnerabilità idraulica di quelle aree, il “nodo Navicello” della mobilità da e per Modena e il problema delle emissioni di polveri sottili e di altri agenti inquinanti da parte dei mezzi di trasporto utilizzati nell’attività logistica.

Chiediamo pertanto che nella fase di formazione del nuovo Piano Urbanistico Generale, che dovrà più coerentemente rappresentare la reale situazione del nostro territorio anche alla luce delle criticità idrauliche che si sono evidenziate dopo l’alluvione del 6 dicembre 2020, non si proceda con l’insedia-mento di nuove attività economiche ad elevato impatto ambientale – come la logistica su gomma o gli insediamenti produttivi fuori dal perimetro urbanizzato – e che venga perseguita, con scelte urbanisti-che innovative, la transizione ecologica in ogni settore, compreso quello della mobilità.

Nonantola, 9 marzo 2022

Le associazioni firmatarie (in ordine alfabetico): Comitato Ambiente è Salute – Nonantola, Comitato cittadini alluvione Nonantola, Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta Modena, GASlow, Giunchiglia-11, Iniziativa Nonantolani, Legambiente Nonantola, Mediterranea Nonantola, Movimento 5 Stelle Nonantola, nanoGAS, Nonantola Libera, Nonantola Progetto 2030, Rinascere APS, Una mano per Nonantola.