Ciclabilità a Modena: a che punto siamo?

Luci ed ombre tra conteggio dei ciclisti, stato di avanzamento del PUMS, scarsa manutenzione e interruzioni di ciclabili

Anche quest’anno, nell’ambito della Settimana Europea della Mobilità, i volontari di FIAB Modena hanno rilevato i passaggi dei cittadini in bicicletta in 14 punti nevralgici della viabilità cittadina. Per garantire dati confrontabili, la rilevazione avviene da oltre un decennio sempre negli stessi punti, nella stessa fascia oraria (7.30-8.45) del terzo martedì di settembre.

Il totale di 3.719 passaggi ci riporta tra i livelli del 2022 e 2023, con un incoraggiante +18,9% rispetto a un deludente 2024. Tuttavia, non possiamo nascondere la preoccupazione: siamo ancora sotto i livelli pre-covid, con un -12,9% rispetto al 2019. Auspichiamo che questa ripresa possa consolidarsi nei prossimi anni.

Proprio all’inizio del periodo Covid, nel luglio 2020, è stato approvato a Modena il nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), che si prefigge di aumentare l’uso della bicicletta dal 12% iniziale al 20% entro il 2030. Il documento prevede tra l’altro l’attivazione di strumenti di partecipazione, tra cui l’aggiornamento del piano dopo i primi cinque anni.

Ora che cinque anni sono passati, FIAB chiede l’avvio del processo partecipato di revisione, partendo dalla condivisione da parte dell’amministrazione dei risultati conseguiti. Non solo le nuove infrastrutture ciclabili realizzate, ma soprattutto se è già aumentata la percentuale di modenesi che si sposta in bici.

Attendiamo questi dati ufficiali perché abbiamo la sensazione che si sia accumulato un significativo ritardo rispetto al timing del piano. Infatti, nonostante le infrastrutture realizzate negli ultimi anni, il lavoro da fare resta considerevole:

  • Nuove dorsali ciclabili ed i collegamenti con le frazioni
  • La rifunzionalizzazione delle vecchie ciclabili degli anni ’70-’80
  • Le zone quiete scolastiche e le Zone 30

In attesa di vedere progettazioni e cantieri di nuove realizzazioni, FIAB ritiene indispensabile lavorare su più fronti, impegnando subito le necessarie risorse per:

  • Migliore Manutenzione: spesso mancante o ritardataria, anche a fronte di precise segnalazioni degli utenti
  • Correzione della Segnaletica: quando è contraddittoria nelle intersezioni, che genera confusione e situazioni di pericolo
  • Eliminazione degli ostacoli: che limitano la fruibilità in ciclabile soprattutto per le persone più fragili

E proprio in tema di ostacoli, FIAB accoglie con favore il recente annuncio della Giunta di rivedere le situazioni irregolari di occupazione del suolo pubblico. Non è però l’unico fenomeno che limita la mobilità pedonale e ciclabile: negli scorsi anni abbiamo denunciato anche la diffusa occupazione di marciapiedi e ciclabili usate come parcheggi automobilistici, e le interruzioni a causa dei cantieri senza prevedere adeguate alternative in sicurezza come prevede il Codice della Strada. Invece di un percorso alternativo protetto, nella maggior parte dei casi viene semplicemente posto un cartello “pedoni e ciclisti dall’altra parte della strada”, costringendo le persone ad attraversare senza nemmeno predisporre passaggi pedonali sicuri.

Un esempio che FIAB ha già segnalato al Comune da alcune settimane è il cantiere del Cinema Principe su Piazzale Natale Bruni, dove per superare 10 metri lineari di ciclopedonale occupati dal cantiere, pedoni e ciclisti devono affrontare in serie una passerella in legno e due attraversamenti pedonali in uno stradone di 12 metri a due corsie per senso di marcia. Non stupisce che molti cittadini ritengano più sensato camminare e pedalare lungo la strada piuttosto che affrontare questo percorso a ostacoli.

È già di per sé grave che in un punto così strategico e trafficato non sia stata prevista una soluzione adeguata all’apertura del cantiere, ma visto che il disagio durerà molti mesi, se non anni, FIAB ritiene che si debba rimediare quanto prima.

Violenza stradale: non freddi numeri, ma nomi e cognomi.

Ai primi giorni di agosto, all’osservatorio di ASAPS risultano 141 decessi tra i ciclisti: di questi quasi la metà (68) erano over 65, ed in 14 casi i conducenti sono fuggiti. Nei primi sei mesi del 2025 è stato rilevato un incremento di ciclisti morti del 21,8% rispetto al 2024.

Freddi numeri? Nemmeno per sogno, andiamo a conoscere solo quelli dell’ultima settimana.

Tre persone travolte a Terlizzi in Puglia appartenenti alla sezione locale dell’Avis, erano molto conosciuti nella comunità di Andria. Antonio Porro, 70 anni, imprenditore fondatore di una torrefazione. Sandro Abruzzese, 30 anni, lavorava come assicuratore, mentre Vincenzo Mantovani, 50 anni, titolare di un’officina lascia una moglie e due figlie. Dopo una settimana di lavoro e volontariato, il gruppo era solito pedalare la domenica: sono stati travolti da un ragazzo 30enne che stava per raggiungere alcuni amici a Bari per le vacanze.

Dal sud ci spostiamo al nord per raccontare di uno scontro stradale che ha spezzato la vita di Deborah Rolando, 48 anni, un compagno e 3 figli di 18, 16 e 15 anni, ed era la titolare del bar «Vecchio mulino» a Crevoladossola dove viveva sopra il locale da oltre dieci anni. Come quasi tutti i giorni era in sella alla sua bici e, secondo le prime ricostruzioni, è stata travolta da un 23enne alla guida di furgone impegnato in una manovra di sorpasso di tre auto.

Ecco, su quelle bici non ci sono radical chic che non hanno nulla da fare di meglio, ma persone normali, che lavorano, pagano le tasse, contribuiscono al benessere della comunità e che hanno tutto il diritto di occupare la strada, anche solo per divertimento, con il mezzo che preferiscono.

Purtroppo, anche nei commenti social alla tragedia di Terlizzi, i ciclisti uccisi vengono derisi, umiliati, insultati. Ci tocca ancora sentire che se la sono cercata, che la strada è di chi lavora, che i ciclisti fanno solo perdere tempo, quando basta leggere le cronache per rilevare che spesso gli investitori non avevano nulla di più “importante” da fare di chi è stato investito (anzi spesso è il contrario).

È quindi necessario ribadire che la strada è di tutti, e che in questo paese rivendichiamo la libertà di scegliere il mezzo con cui spostarci senza rischiare ogni giorno la vita. Perché invece sulle strade italiane vige la legge del più forte (o il Codice della Strage): è una emergenza nazionale che ci interessa solo quando scopriamo che sono anche amici, parenti, conoscenti, colleghi di lavoro. E allora, poi, scatta l’empatia. “Una tragedia. RIP in pace, Angelo”.

Pedoni investiti a Modena: “Basta morti sulle strade. È ora che la città cambi passo”

La notizia del tragico investimento di un signore mentre attraversava sulle strisce pedonali in via Morane era arrivata proprio mentre, come associazioni impegnate per la sicurezza stradale, stavamo analizzando l’ennesimo, drammatico dato presentato dall’Assessora Regionale alla Mobilità, Irene Priolo: Modena e la sua provincia detengono la maglia nera in regione per numero di pedoni investiti, con un aumento di incidenti e feriti in netta controtendenza rispetto al resto dell’Emilia-Romagna [1].

Impariamo oggi che quel signore si chiamava Lanfranco Bergamini, aveva 78 anni ed è morto in ospedale dopo un’agonia di diversi giorni a causa di quello stesso scontro.

Dietro ai freddi numeri che lasciano spesso indifferenti e a cui siamo purtroppo abituati, ci sono persone con nome e cognome, le loro famiglie e i loro cari a cui vanno le nostre condoglianze, ma di fronte a questi numeri non si può non andare oltre al dolore per capirne le cause e trovare soluzioni vere e durature a problemi sistemici.

Questi dati seguono di pochi giorni la morte di Maria Sivio, un’altra persona anziana investita a Castelnuovo Rangone. Una terribile sequenza che conferma ciò che denunciamo da anni: non sono fatalità, ma tragedie annunciate, frutto di un modello di città che continua a privilegiare la velocità delle auto a scapito della vita delle persone.

Mentre altre città come Bologna invertono la rotta con la ‘Città 30’ e vedono calare gli incidenti, Modena peggiora, collezionando una tragica maglia nera per numeri di morti (in particolare persone a piedi) generando un costo sociale di 84.940.228 euro pari a 462 euro pro capite, contro i 393 di Bologna. Non è più tempo di timide promesse, ma di un’azione decisa e provata: rendere Modena una Città 30 per salvare vite e creare spazi più vivibili per tutte le persone.

Le cause degli scontri stradali sono quasi sempre le stesse, come confermano i dati ISTAT: eccesso di velocità e distrazione alla guida, aggravate da un’infrastruttura stradale che non protegge a sufficienza gli utenti più vulnerabili.

Il nostro sentimento, oggi, è un misto di dolore e rabbia, perché constatiamo la mancanza di una reale percezione della gravità sociale di questo problema. Basta con le scuse: non vogliamo più sentirci dire che mancano le risorse o che la soluzione sia solo “educare gli utenti”. Non è più accettabile, mentre le persone rischiano la vita per il semplice gesto di attraversare una strada. Servono azioni coraggiose che dipendono unicamente dalla volontà politica locale.

Proponiamo due interventi prioritari:

  1. Un piano straordinario per la sicurezza degli attraversamenti
    Chiediamo di destinare ogni risorsa disponibile a un programma di messa in sicurezza di tutti gli attraversamenti pedonali, partendo da quelli vicini a scuole, parchi, ospedali e centri per anziani. Gli interventi devono includere:

    • Attraversamenti rialzati
    • Chicane
    • Marciapiedi avanzati (“orecchie”)
    • Isole salvagente e spartitraffico
    • Segnaletica orizzontale e verticale ad alta visibilità e durabilità
  2. Controlli sistematici e costanti
    La Polizia Locale deve essere impiegata in modo mirato e continuativo, 365 giorni all’anno, con pattuglie dedicate a:

    • Verificare il rispetto della precedenza ai pedoni sulle strisce, sanzionando chi non rallenta o addirittura non si ferma e chi parcheggia in prossimità, ostacolando la visibilità.
    • Verificare il rispetto dei limiti di velocità, in tutte le strade incluse, le zone 30 e davanti alle scuole.
    • Reprimere l’uso del cellulare alla guida, una delle principali cause di distrazione.
    • Controlli frequenti su auto in sosta irregolare che occupano marciapiedi, ciclopedonali o ciclabili, creando ostacoli per gli utenti più deboli.

Le campagne di sensibilizzazione spot non bastano più. Chiunque guidi sa quanto queste norme di civiltà siano sistematicamente violate, a fronte di una repressione del tutto inadeguata alla dimensione del fenomeno.

L’obiettivo a lungo termine deve essere quello di avere strade urbane che costringono a moderare la velocità, non che lo permettono soltanto. Per questo chiediamo:

  • L’istituzione del limite di 30 km/h sulla quasi totalità della rete stradale urbana, seguendo l’esempio virtuoso di Bologna [2], che ha già registrato ottimi risultati in termini di riduzione di scontri, morti e feriti.
  • Come primo passo, non più rimandabile, proponiamo una sperimentazione immediata per la creazione di “Aree Scolastiche Sicure”. Questa misura prevede l’introduzione e l’effettivo controllo del limite di velocità a 30 km/h e attraversamenti rialzati in un’area estesa per almeno 500 metri attorno a tutti gli istituti scolastici. Tale provvedimento si affiancherebbe e rafforzerebbe le “zone quiete scolastiche” – ovvero le chiusure al traffico motorizzato almeno negli orari di entrata e uscita, già previste dal Codice della Strada – con lo scopo di trasformare i percorsi casa-scuola in tragitti sicuri, incentivando la mobilità attiva e l’autonomia di bambini e ragazzi.

Chiediamo infine che il Comune di Modena adotti formalmente la “Vision Zero” come principio guida delle sue politiche sulla mobilità. L’unico obiettivo accettabile è zero vittime sulla strada. Il Comune deve investire in una grande campagna culturale per promuovere un nuovo patto di convivenza stradale. E le associazioni di Modena 30 sono pronte a collaborare.

Perché la sicurezza di persone che si spostano a piedi, in bicicletta o coi mezzi pubblici non è una questione di parte, ma il principale indicatore della civiltà di una comunità.

Fonti:
[1] https://mobilita.regione.emilia-romagna.it/notizie/attualita/sicurezza-stradale-scende-il-numero-di-vittime-e-feriti-in-emilia-romagna-22-e-3-negli-ultimi-cinque-anni/documenti-allegati/relazione-incidenti-2024.pdf/@@download/file

[2] Bologna Città 30 Città 30, i dati dei primi 6 mesi del 2025 | Comune di Bologna

[3] Vision zero: a Helsinki un anno senza morti sulle strade: https://yle.fi/a/74-20174831

Codice della Strada: una riforma sbagliata e pericolosa per la sicurezza

LE ASSOCIAZIONI CONTRO IL “CODICE DELLA STRAGE”, APPROVATO IN SENATO SENZA ACCOGLIERE NESSUNA ISTANZA DEI FAMILIARI DELLE VITTIME
“RIFORMA SBAGLIATA E PERICOLOSA PER LA SICUREZZA. NON IN NOSTRO NOME!”
Nelle prime 48 ore oltre 9.000 firme raccolte dalla petizione contro il “Codice della Strage”

La tanto sbandierata riforma del Codice della Strada del ministro Salvini è stata infine approvata in Senato. Tutte le principali associazioni italiane dei familiari delle vittime sulla strada, insieme alle associazioni ambientaliste e per la mobilità sostenibile e alle organizzazioni sindacali (in tutto 30, v. elenco in fondo), negli scorsi giorni e mesi sono scese più volte in piazza contro una riforma giudicata unanimemente sbagliata e pericolosa, poiché riduce regole e allenta controlli per auto e camion, mentre sottrae spazi sicuri per pedonalità e ciclabilità, attacca la mobilità sostenibile e toglie autonomia alle città, peggiorando nettamente la sicurezza per tutti gli utenti della strada. La riforma fa il paio con la Legge di bilancio 2025, che taglia ben 154 milioni di investimenti facendo cassa sulla sicurezza stradale e la mobilità sostenibile.

“Al contrario di quanto continua a raccontare il Ministro Salvini, questa riforma non è la soluzione alla violenza stradale, ma anzi aggraverà questo problema drammatico in Italia – dichiarano le 30 associazioni della piattaforma “Stop al codice della strage” – Le nuove norme infatti sono tutte incentrate sulla repressione a incidenti già avvenuti, non intervengono davvero in via preventiva sui fattori principali cioè velocità e distrazione, anzi allentano le regole per i veicoli a motore e restringono quelle di tutela degli utenti più vulnerabili della strada. E’ un doppio sfregio ai familiari delle vittime sulla strada, tre giorni dopo la Giornata mondiale in loro ricordo – proseguono -. Dopo mesi di discussioni il testo è rimasto uguale, tutti gli emendamenti sono stati respinti e nessuna delle nostre istanze è stata accolta, infrangendosi contro un muro di gomma. Il Governo ed esponenti della maggioranza, inoltre, hanno spesso affermato che questa riforma è stata voluta dalle associazioni dei parenti: niente di più falso, questa legge non è in nostro nome né in quello delle migliaia di vittime sulle strade d’Italia!”.

Le associazioni questa mattina hanno inscenato un flash mob di protesta a Roma in piazza Vidoni vicino al Senato e ieri hanno lanciato una petizione on-line sul nuovo sito https://www.codicedellastrage.it/, che in neanche 48 ore ha già raggiunto 9.000 firme, per chiedere al Governo e al Parlamento adesso di sedersi insieme a riscrivere il nuovo intero Codice della strada, in attuazione della delega contenuta nella legge.

Se da una parte le dichiarazioni di Ministro e maggioranza parlamentare indignano, dall’altra è l’intero impianto della riforma a preoccupare: massima tutela per i veicoli a motore, i cui guidatori secondo i dati Istat causano il 94% degli incidenti e il 98% dei morti, e restrizione delle misure in favore di pedoni, ciclisti, bambini e persone anziane, che sono la maggior parte delle vittime nelle città. È una riforma pericolosa: ad esempio, limita gli autovelox invece che la velocità, che è la prima causa delle collisioni con morti o feriti gravi; vieta controlli automatici sulla guida distratta al cellulare, che è fra i primi fattori di incidentalità; introduce una sola multa per più infrazioni, incentivando la violazione delle regole. È una riforma dannosa: rende più difficile creare o proteggere aree pedonali, piste e corsie ciclabili, zone a traffico limitato e a basse emissioni, fondamentali per la tutela dell’incolumità e della salute delle persone nelle città; e limita l’azione dei Comuni sottoponendoli a decreti ministeriali.

In questo modo, la riforma ostacola la prevenzione aumentando anziché abbassare il conflitto e la violenza stradali, che già paghiamo con più di 3.000 morti e 200.000 feriti ogni anno. Riporta l’Italia indietro di 40 anni su mobilità sostenibile e sicurezza stradale, riducendo il livello di tutela della vita umana sulla strada, a danno di tutti, con qualsiasi mezzo di trasporto si muovano. Ci allontana ancora di più dal resto dell’Europa, dove già siamo al 19° posto su 27 per tasso di mortalità, andando in direzione opposta alle riforme grazie a cui gli altri Paesi lo hanno invece ridotto con successo.

“Governo e Senato, con questa riforma del codice, hanno votato sulla pelle delle persone: la sicurezza stradale ha un’altra direzione”, così concludono le associazioni.

Aderiscono alla mobilitazione nazionale:

Associazioni dei familiari delle vittime sulla strada
AIFVS – Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada, AFVS – Associazione Familiari e Vittime della Strada Ets, AVISL – Associazione Vittime Incidenti Stradali e Malasanità, Fondazione Michele Scarponi, Associazione Lorenzo Guarnieri, Associazione Gabriele Borgogni, Associazione Rose bianche sull’asfalto, Associazione Alba Luci sulla buona strada, Associazione Manuel Biagiola, Associazione Marco Pietrobuono Onlus, Rete Vivinstrada, Fondazione Matteo Ciappi, Associazione Massimo Massimi, Associazione Andrea Nardini, Associazione Sonia Tosi, Fondazione Claudio Ciai, Associazione Dorothy Dream, Associazione Davide Marasco, Comitato Vivere meglio la città in memoria di Lucia Pozzi, Gruppo “Non correre, accorri!”

Associazioni ambientaliste e della mobilità sostenibile
Legambiente, FIAB-Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, Salvaiciclisti, Movimento Diritti dei Pedoni, Kyoto Club, Clean Cities Campaign, Centro Antartide, AMODO

Organizzazioni sindacali
SPI-Cgil, UIL Pensionati

Le Zone 30: regole per un buon funzionamento

La “Città 30” è un approccio che va ben oltre l’installazione di cartelli di limitazione di velocità, ma che vede nella condivisione dello spazio urbano la chiave avere città più vivibili e sicure. Ma a Modena ad oggi siamo solo ancora nella situazione di “zone 30” diffuse a macchia di leopardo, a volte invisibili.

Ma a quali condizioni una zona 30 è funzionale e rispettata dalla più ampia maggioranza dei cittadini? In quelle meglio progettate, senza troppi segnali, gli elementi architettonici dovrebbero indurci ad un rallentamento, rendendo naturale adeguare i nostri comportamenti a quelli degli altri utenti della strada.

Ad esempio, in questi giorni abbiamo letto di un incidente a Modena in una zona 30 in vicinanza di una scuola, dove l’automobilista ha invaso un marciapiede, distrutto qualche cassonetto, fino a terminare la corsa contro un furgoncino. Oltre al segnale stradale, la strada era dritta, larga quasi 4 metri per senso di marcia, e non erano presenti altre forme di limitazione della velocità: solo il caso ha voluto che non ci siano state conseguenze più gravi.

Proprio perché una zona 30 è ancora una eccezione in città, l’automobilista deve avere subito netta la sensazione di entrare in casa altrui: è il benvenuto ma deve usare le buone maniere. Per farlo si usano elementi di traffic calming già dall’ingresso dove un “portale” fatto anche solo da fioriere o da grandi pannelli laterali ci avvisa del cambio di ambiente. E poi una diversa pavimentazione e rialzi negli incroci, dove i marciapiedi vanno allargati per rendere i pedoni più visibili e l’angolo di sterzo più marcato, e rettilinei spezzati con restringimenti, sensi unici alternati, chicane o parcheggi in linea sfalsati sui due lati della strada per creare un effetto ottico che induce a rallentare.

Poi in ogni “zona 30” che si rispetti, i marciapiedi diventano ad uso esclusivo dei pedoni, mentre biciclette e monopattini tornano ad essere mezzi che devono stare in strada dove tutti i mezzi devono rispettare la semplice regola di dare la precedenza a chiunque venga da destra.

Se andiamo a vedere le “zone 30” modenesi facciamo fatica a riconoscere tutti questi accorgimenti: passi per quelle anni ‘90 (alcune delle quali ben fatte tra l’altro), ma deludono anche quelle nuove come il Cialdini, Torrenova, o Vaciglio. Eppure, anche a Modena sono previsti, sia nel PUMS che nel programma elettorale premiato dai cittadini, i principi della “slow city”: se non avremo una “città 30” ci aspettiamo almeno che tutte le “zone 30” lo siano anche nei fatti.

A ciascuno il suo (nome): non incidenti ma violenza stradale

Si è appena chiusa la Settimana Europea della Mobilità, sette giorni ricchissimi di eventi e iniziative per un uso responsabile dello spazio pubblico (e le strade sono spazio pubblico per eccellenza!) e per città più a misura di persona.

Il clima di ottimismo si è però subito incrinato, perlomeno in Italia, con la pubblicazione del rapporto dell’Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale sulle vittime della strada tra i pedoni: in sintesi, “numero decessi sulle strade nel 2023 uguale al 2022 ma aumentano i feriti e gli investimenti complessivi.

Peggiorano i dati dei morti nelle grandi città. Ogni ora in Italia avvengono due investimenti di pedoni. Strisce pedonali sempre più insicure: 175 morti nello spazio che dovrebbe essere il più sicuro.” Cifre sconfortanti: eppure c’è chi li chiama ancora “incidenti”, come se fossero eventi sfortunati, che dipendono da circostanze che non possiamo controllare, inevitabili.

Invece le morti in strada hanno cause precise (l’eccesso di velocità e la distrazione alla guida in primis) e precise responsabilità! Chiamarli incidenti non fa altro che incoraggiare quello che è stato chiamato “disimpegno morale”: allontana la responsabilità da chi è al volante di un mezzo più pesante, ingombrante e potenzialmente pericoloso e che dovrebbe esercitare quindi maggiore cautela. Non esiste “asfalto scivoloso per la pioggia” o “sole abbagliante” che tenga: sta a chi conduce il veicolo adattare la guida alle condizioni della strada e dell’ambiente. Non esistono “strade killer, auto impazzite, dossi maledetti”: sono solo giustificazioni che assolvono e offrono un alibi a tutti gli automobilisti – la “colpa” è sempre di qualcun o qualcos’altro.

Non si tratta di incidenti dunque ma di violenza stradale: ogni volta che sorpassiamo con la riga continua, ogni volta che chiudiamo un occhio sui limiti di velocità, ogni volta che ci dimentichiamo di rallentare in prossimità di un attraversamento pedonale, che superiamo un ciclista a 15 cm dal manubrio (invece che mantenendo 1,5 m di distanza raccomandata). E’ violenza anche quando non ha conseguenze, perché diventa una abitudine al sopruso. E’ violenza anche se pensiamo “ma cosa vuoi che succeda!”.

In Italia la violenza stradale è la prima causa di morte al di sotto dei 40 anni e ogni anno ci costa, oltre a 3000 vite, quasi 30 miliardi di euro (2 punti di PIL). E’ la guerra più feroce a cui abbia partecipato il nostro paese nell’ultimo secolo.

Le corsie ciclabili: un diritto-dovere in evidenza

Torna la polemica sulle corsie ciclabili in carreggiata, delimitate solo da righe dipinte sull’asfalto. In realtà il concetto non è certo nuovo: è dal 1953 che il Codice della Strada sancisce che i ciclisti possono transitare in carreggiata se non ci sono piste a loro dedicate, ma devono stare sulla destra e gli automobilisti per superarli devono osservare una “adeguata distanza laterale”.

La corsia dipinta sull’asfalto agisce da promemoria, portando in evidenza con il colore un diritto che già c’è (quello sia di chi guida sia di chi pedala di usare la carreggiata stradale) e un dovere che già c’è (quello di chi pedala di mantenersi a destra, e quello di chi guida di rispettare le due ruote). Da questo punto di vista, la corsia ciclabile non introduce in realtà alcuna limitazione rispetto a quello che già dovrebbe essere la norma.

Anche a Modena sono state demarcate negli ultimi anni 4 corsie ciclabili. Ora una mozione in Consiglio Comunale chiede che vengano rimosse perché ritenute da alcuni pericolose. Resta da capire perché un cittadino che pedala, legittimamente, a destra della carreggiata stradale, dovrebbe essere più sicuro senza la corsia dipinta. Laddove, per questioni di spazio, non è possibile creare una pista ciclabile separata di 2,5 metri più cordolo invalicabile, la corsia ciclabile non è altro che la demarcazione visiva del corretto comportamento che chi guida e chi pedala deve comunque adottare, riga sull’asfalto o no. Certo, sempre che non si voglia vietare alle due ruote il transito nelle vie in questione.

A Modena l’incidentalità a danno dei ciclisti è molto alta, come hanno giustamente fatto notare i firmatari della mozione, ma contrariamente a quello che affermano non risulta alcun aumento degli incidenti sulle corsie ciclabili introdotte. D’altronde, le corsie ciclabili sono molto diffuse in tutti i Paesi Europei e, dati alla mano, hanno mostrato di essere efficaci per aumentare la sicurezza di tutti gli utenti della strada, semplicemente con il loro ruolo di promemoria visivo: attenzione, la strada è di tutti, va condivisa rispettandosi reciprocamente.

FIAB ribadisce che le corsie tratteggiate sono un importante strumento in più a disposizione delle Amministrazioni per ridefinire lo spazio stradale e che la loro cancellazione senza soluzioni alternative rappresenta un arretramento sul piano della sicurezza. I diritti e i doveri in strada sono fondamentali, non abbiamo paura di metterli in evidenza!

Città 30, diamo i numeri! I dati di Bologna

All’indomani della diffusione dei dati ufficiali relativi ai primi sei mesi di sperimentazione della Città 30 a Bologna, FIAB-Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta commenta i risultati che rappresentano un incoraggiamento per tutti i sindaci e le Amministrazioni che hanno a cuore la sicurezza e la sostenibilità dei propri territori.

Prima grande città italiana a seguire un modello già adottato da tante realtà europee, tra cui Parigi, e comuni italiani di differenti colori politici (come Cesena, Olbia e i sette comuni del litorale teramano in Abruzzo che stanno realizzando la Città 30 più lunga d’Italia), Bologna ha registrato dati positivi su tutti i fronti in questi primi mesi di Città 30. -38% di incidenti gravi, -33% dei morti sulle strade, -12% di feriti; +12% di uso della bicicletta, raddoppio dell’uso del bike sharing (+92%) e +11% di uso dei mezzi pubblici, a fronte di un -3% di traffico auto; -23% di inquinamento da ossidi di azoto.

«I dati evidenziano un significativo calo degli incidenti, soprattutto di quelli gravi e mortali – commenta Alessandro Tursi, presidente di FIAB Italia. – Demolito senza appello anche il diffuso pregiudizio sull’aumento dell’inquinamento, infondata credenza rilanciata anche da recenti fake news che hanno tentato di ribaltare le conclusioni di una ricerca su Milano. Gli ultimi sei mesi nel capoluogo emiliano, infatti, certificano un netto -23% di inquinamento da ossidi di azoto. Questo risultato deriva dall’avanzata della mobilità sostenibile a scapito del traffico motorizzato, come mostrano sempre i dati, e da una guida più regolare e fluida. I dati di Bologna sono la conferma di risultati acquisiti in tutto il mondo, ma che trova ancora un’opposizione preconcetta e antiscientifica nel nostro Paese».

Secondo Giuliano Giubelli, vice presidente FIAB Italia e Nevio Senni, coordinatore FIAB Emilia-Romagna «Le città emiliano-romagnole hanno tutte le carte in regola per attivare la Città 30, ne avrebbero beneficio i cittadini e i numerosi turisti che frequentano i nostri territori al mare e in montagna. Serve infine una grande attenzione alla messa in sicurezza delle strade e dei punti più pericolosi, l’istituzione a tappeto delle strade scolastiche, controlli mirati e una costante opera di educazione e comunicazione. Rivolgiamo quindi un appello ai sindaci della Regione: non abbiate timore di favorire la salute e la sicurezza dei vostri concittadini, avremo città più a misura di persona, belle e accoglienti».

Psicologia del traffico e ostacoli all’uso della bicicletta

Qualche anno fa un gruppo di psicologi sociali dell’Università di Bologna ha analizzato e catalogato decine di studi dedicati alle collisioni tra veicoli motorizzati e biciclette in una rassegna sistematica della letteratura scientifica.

L’analisi del gruppo di ricerca Unibo – coordinato dal Dipartimento di Psicologia – evidenzia due cause principali per gli incidenti che coinvolgono i ciclisti: i comportamenti di chi si muove in strada e le caratteristiche delle infrastrutture stradali.

Un problema importante è quello della precedenza, che spesso non viene data correttamente; spesso però la causa è la mancata percezione della presenza di una bici in strada. Ci sono i “blind spot”, angoli ciechi nel campo visivo dell’automobilista che impediscono di inquadrare per tempo gli utenti deboli della strada, ma le collisioni si verificano anche quando il ciclista è ben visibile: un fenomeno noto come “looked but failed to see”, guardare senza riuscire a vedere. Spiega il ricercatore Unibo Gabriele Prati che il nostro cervello focalizza l’attenzione sugli stimoli attesi come possibili macchine in arrivo, ma ne tralascia altri meno attesi. “Così non si riescono a percepire alcuni elementi rilevanti per la propria e altrui sicurezza, ad esempio un utente vulnerabile della strada che sta sopraggiungendo”.

Ecco perché quando le bici sono invece molto presenti gli incidenti calano (‘safety in numbers’): all’aumentare del numero dei ciclisti, aumenta la sicurezza dei ciclisti stessi. I conducenti di automobili diventano più consapevoli della presenza dei ciclisti e migliorano la loro capacità di anticiparne la presenza nel traffico.

Per quel che riguarda le infrastrutture, i risultati sono in parte controintuitivi. Se da un lato, infatti, la presenza di piste ciclabili separate dal traffico motorizzato gioca un ruolo importante per la sicurezza dei ciclisti, dall’altro le corsie riservate ai ciclisti possono rivelarsi particolarmente pericolose in prossimità degli incroci. Quando le due ruote restano a lungo fuori dal campo visivo (perché c’è una separazione tra traffico motorizzato e traffico ciclabile) chi è in macchina si trova meno preparato a reagire alla loro presenza improvvisa.

“Per questo motivo – conclude Gabriele Prati – la raccomandazione è quella di un mix fra infrastrutture per i ciclisti, separate dal traffico motorizzato, e strade a velocità ridotta (come ad esempio le ‘Zone 30’), dove due e quattro ruote condividono la carreggiata”.

I punti deboli delle reti ciclabili

Quando viene chiesto a Fiab Modena un parere sulla situazione della ciclabilità modenese, nel rispondere partiamo sempre da due constatazioni: non manca la realizzazione dei chilometri ciclabili, eppure tra i cittadini che pedalano è diffusa l’insoddisfazione. Un giudizio probabilmente ancora più pesante da parte di tutte quelle persone che nemmeno ci provano, a pedalare, neanche per gli spostamenti di prossimità, tanto che in città circa il 70% dei tragitti avviene in auto, ed il 45% dei tragitti in auto sono inferiori a 2,5 km.

Eppure, in una piccola città di pianura dovrebbe essere naturale muoversi in bici per una fascia ben più ampia di residenti: perché allora tutta questa diffidenza?

Le cause sono molteplici e hanno a che vedere sia con condizioni infrastrutturali che culturali, ma secondo noi il maggior ostacolo è la paura di avere un grave incidente con un automobilista.

Nei paesi che nei decenni scorsi avevano gli stessi nostri problemi di oggi, i pianificatori della mobilità hanno capito che la sicurezza percepita di un tragitto viene stabilita dai cittadini in base al punto più debole di tutto il percorso: in sostanza puoi percorrere anche 5km di ciclabili protette, ma poi se vieni lasciato in balia del traffico anche soltanto in un incrocio, allora la sensazione di sicurezza di tutto il tragitto si abbassa notevolmente.

Facciamo un esempio nostrano: alla fine della ciclabile protetta di Viale Montecuccoli, il ciclista si ritrova senza indicazioni all’interno della rotonda con Viale Monte Kosica, una delle più congestionate di tutto il centro urbano. Quale mamma si sentirebbe tranquilla a lasciare andare a scuola un adolescente dovendo passare in quel tratto? Purtroppo, in Italia la sistemazione dei punti deboli, quelli critici in cui la soluzione di sicurezza passa necessariamente da una redistribuzione degli spazi stradali, viene spesso procrastinata per gli elevati costi o perché ha risvolti rilevanti sulla circolazione automobilistica.

È un circolo vizioso: se non si affrontano questi snodi puoi avere anche una estensione di chilometri ciclabili importante come quella modenese (ai primi posti tra le città italiane) ma è una situazione che funziona solo per chi ha già una certa solidità di ciclismo urbano, e che quindi non configura una vera e propria rete attraente per il cittadino che vorrebbe provare a cambiare abitudini.