Perseverare è diabolico

La velocità elevata, la mancata precedenza e la guida distratta sono le cause principali degli incidenti che vedono coinvolti i ciclisti. Intervenire si può, c’è chi lo fa e i modi ci sono. Perseverare nell’errore è diabolico.

Nel 2015 l’Istat ha registrato, per la prima volta dal 2001, un aumento delle vittime della strada, pur in presenza di un calo del numero degli incidenti e dei feriti del 2% circa. Nell’Unione Europea l’Italia si colloca al 14° posto, con 56,3 morti per milione di abitanti, a fronte di una media europea di 52 unità. I morti in motocicletta sono cresciuti del 9,2%, i pedoni del 4,0%, mentre sono calati i morti in auto (-1,7%), in ciclomotore (-5,4%) e in bicicletta (-8,8%). Attenzione però, se si guarda al rapporto tra numero di incidenti e numero di morti, le categorie più deboli subiscono un indice di mortalità altissimo: ogni 100 incidenti muoiono 3,07 pedoni, 1,80 motociclisti, 1,43 ciclisti, e 0,84 col ciclomotore, mentre gli automobilisti sono al 0,67.

Aumentano anche i feriti gravi che passano dai 15.000 del 2014 ai 16.000 del 2015.
Tentare, come molti superficialmente chiedono, di separare i pedoni ed i ciclisti dai mezzi a motore per aumentare la sicurezza, potrebbe produrre l’effetto contrario perchè si confermerebbe che la strada è dominio dei soli automezzi, certificando che gli altri sono solo un intralcio e si dovrebbero programmare inter- venti insostenibili sia dal punto di vista spaziale che economico. Inoltre rimarrebbero inalterate, se non aumentate, le principali cause degli incidenti che per il 44% dei casi sono la velocità troppo elevata, la mancata precedenza e la guida distratta. Che fare?

Le esperienze migliori e più efficaci hanno aggredito proprio queste tre principali cause di incidenti, riducendo drasticamente le velocità dei veicoli, realizzando diffuse aree a moderazione di traffico, creando percorsi pedonali e ciclabili continui, che colleghino le aree agricole e i centri abitati vicini, organizzando e recuperando la viabilità minore ed i sedimi delle ferrovie dismesse. In assenza di simili provvedimenti, si continua a coltivare l’insofferenza di alcuni automobilisti nei confronti dei pedoni e dei ciclisti, facilmente percepibile anche sui social network. Per alcuni automobilisti i pedoni e i ciclisti sono ostacoli mobili da schivare e se rivendicano lo spazio sulla strada il litigio è dietro l’angolo. Per contro alla domenica alcuni gruppi di ciclisti occupano tutta la carreggiata, quasi a riconquistare il territorio. Fare poco o nulla per invertire la situazione attuale è da irresponsabili e dimostra che chi ci amministra non ha a cuore la salute ed il benessere dei propri cittadini ed è uno scarso politico, perché come dice Max Weber, tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l’uomo politico: passione, senso di responsabilità e lungimiranza.

Giorgio Castelli

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Al lavoro in bicicletta

BIKE to Work è un invito ad andare al lavoro in bicicletta.

E’ la richiesta di riprendere questa buona abitudine che ci viene fatta da più parti, a partire dall’Europa, che ogni anno ci ricorda che è una delle più efficaci soluzioni per ridurre l’inquinamento delle nostre città. Ma sappiamo che fa molto bene anche alla salute, alle relazioni quotidiane e alle nostre tasche.

L’uso della bicicletta sui percorsi casa-lavoro e casa-scuola ha un grande impatto ambientale e sociale perché riguarda molte persone che fanno tragitti ripetitivi e quotidiani, che si snodano in gran parte nei centri urbani per una lunghezza generalmente inferiore ai 5 chilometri.

La FIAB Onlus promuove anche quest’anno la Giornata Nazionale BikeToWork, alla quale hanno aderito molte aziende ed enti pubblici, compreso il Comune ed altre aziende di Modena, nella convinzione che lasciare l’auto in garage ed andare a lavorare in bicicletta sia una delle strategie più “rivoluzionarie” per migliorare la qualità dell’aria e rendere più vivibili le nostre città.

In tutto il Paese si attiveranno nei prossimi giorni campagne per invitare tutti ad utilizzare la bicicletta ed in molti luoghi di lavoro verranno attrezzati banchetti per la distribuzione di gadget e materiale informativo.

Tuttavia, guardando alle esperienze più riuscite in Europa, si nota subito che le amministrazioni pubbliche e aziende più virtuose hanno affiancato alla comunicazione ed alla promozione, altri servizi indispensabili per i propri dipendenti: parcheggi coperti e custoditi, spogliatoi, una pompa e qualche piccolo attrezzo ed in alcuni casi anche benefit economici, buoni spesa presso alcuni negozi e sconti per l’acquisto della bicicletta.

In fondo hanno dato ai lavoratori in bicicletta gli stessi servizi che le grandi aziende offrono da tempo a coloro che vanno in auto, come i parcheggi riservati e coperti e sconti sull’acquisto delle auto.

E’ probabile che anche i nostri lavoratori verranno in bicicletta se potranno avere un luogo sicuro per parcheggiarla, un locale attrezzato dove poter appendere una mantellina bagnata e magari anche un piccolo incentivo economico. Agli imprenditori costerebbe meno ed occuperebbe lo stesso posto di qualche garage.

Alcune aziende ed alcuni Comuni, anche in questo momento di scarse risorse, lo stanno già facendo in collaborazione con la FIAB: e le altre cosa aspettano?

Giuseppe Amorelli
www.modenainbici.it

Della bici non si butta via niente

Uno dei tanti slogan delle Ciclofficine popolari, prende spunto dalla nostra tradizione enogastronomica. Nulla di più vero!

Nelle Ciclofficine si recupera, si ripara, si immagina e si costruisce la propria bicicletta, anche ex-novo, in piena autonomia, nell’ottica del riciclo. Si hanno a disposizione, gratuitamente, tutti gli attrezzi necessari alle riparazioni e come spesso accade, se si necessita di qualche pezzo di ricambio, sicuramente lo si può trovare, più o meno in buone condizioni, tra le tante biciclette, che periodicamente vengono recuperate nei Punti di Raccolta dei rifiuti ingombranti, negli Uffici Oggetti Smarriti o date in donazione, vengono messe a disposizioni di tutti. Nelle Ciclofficine non si compra e non si vende nulla; di prassi viene chiesta un’offerta libera, a seconda delle proprie possibilità, e se si frequentano spesso, è possibile fare una sottoscrizione di circa 10 euro annuali, per sostenere le spese comuni.Le Ciclofficine sono luoghi autogestiti, a tutti coloro che ne usufruiscono viene chiesto di pulire dove si sporca, di rimettere in ordine gli attrezzi usati e di rispettare la raccolta differenziata dei rifiuti; è semplicemente un luogo dove si condividono i materiali e le conoscenze; se non si sa fare qualcosa si chiede agli esperti meccanici, che volontariamente diffondono l’abc dell’autoriparazione, e viceversa se si vede qualcuno in difficoltà si offre il proprio aiuto. Luoghi fisici dove ci si sporca le mani, luoghi di condivisione del “sapere meccanico” e di cene sociali, di riflessione sul consumo critico dei beni, di supporto alla mobilità dolce, e soprattutto di rimessa in circolo delle due ruote. Come? Con alcune giornate di festa nelle piazze, dedicate ai velocipedi recuperati e revisionati dai meccanici durante l’anno.

Questo 24 settembre, sarà proprio la nostra Ciclofficina popolare “Rimessa in movimento” di Modena, a coinvolgerci in un’appassionata Asta di Beneficienza di biciclette recuperate al giusto prezzo, battute con la formula “visto e piaciuto” al miglior offerente.

 

Marina Beneventi

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La vita da cani in bicicletta.

 

Il miglior amico dell’uomo ha qualche volta un padrone inadeguato, che non lo sa gestire e non lo tiene al guinzaglio negli spazi pubblici. Può così capitare a noi ciclisti o pedoni di essere rincorsi, con esiti non sempre felici.

Prima di tutto dobbiamo tenere conto che le nostre gambe in movimento scatenano nei cani il naturale istinto predatorio e che, se sono in buona salute, possono percorrere lunghi tratti a 40 km/h. Quindi, se non si è in discesa, è inutile tentare di fuggire. Conviene allora scendererapidamente dalla sella e ripararsi dietro la bicicletta, pronti ad usarla come scudo di difesa. In tal modo si interpone un ostacolo immediato all’aggressione e si dà modo al cane di riconoscerci come esseri umani, di cui in genere ha soggezione.

Se l’animale tiene la testa alta o bassa e la coda in alto o tra le gambe può abbaiare per paura o per difendere il proprio territorio e probabilmente non attaccherà. Potremmo quindi voltare le spalle, pur senza perderlo d’occhio, e senza movimenti bruschi sganciarci dall’incontro, rimontando in sella a debita distanza.

Ma se tiene la testa e le orecchie orizzontali e le zampe posteriori ben appoggiate fa sul serio e allora dobbiamo preparaci a respingere un eventuale attacco. Può essere sufficiente spruzzare un getto d’acqua con la borraccia o al più mostrare una pompa di quelle lunghe, una pietra, un bastone, per farlo desistere. In ogni caso e importante mantenere la calma e non esitare ad imporsi anche con decisi comandi vocali per allontanarlo.

Nei viaggi in zone pastorali o molto isolate può risultare molto utile portare dissuasori elettronici ad ultrasuoni, pistole scacciacani o spray al peperoncino

Un’ultima raccomandazione: non fate distinzioni tra le taglie e le razze dei cani, perché un morso ai polpacci lo possono infliggere tutti, soprattutto ora che vanno di moda razze aggressive gestite da padroni non adeguatamente preparati.

 

Giorgio Castelli

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Gli incidenti che “capitano”

Nella cronica contabilità dei morti e feriti della strada capita sovente di imbattersi in titoli di giornale “strabici”. Ad esempio, qualche settimana fa per dar conto di un incidente in pr

ovincia di Reggio Emilia si titolava “Anziano ciclista investito da un’ auto in paese”, dal quale si poteva intendere che la vittima, un anziano con scarsa padronanzadella strada, si sia trovato sulla traiettoria di un mezzo a guida autonoma in transito: del guidatore neanche un cenno. Forse sarebbe stato più realistico un titolo tipo: “Automobilista investe nonno 74enne in centro al paese”.

 

Questo sguardo differente sui fatti ce lo conferma un lettore critico sulla nostra pagina facebook “Nessuno esce di casa per far male ad altri. Gli incidenti capitano e si consumano come tali. Il traffico automobilistico è delinquenziale come quello su due ruote.” La realtàè ben altra, perché il 75% degli incidenti sono causati da guidatori motorizzati per umana inosservanza delle regole sulla velocità, sulla precedenza, sulle distanze di sicurezza e dalla mancata attenzione alla guida (un esempio per tutti, l’uso del cellulare). E’ vero che nessuno esce da casa consapevolmente per fare male ad altri, ma troppi sono così irresponsabili da fare poco perché non capiti.

 

Lo si può dedurre anche da alcuni incredibili commenti nella discussione sugli effetti del velox in tangenziale a Modena: molti pensano che sia stato installato per “fare cassa” e alcuni addirittura che alla fine provochi pericolo perché “tutti inchiodano all’ultimo istante”. Se ne ricava l’impressione generale che il problema non sia il diffuso e sistematico comportamento degli automobilisti, con velocità medie in tangenziale da autostrada a 130 km/h, ma dal tentativo di far rispettare una velocità ragionevole.

 

Vi è poi uno sguardo ancora più deviato e parziale, che divide i cittadini a seconda del mezzo usato. Ci scrive un lettore in risposta ad un nostro articolo in cui chiedevamo maggior rispetto e comprensione verso ciclisti e pedoni sugli attraversamenti pedonali: “attenzione, vi fornisco le targhe delle mie auto perché ai passaggi pedonali io non lascio passare ciclisti in sella allabici, perché l’art.41 del Codice della Strada è molto chiaro … un cordiale saluto e liberi di comportarvi come meglio credete, tanto io sono in auto ed assicurato”.

Forse non sa che 80% dei morti sulle strade sono motorizzati e assicurati, ma soprattutto dimentica che, anche in questo misero tempo, il rispetto dovuto ai più deboli che si muovono senza un’auto per scelta o per necessità (soprattutto ragazzi ed anziani), dovrebbe essere alla base della convivenza civile. E che tutti nasciamo e, se siamo fortunati, prima o poi torniamo pedoni.

 

Ermes Spadoni

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Guerra e Bici

Stati Uniti 1942. L ‘anno prima gli americani a Pearl Harbour avevano subito il primo attacco della storia sul loro suolo costringendoli ad entrare in guerra, cambiandone di conseguenza e repentinamente il loro stile di vita, compreso il modo di viaggiare e muoversi soprattutto in ambito urbano. Da qui la chiamata a raccolta degli americani da parte del “The Office of Price Administration’s Automobiles Rationing Branch “alimentando il patriottismo, cercando di convincerli ad inforcare la bici,  pedalare per i loro spostamenti. Una campagna mirata a scoraggiare quanto più possibile il viaggiare da soli in automobile almeno in città al fine di sprecare meno risorse (in favore dello sforzo bellico) …e lanciare e diffondere il messaggio” Se viaggi da solo viaggi con Hitler” ovvero sprechi risorse utili alla patria, sei un collaborazionista, non sei un patriota. I funzionari americani dell’ufficio razionamento erano però andati oltre. Sentite un po’ …: “abbiamo bisogno di tanti ciclisti durante questa guerra” recitava un libretto di otto pagine. L’autore, un tale Reginald Da Silva, scriveva: “c’è una domanda in crescita negli spostamenti casa lavoro molto oltre quelli in tempo di pace…. per cui vista l’adeguatezza della bicicletta agli spostamenti brevi, per le persone che si spostano anche  ad intervalli irregolari, che vivono anche un poco distanti dalle vie principali e che in virtù delle difficili condizioni finanziare dovute alla guerra, non sono in grado di sostenere il trasporto in automobile e del fatto che la bici consente anche di trasportare carichi leggeri  ( siamo alla bike cargo), che la bici è facilmente riparabile, non richiede benzina, è straordinariamente economica anche nel consumo della gomma ( i copertoni) ci sembra altamente desiderabile il volere  provvedere  adeguate forniture di bici per adulti.” Addirittura il New York Times scriveva:”che tutti i giorni siano riservate alle biciclette delle strade durante determinate ore e che queste “strade ciclabili” siano vietate alla circolazione delle auto durante la giornata per consentire ai ciclisti spostamenti casa lavoro e casa scuola. E non solo uomini e bambini dovrebbero essere interessati, ma anche (e qui non traduco l’espressione in inglese) le “housewives in suburban areas” (le rezdore!).  Tanto che la Signora di Franklin Delano Roosvelt (mogliedel Presidente degli Stati Uniti) s’è comprata la bici pure lei negli ultimi mesi! Dopo di che l’industria Huffman & Westfield lancia sul mercato nel 1942 la “Victory Bike”! Robusta e con cestino in acciaio sul fronte. La produzione di Victory Bike fu prevista in 750.000 esemplari l’anno, purtroppo scesi a 150.000 perché si era in guerra e mancava la materia prima.

Tbilisi 14 Agosto 2017

Lorenzo Carapellese – urbanista

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