Perché le ciclabili olandesi sono rosse?

Quest’anno segna il 50° anniversario dell’inizio della costruzione a Tilburg della prima pista ciclabile rossa nei Paesi Bassi: una buona occasione per raccontare come mai le piste ciclabili in Olanda sono rosse e come i Paesi Bassi si sono trasformati in un paese ciclabile negli anni Ottanta.

Si, perché fino agli anni ’70, le città dei Paesi Bassi erano, come la maggior parte delle città europee, intasate di automobili con strade che non erano progettate per questo tipo di traffico. I risultati furono tragici: nel 1971, più di 3.000 persone furono uccise dai veicoli e quasi 500 erano bambini. Si formò un movimento molto attivo chiamato Stop de Kindermoord (Stop all’ omicidio dei bambini).

Tra le vittime c’era il figlio di 7 anni del politico Westerterp che quando divenne ministro dei trasporti nel 1973 sostenne numerose iniziative per aumentare la sicurezza nel traffico per tutti i tipi di utenti. Nel 1975 fece scrivere un piano pluriennale, nel quale riservò 25 milioni di fiorini (11 milioni di euro) per un “progetto dimostrativo per due piste ciclabili” che dovevano attraversare una città di medie o grandi dimensioni, includere elementi quali ponti, viadotti, incroci prioritari e strade senza auto, ed una ricerca finale sugli effetti della nuova pista ciclabile.

Tilburg presentò un progetto di 10km che correva da est a ovest e attraversava il cuore della città fino a raggiungere due villaggi (Berkel-Enschot e Oisterwijk), con uno studio sull’influenza di buone piste ciclabili tra villaggi di pendolari e centri cittadini.

I progettisti volevano dare alla pista ciclabile un colore diverso rispetto alle strade grigie, e il comitato estetico della città scelse il giallo. Ma poi si scoprì che i blocchetti stradali rossi erano più economici e quindi molto pragmaticamente il 21 aprile 1977 un orgoglioso ministro inaugurò la “Pista ciclabile rossa”.

Il piano pluriennale riservava 35 milioni per gli anni successivi, una cifra salita a 51 milioni nel 1980 (presi da un fondo delle autostrade). Da quel momento Tilburg divenne un esempio per le altre città olandesi che nel 1978, 1979 e 1980 costruirono altre 18 ciclabili con un sussidio dell’80% da parte del governo nazionale.

Cosa ci insegna oggi questa storia? Che non esiste una “tradizione”, ma che il cambiamento si può guidare con strategia politica, un finanziamento costante nel tempo, una misurazione degli effetti delle proprie scelte, ed una omogeneità progettuale che facilita tutti gli utenti della strada. Infatti, ora il colore “rosso” significa automaticamente “ciclabile” per tutti i guidatori e quindi rende molto più sicura tutta la rete ciclabile.

Bici in Comune: alta la voglia di ciclabilità nei piccoli comuni

Promuovere la bicicletta come strumento di mobilità sostenibile per migliorare la qualità della vita delle città e promuovere stili di vita sani e attivi. È questo l’obiettivo centrale del progetto nazionale “Bici in Comune”, promosso dal Ministero per lo Sport e i Giovani, con una dotazione finanziaria netta di 12.600.000 euro.

Ebbene, la risposta dei Comuni italiani non si è fatta attendere ad alla scadenza del bando sono stati ben 1952 le Amministrazioni che hanno presentato una domanda. Praticamente un Comune su quattro ha proposto azioni per realizzare percorsi ciclabili o riqualificare la rete esistente, anche in chiave tecnologica, per la promozione del cicloturismo, la valorizzazione del territorio e il coinvolgimento delle scuole.

Anche la distribuzione territoriale (43% dal Nord Italia, per il 39% dal Sud e dalle Isole e per il 18% dalle regioni del Centro) dimostra una trasversalità di domanda, così come è notevole rimarcare come l’iniziativa del Governo sia stata apprezzata soprattutto dai Comuni fino a 5mila abitanti, con un totale di 1011 domande pervenute, mentre 853 sono state quelle inviate dai Comuni con meno di 50mila abitanti.

Afferma il Ministro Andrea Abodi “l’inequivocabile certificazione del gradimento degli amministratori locali rispetto all’iniziativa del Governo che promuove non solo la mobilità sostenibile e il turismo lento … vogliamo fare in modo che gli sport a dimensione urbana e caratterizzati dalla pratica quotidiana, rappresentino una sempre più diffusa opportunità, contribuendo a trasformare le città”.

Nel nostro piccolo abbiamo collaborato alla presentazione dei progetti per tre comuni Modenesi (Campogalliano, Mirandola, Sassuolo) perché siamo da sempre a fianco delle amministrazioni che si impegnano su questo fronte.

E’ ovvio che la dotazione del bando risulterà insufficiente a soddisfare tutte le richieste, e dimostra come la cancellazione nel 2022 di 94 milioni di euro dal “Fondo per interventi di realizzazione di nuove piste ciclabili urbane” ed il taglio nel 2023 di 400 milioni per le ciclovie turistiche siano stati poco lungimiranti. Speriamo che questo segnale che arriva da tutti i piccoli comuni sia recepito in futuro con un ripristino adeguato dei finanziamenti.

Ricordiamo sempre che i Paesi Bassi investono in ciclabilità 510 milioni di euro all’anno: sono 30 euro per ogni cittadino ben spesi, vista la moltitudine di benefici sociali che generano.

In bici al lavoro: si rischia ancora troppo

Domenica scorsa è stata collocata una bici bianca nel punto della Via Emilia in cui un ragazzo di nemmeno 20 anni che si stava recando al lavoro è stato ucciso in uno scontro con due automobilisti, di cui uno non si è fermato a prestare soccorso.
FIAB promuove da anni il bike-to-work, il pendolarismo lavorativo in bicicletta, consapevole che se un numero maggiore di persone si recasse al lavoro pedalando, la forza dei numeri garantirebbe una maggiore sicurezza, ma è un dato di fatto che la percezione del rischio è un deterrente potentissimo, e a ragione.
Chi pedala verso il luogo di lavoro rischia ancora troppo: le infrastrutture per una mobilità ciclistica sicura sono ancora carenti o inesistenti; la distrazione, la velocità e la fretta di chi guida un veicolo possono risultare fatali per chi non ha la protezione di una scocca di acciaio. La sicurezza così diventa un privilegio di chi si sposta in auto e la libertà di usare un veicolo privato va a scapito della libertà di scegliere di muoversi diversamente senza rimetterci la vita.
Come tutti i privilegi, costa caro: a chi l’auto la guida (in  costo del veicolo e carburante), ma anche alla collettività, in inquinamento, sedentarietà, stress e inefficienza dei trasporti. Già, perché quella che sembra una scelta razionale (prendo l’auto così faccio prima), moltiplicata per le migliaia di persone che devono recarsi al lavoro giornalmente ci si ritorce contro: code chilometriche, ingorghi, impossibilità di parcheggiare. Mentre le alternative a due ruote non sono percorribili perché risultano troppo pericolose.
C’è chi si ricorda che nel dopoguerra dai Comuni dell’immediata periferia di Modena partivano gruppi di colleghi in bicicletta diretti ai luoghi di lavoro nel capoluogo: 6-7 chilometri, pedalati senza fretta, volevano dire una quarantina di minuti di tragitto. Ora da quegli stessi Comuni partono centinaia di auto, e quei 6-7 chilometri si traducono di nuovo in una quarantina di minuti di tragitto per via del traffico, e per fare movimento poi si va in palestra. Così ci si rimette tutti, in soldi, salute, serenità, qualità dell’aria e della vita. E’ questo il progresso? Una città progredita come minimo deve permettere ai suoi cittadini di esercitare una reale libertà di scelta: se continuare a usare l’auto privata oppure inforcare una due ruote, senza temere per la propria incolumità. Anzi, no: una città progredita dovrebbe facilitare la scelta più conveniente, per il singolo e per la collettività.

Ancora con questa storia che i pedoni si buttano?

Gli ultimi dati consolidati ISTAT 2023 ci dicono che sulle strade italiane sono morti 485 pedoni, e purtroppo la stima preliminare di ASAPS per il 2024 ci riporta ancora 475 decessi (ma il numero definitivo ISTAT sarà quasi certamente peggiore).

E non è iniziato meglio il 2025: sempre secondo ASAPS, sono 43 i decessi nel mese di gennaio (di cui 23 avevano più di 65 anni) con un deciso incremento rispetto ai 31 di gennaio 2024. Di notevole sconforto il fatto che 26 investimenti mortali sono avvenuti sulle strisce pedonali. Sintetizzando, in un mese +38% di pedoni morti, di cui il 53% over65 e 60% sulle strisce pedonali: a fronte di questi numeri impressionanti, ciò che avvilisce è l’accettazione passiva di questa mattanza, a partire dall’opinione di quei cittadini che scaricano la colpa sulle vittime, nonostante i numeri certifichino essere in maggioranza persone di una certa età sulle strisce pedonali che difficilmente si “buttano” senza guardare.

Ma certo non fanno di meglio le istituzioni che non hanno ancora trovato il modo di arginare il fenomeno. Anzi, recentemente una campagna sicurezza della regione Lombardia è stata sospesa, ammettendo «passaggi fuorvianti» come «molti pedoni danno per scontato di avere sempre la precedenza, senza tenere conto che la sicurezza dipende anche dalla loro attenzione».

La realtà è che il fenomeno dei pedoni che “compaiono” sulle strisce è da addebitare principalmente a fattori legati a comportamenti di chi guida. Per primo alla distrazione: manuale (maneggiare sigarette, rasoi, trucchi, bere o mangiare), visiva (guardare il navigatore, leggere un messaggio, cercare qualcosa) o cognitiva (pensare a problemi, ripassare mentalmente un discorso, organizzare la giornata). Tutti comportamenti che dilatano tempi e spazi di frenata. Poi alla velocità: già a 50kmh il cono visivo di chi guida è la molto più stretto che a 30kmh, con l’effetto che tutti gli oggetti periferici vengono catturati dagli occhi ma rimossi dal cervello (il pedone c’è ma non si vede). Ed infine al parcheggio irregolare che riduce di molto la visibilità nelle vicinanze di attraversamenti pedonali.

D’altronde ricerche ANAS del 2023/24 concludono che il voto che gli italiani danno a sé stessi come guidatori è quasi 9, mentre il giudizio che hanno degli altri guidatori si attesta solo su una media di 5.4. Addirittura, per il 51% degli italiani non è pericoloso superare i limiti di velocità, soltanto il 34,7% ritiene utile rispettarli mentre il 16,4% ritiene che un guidatore esperto possa superarli.

Victim blaming, sopravalutazione delle proprie capacità, negazione degli effetti della velocità: è difficile sperare di avere meno pedoni morti sulle strade.