Strade scolastiche: indispensabili, da subito

Dal 2020 è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica” (art. 3 comma 58-bis del CdS): è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

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La settimana scorsa a L’Aquila un’automobile incustodita ha sfondato la recinzione di una scuola materna, uccidendo un bambino e ferendone altri cinque. È la norma davanti agli istituti scolastici di tutta Italia: mezzi a motore che sostano (spesso in doppia fila) o sfrecciano di fronte agli ingressi delle scuole di ogni ordine e grado, creando pericolo, inquinamento e cattiva educazione stradale.

Ancora una volta si sarebbe potuto evitare.

Dal 2020 infatti è stata introdotta nel Codice della Strada la “zona scolastica”: un’area in prossimità della scuola, in cui è garantita una “particolare protezione dei pedoni e dell’ambiente” (art. 3 comma 58-bis del CdS). Per istituire una strada scolastica è sufficiente che il Sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli (art. 7 comma 11 bis del CdS).

Sono trascorsi due anni dall’introduzione delle strade scolastiche nel Codice della Strada, ma questo provvedimento è stato adottato solo da poche decine di comuni su un totale di oltre 8.000. Si tratta di un numero irrisorio a fronte del valore in termini di sicurezza e salute per i nostri bambini. L’inerzia da parte dei Comuni nell’istituirle ha purtroppo conseguenze molto pesanti: la tragedia di ieri è solo l’ultimo episodio sconvolgente di uno stile di mobilità non più accettabile, non più sostenibile.

Leggiamo messaggi di cordoglio da parte di Parlamentari, Presidenti di Regione e Sindaci.

Il cordoglio non basta. Si vada oltre.

Il Coordinamento Associazioni e Movimenti Ambientalisti per la Mobilità Attiva e Sostenibile chiede che i Sindaci colmino il ritardo accumulato in questi due anni, ed emettano, già da domani, divieti di transito e parcheggio ad auto e moto di fronte ad asili e scuole: bastano un’ordinanza, un cartello e una transenna. Chiediamo che i Dirigenti scolastici liberino da subito i cortili delle scuole dal parcheggio delle auto di personale e genitori, che sono un rischio quotidiano di tragedie e privano i più piccoli di spazi di gioco ed educazione all’aperto.

Chiediamo poi che il Parlamento renda obbligatoria l’istituzione delle zone scolastiche davanti a ogni istituto, con chiusura al traffico e alla sosta delle macchine come minimo negli orari di entrata e uscita degli alunni mediante barriere fisiche: ci appelliamo ai Presidenti e Consiglieri di Regione perché facciano pressione a livello nazionale in questo senso.

Facciamolo per i nostri bambini.

Chiedi strade e parcheggi: otterrai auto e traffico

Negli ultimi giorni sui giornali locali hanno trovato ampio spazio le notizie dedicate alla invasività e pericolosità delle attuali e future strade modenesi: mentre alla Sacca continua il dibattito sull’incremento previsto del traffico pesante, il nuovo sottopasso di via Panni viene bocciato dai residenti, ed al Colombarone i cittadini dopo anni di lotte riescono a far installare gli autovelox.

Sembra che abbiamo finalmente preso coscienza come collettività che le auto in città sono la principale fonte di pericolo, inquinamento, rumore, e comportano una tale occupazione dello spazio da impedire ogni altra forma di mobilità e di vivibilità.

Peccato che dall’altro canto, con uguale veemenza, sempre i cittadini continuano a reclamare strade più larghe, sottopassi, svincoli, parcheggi. È la sindrome di Nimby (“Not in my back yard”, ossia “non nel mio giardino”): come residenti pretendiamo strade tranquille e verdi, ma quando viaggiamo vorremmo andare veloci e parcheggiare dappertutto.

Vero è che le strade in pochi decenni sono state trasformate da spazi di vita in spazi di transito che, data la velocità e l’intensità della presenza delle auto, uniscono persone lontane ma separano tra di loro i vicini di casa. Succederà anche nella zona Sud di Modena dove nuovi sottopassi e bretelline risulteranno comodi per chi transita, ma comporteranno nuove cesure per chi ci vive.

Il fatto è che se chiedi strade e parcheggi otterrai auto e traffico, se chiedi luoghi vivibili per le persone otterrai persone e una maggiore vivibilità.

Condividiamo al 100% le recenti osservazioni di Diego Lenzini quando ricorda che “le strade che oggi sono concepite solo per le auto, dovranno essere al servizio di tutti, auto, bici, pedoni e trasporto pubblico. In passato sono state fatte scelte poco coraggiose che hanno incentivato l’uso dell’auto (il 45% degli spostamenti a Modena sono sotto i 2,5km). I nostri quartieri devono tornare aree da vivere e non spazi in cui si rischia di essere investiti”.

Abbiamo bisogno di una politica coraggiosa che sappia fronteggiare la sindrome Nimby: a costo di qualche cambiamento di abitudini, è fondamentale che ci si schieri con decisione dalla parte dei cittadini che chiedono spazio per le persone e non per le loro auto. Chiarendo che l’unica alternativa sarebbero finte soluzioni poco lungimiranti, che spostano il problema del traffico 5 km (e 5 anni) più in là.

Il diritto di andare a lavorare in bici

Il 1 maggio è stato l’occasione per fermarsi e riflettere sul significato del lavoro, sul diritto a svolgerlo (qualsiasi lavoro) con la giusta e riconosciuta dignità e nelle condizioni di massima sicurezza possibili. Noi di FIAB da anni ci impegniamo perché questa stessa dignità e sicurezza vengano estese e garantite a chi sceglie, al lavoro, di andarci in bici.

Uno potrebbe pensare che abbiamo tutti il diritto di andare al lavoro col mezzo che riteniamo opportuno: in effetti, nessuno ce lo vieta, ma nei fatti questo diritto è davvero garantito? Le cronache di Modena e provincia evidenziano che tra le (troppe) vittime della violenza stradale non ci sono tanto ciclisti della domenica in tutine di lycra ma soprattutto pendolari in bicicletta. Provate poi a chiedere a un residente di Nonantola se si sente tutelato nel suo diritto di usare la bicicletta per andare a lavorare a Modena.

Il diritto di andare a lavorare in bici è negato nei fatti da un sistema perverso di mobilità in cui gli unici ad avere garantita la possibilità di spostarsi verso la loro sede di lavoro senza rischiare quotidianamente la vita sono le persone alla guida di un’auto. E’ un sistema che esclude: taglia perfidamente fuori chi non ha le capacità economiche per acquistare e mantenere un’auto, o chi non vorrebbe spendere a questo scopo una buona fetta del proprio stipendio. La rivista Ecological Economics ha stimato che, con 15.000 km percorsi all’anno, una utilitaria come una Opel Corsa viene a costare tra carburante e spese di mantenimento oltre 6700 euro l’anno: si va a lavorare per mantenere l’auto per poter andare a lavorare. Sensato, no?

Non solo, ma ad essere tagliati fuori sono anche tutti coloro che non hanno le capacità fisiche di guidare un’auto. Persone con una limitata mobilità agli arti, con uno o più arti mancanti, con problemi di equilibrio, persone affette da tetraplegia, paraplegia: per ognuna di queste categorie, il sito inglese Cyclescheme suggerisce una tipologia di bici. Secondo un sondaggio del Transport for London, il 70% delle persone con condizioni invalidanti alla guida di un’auto possono in realtà andare autonomamente in bici.

Tutelare il diritto ad andare in bici al lavoro esige una revisione radicale delle infrastrutture dedicate alla mobilità. Significa tutelare l’inclusione, l’ambiente, la salute individuale e pubblica, il benessere e il diritto all’autonomia e alla felicità.