Qualità e difetti della ciclomobilità modenese

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famiglia in bici al parco ducale

La pubblicazione di un’indagine sulla mobilità effettuata dall’associazione Ingegneria senza frontiere (ISF) ha evidenziato alcuni aspetti di forza e di criticità della situazione modenese. I dati confermano l’elevato inquinamento atmosferico generato dal traffico autoveicolare (emissioni triple rispetto ai limiti dell’Unione Europea per PM10 e Ozono).

Questa pericolosa realtà riflette lo squilibrio acuto fra le varie modalità di spostamento: le auto rappresentano circa il 79% del totale, contro il 10% delle biciclette, il 7% del trasporto pubblico e il 4% della pedonalità. Nelle città più avanzate le auto coprono una quota inferiore al 50% degli spostamenti complessivi.

Questo spread è ancora più ingiustificabile disponendo Modena di 120 km di piste ciclabili, di un patrimonio familiare di circa 200mila biciclette e di un buon servizio di trasporto pubblico locale (sia pure con limiti evidenti). Cosa non funziona dunque a Modena rispetto alle altre aree urbane simili?

Per il trasporto pubblico prevale una concezione residuale della sua funzione: orari, linee e qualità dei mezzi sono concepiti quasi esclusivamente per studenti, pensionati ed extra comunitari poveri.

Per la mobilità ciclistica sono evidenti l’incompletezza dei percorsi, l’assenza di piste su direttrici fondamentali, la pericolosità degli attraversamenti, la virulenza del fenomeno dei furti, la scarsità dei servizi logistici (depositi protetti, portabici di qualità…).

Urge un cambio di rotta nelle politiche della mobilità. Simbolo e strumento concreto di inversione di tendenza potrebbe essere l’adozione del Biciplan, un vero e proprio piano strategico alla cui realizzazione dovrebbero essere destinate adeguate risorse finanziarie, comprimendo drasticamente quelle (ingenti) assorbite dalla mobilità automobilistica.

Giuseppe Marano

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Furti bici: le proposte della FIAB Onlus

Furto con tronchesi

Furto con tronchesi

La Fiab nazionale scende in campo contro il furto delle bici, che in italia affligge 800.000 vittime ogni anno, con un costo presunto di non meno di 80 milioni di euro (a Modena si stimano circa 5000 predazioni). Tecnologie, controlli e comportamenti intelligenti dei ciclisti potrebbero stroncare un fenomeno nocivo per la mobilità sostenibile.

Il 21 novembre 2013 si tenuto a Milano il primo convegno nazionale sul tema del furto di biciclette. Promosso dalla Fiab, è stato l’occasione per presentare i dati raccolti in tutta Italia sul fenomeno e per definire le “linee guida” dei piani di contrasto del furto da prevedere all’interno dei biciplan.

Prima nel suo genere in Italia, l’iniziativa si proponeva di sensibilizzare forze dell’ordine e amministrazioni comunali sulla gravità della piaga dei furti, sia per l’entità del danno economico a carico dei cittadini ma soprattutto per il perverso effetto sulla mobilità ecologica. Infatti, i ciclisti colpiti dalla predazione dell’amata bici tendono a impiegarla meno negli spostamenti urbani; inoltre, si orientano all’acquisto delle cosidette “bici usate”, sulla cui identificazione sussistono sempre forti dubbi.

I cittadini devono però evitare la rassegnazione, mettendo in pratica alcune regole efficaci per prevenire gran parte dei furti ai loro danni. Il decalogo proposto è semplice: parcheggiare legando ruota anteriore e telaio ad un supporto verticale ben ancorato a terra; utilizzare un antifurto di buona qualità (a Modena è in distribuzione il “BiciSicuraUP” a 35 euro); identificare la bici con la targa “BiciSicura”, la più diffusa in Italia, e registrarla al Registro Italiano Bici; non lasciare mai incustodita la bici anche per brevi commissioni; denunciare sempre i furti subiti.

Per contrastare i furti occorre anche combattere la ricettazione. È bene che i ciclisti intenzionati ad acquistare bici usate lo facciano solo presso venditori di fiducia, accertandosi della provenienza del mezzo. Acquistare da venditori non professionali e casuali espone al rischio di riciclare bici rubate che possono sempre essere intercettate dal legittimo proprietario.

ARTEBICI: ZURBARAN, Perdersi in un bicchier d’acqua

zurbaran - ferrara

zurbaran – ferrara

Mirella Tassoni

Zurbaran, chi era costui? Confesso che, prima della mostra di Ferrara, non sapevo di questo pittore spagnolo molto più di quello che don Abbondio sapeva di Carneade. Poi ti documenti un po’: il “siglo de oro”, il 600, era il suo tempo; “Caravaggio spagnolo” la definizione più usata della sua opera.

In effetti la ricerca sulla luce è una delle caratteristiche più forti dei suoi quadri, ma – più che fermarmi alle etichette – racconterò alcune impressioni sulle immagini che più mi hanno colpito. Sicuramente san Francesco, un ritratto che – pur essendo prevalentemente impastato di colori scuri ed esposto in una stanza quasi buia – in qualche modo la illumina, e basta un paio di grosse pennellate chiare a fare luce. E poi le sante vestite come principesse, con i loro broccati, i pizzi e i ricami. E ancora l’agnello sacrificale, che suscita pietà forse proprio perché è un agnello prima che un simbolo, un animale che non ha scelto la sua sorte. Mi ha poi intenerito la madonna bambina assopita, nel suo abito rosso, con il libro che forse sta per caderle dalle mani: resta nel cuore quel misto di infantile dolcezza e di luce mistica.

Ma l’immagine più nitida, quella che torno indietro a rivedere con calma, finito il tour guidato, quella in cui alla fine un po’ mi perdo, è un piccolo quadretto con una natura morta, sicuramente pieno di simboli (la purezza, la caducità…) ma anche sorprendente nella sua essenziale modernità: un piatto di metallo, una rosa, un bicchiere d’acqua che vorresti bere.