Quando la precedenza diventa un ostacolo

Come in ogni materia la progettazione di infrastrutture ciclabili andrebbe affidata a tecnici preparati e che magari usano abitualmente la bicicletta in ambito urbano.

In molti casi invece, per la sottovalutazione delle competenze necessarie, la progettazione viene affidata a tecnici che non hanno avuto modo di approfondire la materia e, nel dubbio, abbondano con segnaletica e infrastrutturazione per “separare” il più possibile dal traffico motorizzato i percorsi per le biciclette.

Al fondo vi è una visione ingegneristica della mobilità che punta al confinamento degli utenti in luoghi separati e distinti: gli automobilisti padroni della strada, i ciclisti padroni delle piste, i pedoni padroni dei marciapiedi. Peccato che questa soluzione si scontri con la realtà di ogni incrocio che, soprattutto nelle aree urbane, interrompe tutte le diverse corsie separate.

Diventa così più facile fermare indistintamente i pedoni ed i ciclisti con barriere ed ostacoli con la scusa di proteggerli, piuttosto che fermare le auto per la sicurezza.

Un esempio concreto di questo atteggiamento negativo ed in contrasto con il Codice della Strada, riguarda la precedenza delle strade laterali che si immettono su una strada principale dotata di pista ciclabile. Spesso i segnali verticali e orizzontali di dare la precedenza vengono posti al limite della corsia stradale, escludendo la precedenza alla pista ciclabile e al pedonale.

Come se non bastasse sulla pista vengono posti i segnali di fine pista ciclabile e spesso manca la segnaletica orizzontale di attraversamento ciclabile o addirittura di attraversamento pedonale. Così le auto si fermano sulla pista e sul marciapiede per dare la precedenza alle auto in transito, impedendo il transito ai pedoni e ai ciclisti. Tutto ciò contrasta con l’art. 81 del Regolamento di attuazione del C.d.S. che precisa “i segnali dare precedenza (Art. 106) e fermarsi e dare precedenza (Art. 107) devono essere posti in prossimità del limite della carreggiata della strada (e non della corsia) che gode del diritto di precedenza”.

Vi sono molte esperienze in Italia ed Europa che testimoniano l’efficacia, sia in termini di fluidità del traffico che di sicurezza, di una mobilità della convivenza e della condivisione dello spazio pubblico e varrebbe la pena che amministratori e tecnici potessero dedicare un po’ di tempo per conoscerle ed approfondirle.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Un’altra occasione persa: il tortuoso incrocio via Luosi-Barozzi

In occasione del seminario “Mobilità in equilibrio”, organizzato lo scorso marzo da Fiab e dall’Ordine degli Architetti, è stata segnalata la tortuosità dei nuovi percorsi pedonali e ciclabili dell’incrocio di via Luosi con viale Barozzi. Il Comune infatti, nel realizzare la nuova pista di viale Barozzi, aveva ristretto e disassato la pista esistente di via Luosi, rendendola promiscua con il marciapiede.

Il giorno successivo il Comune, con una nota stampa, ha precisato che i lavori erano ancora in corso e che questi problemi sarebbero stati risolti. A nove mesi di distanza i percorsi sono rimasti gli stessi e l’isola spartitraffico per i pedoni e ciclisti è diventata un “arcipelago” di isolette di cemento, cosparso di nuove “palme” semaforiche. Sicuramente non sono state rispettate le dimensioni minime “inderogabili” per le piste ciclabili bidirezionali e per i percorsi pedonali, fissate rispettivamente in 2,5 e 1,5 metri.

Come se non bastasse, è stato regolato con semaforo anche l’incrocio tra la pista esistente di via Luosi con la corsia stradale che da via Luosi svolta in direzione di via Giardini. Così i pedoni ed i ciclisti devono attendere due diverse fasi semaforiche per attraversare viale Barozzi e se provengono da via Luosi devono stringersi su un angusto marciapiede per attendere il verde al nuovo semaforo. Per contro le auto sono obbligate a rimanere ferme anche quando non passano pedoni e ciclisti.

Si può immaginare cosa succede in questi angusti spazi negli orari di ingresso di uscita degli studenti dell’Istituto Fermi o quando passano le biciclette col carrellino per bambini, cargo bike o carrozzine elettriche per anziani, sempre più diffuse.

Abbiamo attentamente osservato in questi mesi l’incrocio e succede di tutto: auto che non rispettano il nuovo semaforo sullo svincolo, biciclette che provengono da via Riccoboni e affiancano a destra l’isola spartitraffico in contromano, pedoni che non sanno dove stare, auto che imboccano via Riccoboni sulla pista ciclabile, priva di ogni protezione o segnale verticale.

C’è da chiedersi quale logica abbia guidato la progettazione di questo incrocio che, usando in modo discutibile le risorse pubbliche, ha irrigidito i flussi di traffico, ha aumentato l’insicurezza dei passanti ed ha sacrificato pedoni e ciclisti.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Salto ad ostacoli sulle piste ciclabili

Molte piste ciclabili realizzate nella nostra Provincia sono cosparse di segnaletica paletti ed ostacoli non conformi al Codice della Strada.

Gli ostacoli artificiali installati sono dei più vari: pali di sostegno della segnaletica verticale o dei semafori posati al centro della pista, cavallotti in acciaio, transenne incrociate, fioriere e panettoni in calcestruzzo.

In alcuni casi si è arrivati perfino a “strozzare” con transenne i percorsi pedonali e ciclabili in corrispondenza di accessi privati (contravvenendo palesemente le norme del C. d S.) come nella pista in via Divisione Acqui a Modena davanti alla Maserati o in via Giardini a Ubersetto davanti all’azienda Fondovalle.

Questa abitudine sbagliata rappresenta un pericolo per tutti i ciclisti, in particolar modo per i bambini e le persone anziane, e contrasta prima di tutto con il “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili” (Decreto 30 novembre 1999, n. 557) che, all’Art. 2, sottolinea la necessità di “puntare all’attrattività, alla continuità ed alla riconoscibilità dell’itinerario ciclabile, privilegiando i percorsi più’ brevi, diretti e sicuri”.

Nel caso di piste promiscue con i pedoni (ciclopedonali) questi ostacoli sono in contrasto anche con la normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche.

Quest’ultimo aspetto non va affatto sottovalutato, vista la crescente diffusione di deambulatori, carrozzine elettriche, monopattini, cargo bike, carrellini per trasporto bimbi ed altri ausili alla mobilità ciclabile e pedonale.

Negli anni ’70, agli albori della ciclabilità italiana, la posa di paletti e fioriere serviva per evitare che le piste venissero percorse dalle auto o che venissero utilizzate come spazio di sosta. Servivano in pratica a difenderle da un uso improprio.

Ma oggi si ha la netta sensazione che le scelte progettuali sulla mobilità ciclabile vengano guidate da una prospettiva tipica dell’automobilista, in pratica dal punto di vista del “cruscotto dell’automobile”.

Viene quindi da chiedersi perché progettisti ed amministratori insistano con questa cattiva abitudine che è palesemente in contrasto con la funzionalità dei percorsi, con la normativa vigente ed il buon senso.

Giorgio Castelli
www.modenainbici.it

Cavalcavia Cialdini: l’evidenza ed il buon senso forse non bastano

Un cittadino ci ha inviato copia della richiesta presentata nei mesi scorsi al Sindaco per l’adeguamento del cavalcavia Cialdini al crescente transito di persone che frequentano la numerose attività insediate a nord della ferrovia, corredata della risposta ricevuta.

Nella sostanza veniva proposta la realizzazione di un marciapiede e di una pista ciclabile sul cavalcavia per dare sicurezza ai cittadini che rinunciano ad usare l’auto per questi spostamenti urbani e contemporaneamente si chiedeva un maggior controllo della velocità dei veicoli in transito.

Nella risposta il Sindaco condivide i limiti strutturali del cavalcavia, ma ribadisce l’intenzione di realizzare, in alternativa, nuove rampe di accesso dell’attuale sottopasso di via Montecuccoli (il così detto sottopasso Fiat), per le quali sarà comunque necessaria l’acquisizione di aree ferroviarie.

La Fiab nel 2006 aveva proposto al Comune e alla Circoscrizione di realizzare un marciapiede sul lato ovest e una pista sul lato est del cavalcavia, approfittando dei lavori in corso per la realizzazione dello svincolo di collegamento del cavalcavia con il comparto del cinema Victoria.

Lo spazio necessario sarebbe stato ricavato dalla riduzione delle sezioni delle quattro corsie stradali particolarmente sovradimensionate. In tal modo questo stradone in città, che ha il limite dei 50 km/h e che finisce in un semaforo, avrebbe assunto caratteristiche urbane favorendo e condizionando positivamente i comportamenti di tutti i cittadini.

Per mesi il cavalcavia è stato ristretto a sole tre corsie ridotte, per realizzare il nuovo svincolo, senza creare particolari problemi alla circolazione, a riprova del sovradimensionamento delle sezioni stradali.

Anche in quel caso l’allora assessore Sitta aveva risposto negativamente alla proposta Fiab e il 16 novembre 2006 si era formalmente impegnato a realizzare entro il 2008 le rampe al sottopasso di via Montecuccoli, a suo dire ormai già progettate. A nulla sono valse le nostre motivazioni, anche economiche, e nemmeno è servita la continua presenza di persone che, in questi 12 anni, rischiano la vita quotidianamente a piedi ed in bicicletta sul cavalcavia, proprio sotto le finestre degli uffici comunali.

L’attuale sottopasso, oltre ad essere estremamente faticoso per chi deve trascinare la bicicletta, è anche chiuso per sicurezza nelle ore notturne, mentre una pista lungo il cavalcavia non avrebbe questo problema.

A quei tempi l’assessore parlava del Piano della mobilità ciclabile e in questa ultima risposta si parla del PUMS (Piano della Mobilità Sostenibile), ma la sostanza è che:

  • nei documenti si dichiara di incentivare la bicicletta e nei fatti si continua a vedere la mobilità dal parabrezza dell’automobile,
  • si propongono manovre anti smog, ma non si vogliono ridurre le inutili e dannose velocità nelle zone urbane,
  • si organizzano biciclettate primaverili ma non si creano le condizioni per un uso quotidiano della bicicletta e dei piedi per spostarci in città.

Forse i nostri amministratori non hanno ancora compreso che, per una città di pianura e di medie dimensioni come la nostra, se ritroviamo il giusto equilibrio nell’uso dei mezzi nei vari spostamenti quotidiani e ci stringiamo un po’ tutti, avremo più sicurezza, meno inquinamento e vivremo meglio tutti.

Giorgio Castelli
FIAB Modena

“M’illumino di più 2018”: in bici più visibili più sicuri

In bicicletta bisogna essere ben visibili, è un obbligo, soprattutto quando si viaggia di sera.

L’importanza di questo tema è ben nota alla FIAB che da anni è impegnata per “illuminare” chi deve rendersi visibile sulla strada. È così che è nata la campagna “M’illumino di più”: l’iniziativa affronta i noti aspetti del codice della strada e sottolinea con forza che, chi si rende visibile in bicicletta, fa una scelta intelligente e “illuminata”, perché crea sicurezza per sé e per gli altri utenti della strada.

Come consuetudine FIAB Modena rinnova la biciclettata annuale “M’illumino di più” 2018. Tutti i presenti all’iniziativa, verranno dispensati di pratici consigli sui dispositivi di illuminazione, da esperti del settore ciclistico, con particolare riferimento ai ciclisti urbani che percorrono quotidianamente il tragitto casa-lavoro, anche e soprattutto su strade extraurbane; completeremo il quadro conoscitivo sulla sicurezza con ulteriori informazioni sui sistemi antifurto e sull’equipaggiamento base necessario, per affrontare in qualsiasi condizione meteo il bike to work.

L’appuntamento è per venerdì 19 ottobre 2018, ritrovo alle ore 18:00 in piazza Grande; alle 18:30 partirà un breve biciclettata in notturna per il centro città, guidata da cargo-bike, tutti rigorosamente illuminati.

Alle 19:00 presso Cicli Center (Via Emilia Ovest 174) punto informativo sui dispositivi di illuminazione e segnalazione e consigli tecnici per fare bike to work.

La serata si concluderà con un ciclo-aperitivo offerto da Fiab, ore 20:00 in Largo Sant’Eufemia, presso il bar La Bicicletta; sarà momento di ulteriore confronto con la distribuzione di materiale informativo a cura di FIAB Modena: regole e modalità per spostarsi di notte in sicurezza. Durante l’iniziativa sarà possibile iscriversi o rinnovare la tessera associativa FIAB per l’anno 2019.

FIAB Modena

www.modenainbici.it

 

Non uso la bici perché … le scuse più frequenti

Non uso la bici perché. Resistenza n.1: Con la macchina faccio prima
Nessun luogo è lontano, ovvero cambiare prospettiva

Spesso abbiamo l’impressione che la modalità più pratica e veloce  per raggiungere il luogo di lavoro sia l’automobile, anche quando ci muoviamo all’interno della stessa città e/o la distanza non supera i 7/9 chilometri.

Così ci immergiamo nel traffico cittadino all’interno delle nostre scatole di metallo, facciamo lunghe code al semaforo e poi passiamo e ripassiamo sulla stessa via nell’inutile tentativo di cercare un parcheggio. Quante volte lo sentiamo raccontare dai colleghi, che  sono costretti ad uscire ad orari improbabili per evitare code e per poter sostare nelle poche zone riservate, magari aspettando l’uscita dei residenti.

In questi casi sono l’abitudine e la pigrizia ad avere la meglio, basterebbe però provare una volta per tutte a cambiare prospettiva ed invece di divorare l’asfalto, inseguendo i secondi persi ai semafori, scandire lentamente il tempo al ritmo delle nostre due ruote, imboccando strade alternative a quelle usuali, magari passando all’interno di un parco cittadino o di una pista ciclabile della quale fino a ieri ignoravamo l’esistenza.

Alla fine ci accorgeremo con stupore non solo che i tempi spesi per il tragitto casa lavoro sono gli stessi o quasi, ma che avremo imparato a perderci tra gli odori del mattino appena iniziato o i colori del tramonto e, … miracolo!, a sviluppare una disposizione d’animo positiva per affrontare la giornata.

 

Non uso la bici perché. Resistenza n.2: Ho freddo, ho caldo, mi bagno
Non facciamoci influenzare dal ciclo delle stagioni, piuttosto assecondiamolo 

Ma come fai a prendere la bici con questo tempaccio? Quante volte ci sentiamo rivolgere questa domanda quando arriviamo sul luogo di lavoro in una fredda mattina d’inverno, con cappello, guanti imbottiti e magari una mantella impermeabile che ci sfiliamo dal capo per non bagnare tutto quello che sfioriamo? Oppure quando fuori la lancetta del termometro supera i 30 gradi e ci sembra che l’unico modo per salvarsi dal caldo infernale sia accendere l’aria condizionata a 18 gradi?

Se dovessimo attendere il periodo propizio dovremmo inforcare la bicicletta solo in primavera , con il sole e la temperatura mite.

Ma allora come fanno gli atleti che devono allenarsi e che escono da casa estate ed inverno, con il gelo e con l’arsura?  Quando si fa sport l’abbigliamento aiuta e naturalmente anche quando scegliamo la bicicletta come mezzo di trasporto, nei periodi in cui piove o la colonnina di mercurio scende in picchiata, coprirsi adeguatamente è buona norma.  Ma il vero cambiamento è quello mentale, ovvero considerare l’avvicendamento delle stagioni come un evento naturale da accettare.

Scopriremo così che dopo cinque minuti che spingiamo sui pedali avremo sviluppato il calore necessario per scaldare il nostro corpo e che, al contrario la pedalata lenta in estate fa sviluppare la giusta aria senza troppa fatica, come fossimo raggiunti da un enorme ventilatore naturale.

 

Non uso la bici perché. Resistenza n.3: Non mi sento sicuro, ho paura
Chi molto pratica molto impara

Al di là della saggezza di questo vecchio proverbio toscano, non dimentichiamoci che la città è una giungla e non avendo le Fahrradstrassen tedesche o le Bike Highways danesi, ci dobbiamo destreggiare tra piste ciclabili che finiscono nel nulla, strade a più corsie dove il traffico corre veloce o vie strette dove il ciclista viene considerato un corpo estraneo. Per i ciclisti urbani, il passo successivo è senz’altro quello di osare, mettendo in atto tutti gli accorgimenti necessari a preservare la propria incolumità, accorgimenti che ovviamente non ci esimono dal rispetto del codice della strada.

Regola primaria, in ogni occasione, anche quando abbiamo la precedenza, è assicurarsi il contatto visivo con l’automobilista, agli incroci, nelle rotatorie, nel percorrere una pista ciclabile all’altezza delle intersezioni con strade e passi carrai. Bisogna saper prevedere la mossa che farà l’automobilista: se sentiamo alle nostre spalle il rombo del motore e la strada è stretta, è preferibile non stare troppo attaccati al ciglio del marciapiede, in questo modo verremo sorpassati solo quando si sentiranno sicuri di poterlo fare, senza rischiare di sfiorarci.

Attenzione agli angoli ciechi nel momento in cui sorpassiamo a destra un carro-articolato o un tram ed ai binari di questi ultimi che vanno superati in diagonale, con un angolo di almeno 60 gradi.  Laddove non ci sono, creare le nostre “case avanzate” agli incroci semaforici, situandoci un paio di metri avanti alle macchine in coda.  Impariamo a segnalare in anticipo il nostro senso di marcia alzando il braccio nella direzione che vogliamo prendere e facciamo attenzione agli sportelli dei veicoli parcheggiati che potrebbero aprirsi all’improvviso. Quando piove le nostre ruote possono imbattersi in elementi scivolosi come pietre e foglie. Rendersi visibili, oltre che obbligatorio, è un’altra regola salva vita.

Perché vai al lavoro in bici?

Alcune interviste e un piccolo cortometraggio raccontano le motivazioni di chi scegli e di usare la bicicletta per i suoi spostamenti quotidiani

Quando ero un ragazzino mio padre prendeva la bicicletta e salutava mia madre con il classico “a vagh a Modna”, che usavano i modenesi residenti fuori da quella che una volta era la cerchia della mura, quando andavano in centro. Seguivo mia madre con la mia biciclettina blu quando andava a fare la spesa al mercato, l’Albinelli, dove c’era uno dei tanti depositi custoditi; sono andato a scuola con la ciclo e a zonzo con gli amici, spingendomi spesso fuori città. Usare la bicicletta era normale, molti l’usavano tutti i giorni,  ma poi qualcosa è cambiato. Forse abbiamo creduto di essere più ricchi e che l’automobile fosse più comoda. Sicuro è che le auto hanno letteralmente intasato la città, ammorbandone l’aria e deturpando molte belle vie e piazze del centro trasformandole in parcheggi. A vent’anni da casa mia arrivavo sotto alla Ghirlandina in 10 minuti a piedi, questo per dare un’idea delle dimensioni della città.

Certamente negli anni Modena è cresciuta, nuovi quartieri residenziali e nuove zone produttive e commerciali. Rimane però vero, almeno per i residenti in città, che difficilmente le distanze percorse per andare al lavoro superano i 5 o 6 chilometri. La morfologia pianeggiante e le dimensioni compatte fanno di Modena un luogo che sarebbe ideale per l’uso della bicicletta.

Così mi sono preso la briga di cercare, con l’aiuto di amici e conoscenti, alcune persone con cui fare due chiacchiere riguardanti soprattutto il loro andare al lavoro in bicicletta, chiacchiere che sono poi state registrate ed inserite in un piccolo cortometraggio.

È emerso che molte delle persone che usano la bicicletta lo fanno perché convinte della maggiore comodità della stessa nei piccoli e medi spostamenti quotidiani in città, qualcuno neppure possiede un automobile perché ha scoperto che non gli serve. È spesso una convinzione acquisita nel tempo, un uso naturale della bicicletta negli anni a partire da quando si era ragazzi o bambini. C’è chi arriva in città in treno, con una bici pieghevole, per poi proseguire. C’è che lascia la bici in deposito, usandola per gli spostamenti cittadini una volta lasciata l’auto in un parcheggio. C’è chi usa la bicicletta perché ha solo quella. Magari una di quelle donne straniere che hanno imparato ad usarla qui, creandosi un briciolo di indipendenza. Qualcuno con la bicicletta ci va ovunque, portandosela dietro in  treno, negli spostamenti verso altre città. Ci sono quelli che vengono addirittura da fuori Modena, magari non tutti i giorni, così hanno scoperto che ci vuole meno tempo. Una famiglia con tre bimbi ha perfino scelto di vendere l’auto per muoversi esclusivamente con una cargo bike.

Molti apprezzano il poter godere del cambio delle stagioni e del variare del tempo atmosferico.

Parecchi mi hanno raccontato che con l’uso della bici si sentono meglio fisicamente, sono meno stressati dal traffico, meno costretti, più liberi ed arrivano a destinazione più tranquilli, ottimisti e sereni. Certi mi hanno fatto notare che in bicicletta viene naturale pensare.

Ho conosciuto chi della bici fa un mezzo di lavoro. Corrieri in bicicletta che fanno consegne in città, compresa la spesa a domicilio. C’è chi, facendo l’agente di commercio ed avendo clienti in centro storico, trova naturale andarli a trovare in bicicletta.

Ho incontrato anche chi costruisce bici da trasporto e mi ha raccontato come è cominciata: volendo un mezzo pratico per portare a spasso la sua bimba, ha pensato di costruirsene una e non ha più smesso, facendone una professione.

Eugenio Carretti

Il progetto Bike to work a Modena

Finanziato dal Ministero dell’Ambiente, il progetto mira a promuovere una mobilità sostenibile nei percorsi casa-scuola, casa-lavoro

Il 22 settembre scorso FIAB Onlus ha organizzato la Quarta giornata nazionale dedicata al Bike to work. In questa occasione sono stati invitati dipendenti di aziende, commercianti, amministratori pubblici e studenti a usare la bicicletta per raggiungere il posto di lavoro, nella speranza che diventi una salutare abitudine quotidiana.

Le nostre città hanno bisogno di mobilità intelligente, pulita e condivisa e usare la bicicletta quotidianamente può renderlo possibile.

Con lo stesso obiettivo, Fiab Modena, ha deciso di partecipare al Progetto di Bike to work promosso dal Comune di Modena, assieme a ARPAE, Azienda USL di Modena, Università Federico II di Napoli, Euromobility di Roma, AESS – Agenzia per l’Energia e lo Sviluppo Sostenibile di Modena, Associazione Città Sane Modena, Wecity srl, Seta SpA.

Il progetto, finanziato con oltre 600.000 Euro dal Ministero dell’Ambiente col “Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro”, permetterà di premiare nei prossimi due anni chi usa la bicicletta con:

  • contributi economici rapportati alle distanze percorse quotidianamente
  • agevolazioni per chi la usa insieme al trasporto  pubblico
  • incentivi economici all’acquisto di biciclette pieghevoli per particolari utenti
  • controlli sanitari periodici
  • calcolo della riduzione proporzionale dell’inquinamento urbano.

Unito al progetto MO.SSA, di cui FIAB è partner, il progetto Bike to work si propone di spingere i lavoratori e le aziende verso una mobilità migliore, ma per facilitare l’uso quotidiano della bicicletta è necessario un altro elemento essenziale: rendere i percorsi ciclistici veloci, diretti e sicuri e garantire il parcheggio protetto dai furti.

Purtroppo, come certifica l’ultimo Piano della mobilità ciclabile del Comune di Modena, su 765 attraversamenti che collegano le piste esistenti, più della metà sono solo pedonali (cioè si deve scendere dalla bicicletta) e solo uno su 25 è ciclabile. Inoltre solo il 2% delle piste sono separate dai veicoli e soprattutto dai pedoni.

Promuovere la ciclabilità è quindi sicuramente utile, ma l’attuale assetto dello spazio pubblico e la mancanza di infrastrutture frenano una mobilità più equilibrata, in città meno inquinate e con lavoratori, studenti e cittadini più felici e più in forma.

Piste ciclabili? Ci vuol altro!

Per rendere più attraenti i percorsi casa-lavoro in bicicletta non bastano le piste ciclabili: occorre ripensare lo spazio delle strade (*)

Alcuni anni fa ero in ufficio, collegato via Skype con una collega di Nuova Delhi; siccome dovevo rincasare per una questione famigliare, le ho chiesto di sospendere e di riprendere più tardi. Scendo, prendo la bici, vado a casa, mi ricollego a Skype e richiamo la collega. Venti minuti dopo.
– Didn’t want you to go home?
– I’m at home
– I can’t believe it

L’idea che nelle nostre città la distanza casa-lavoro sia percorribile nel giro di pochi minuti (da 10 a 30, diciamo) è qualcosa di inconcepibile per un abitante di una metropoli di un paese di nuova industrializzazione. Certo, si dirà, non c’è bisogno di essere di Delhi: anche chi vive a Roma, o chi vive a Milano e lavora in Brianza, o chi vive a Modena e lavora a Scandiano non può sorprendere (e far morire di invidia) i colleghi indiani. Vero. Ma non si può negare che la maggior parte delle nostre città, in cui spesso viviamo e lavoriamo, sono città che si attraversano in un quarto d’ora da una parte all’altra (come diceva Guccini); o poco più.

Perché, allora, continua ad essere così raro lo spostamento in bicicletta per recarsi al lavoro? I motivi sono diversi.

Innanzitutto le città italiane continuano ad essere poco invitanti per chi usa la bicicletta; negli ultimi anni la rete delle ciclabili è senz’altro aumentata, ma queste sono spesso poco collegate tra loro e, soprattutto, essendo fuori dalla sede stradale (accanto al marciapiede o, peggio, sul marciapiede), creano una sorta di ghettizzazione di chi usa la bicicletta. Sulle ciclabili di questo tipo si è spesso costretti a continui stop-and-go, si perdono i diritti di precedenza delle strade corrispondenti e l’asfalto è molte volte degradato. Ecco perché nella maggior parte dei Paesi europei le piste ciclabili sono ora in strada: la bicicletta viene resa visibile e ha la stessa dignità dell’auto.

Ma questo non basta; è necessario andare oltre le piste ciclabili, o meglio, fare altro che piste ciclabili! Si tratta infatti di ripensare lo spazio delle strade, privilegiando le modalità di trasporto sostenibili, quali piedi, biciclette e mezzi pubblici; questo lo si ottiene mediante misure infrastrutturali e regolamentari nemmeno troppo costose. Gli spazi per le auto dovrebbero essere ridotti a una sola corsia; presso i semafori le biciclette dovrebbero avere una linea d’arresto sopravanzata rispetta alle auto e le ciclabili sdoppiarsi per consentire le diverse opzioni (svolta a sinistra, eccetera); il senso unico eccetto bici dovrebbe essere realizzato ogni volta sia possibile; soprattutto si dovrebbe adottare il limite di velocità dei 30 Km/h in tutte le zone residenziali ed implementare altre misure per abbassare la velocità di punta delle auto (una fra tutte: togliere molti segnali di precedenza); la segnaletica stradale dovrebbe essere ripensata, in modo che si rivolga anche a chi usa la bicicletta e i piedi.

Tutto questo non basterebbe a raggiungere i valori di modal split delle città più innovative, ma sarebbe già un grande passo avanti. Ma io uso l’auto perché poi prima porto i figli a scuola, poi vado a fare la spesa… è la motivazione principale per giustificare l’uso dell’automobile. È infatti l’intera struttura della città che deve essere ripensata; le misure descritte più in alto (unite a ad una forte campagna di sensibilizzazione sulle regole del traffico) dovrebbero rendere possibile ad ogni bambino di 8-9 anni di andare a scuola con gli amici; e una città che privilegi i negozi di quartiere invece dei centri commerciali toglie la scusa di dover usare l’auto regolarmente per dover fare gli acquisti giornalieri.

Ma se poi la bici me la fregano? Esiste un ulteriore impulso, che deve partire dai datori di lavoro: la mobilità casa-lavoro in bicicletta deve essere incentivata dal datore di lavoro stesso, mediante innanzitutto la costruzione di parcheggi comodi, sicuri e protetti, e attraverso altre azioni che incentivino l’uso della bicicletta: dalla costruzione di docce (per permettere ai dipendenti di usare la bici e poi cambiarsi) a kit di riparazione, dall’acquisto di biciclette aziendali (oggi esiste anche il leasing), al finanziamento di check-up annuali della bicicletta per i dipendenti più virtuosi. Gli imprenditori più illuminati non fanno questo solo per essere buoni con la Terra: è provato infatti che recarsi al lavoro in bicicletta, evitare gli ingorghi, respirare, ascoltare i suoni della natura rende il lavoratore più contento; e quindi, più efficiente.

Per questo è nato il progetto MO.SSA.
Vedremo nei prossimi anni se iniziative come Bike to work e MO.SSA, unite alla realizzazione di PUMS (Piani urbani per la mobilità sostenibile) innovativi e a maggiori finanziamenti alla mobilità ciclistica, consentiranno di raddoppiare o triplicare la percentuale di persone che usano la bicicletta per recarsi al lavoro.

(*) Andrea Burzacchini, responsabile aMo (agenzia per la mobilità a Modena)

 

Far bene i conti fa bene anche alla salute

È intuitivo che muoversi in bicicletta faccia risparmiare. Sì, ma quanto? 

Al momento di uscire da casa per andare al lavoro, soprattutto in quelle grigie mattinate padane, possiamo prendere in mano la chiave dell’auto, quella della bicicletta o l’abbonamento del bus. Secondo i dati sulla mobilità dei PUMS (Piani urbani della mobilità sostenibile) il 75% dei modenesi prendono abitualmente la chiave dell’auto.

Per nascondere la nostra pigrizia, tentiamo di consolarci pensando che in fondo si tratta di spendere qualche euro in benzina, perché in ogni caso abbiamo già comprato l’auto e pagato il bollo e l’assicurazione per tutto l’anno.

Ma i conti vanno fatti bene.

Senza elaborare complessi calcoli sui costi diretti ed indiretti dell’uso dell’automobile è sufficiente osservare i prezzi del noleggio a lungo termine, proposto da molte case automobilistiche, che comprendono anche le spese di bollo, assicurazione e manutenzione ordinaria e straordinaria.
Secondo queste “offerte”, se si percorrono meno di 20.000 km all’anno si spendono da un minimo di 4.300 €/anno per una utilitaria, ai 5/6000 € per un’auto di media cilindrata.

Quindi, con una percorrenza media di 15.0000 km/anno, il costo fisso a chilometro varia tra i 29 e i 40 centesimi di euro, ai quali vanno aggiunti circa di 15 centesimi per il carburante, Un chilometro urbano in auto ci costa quindi tra i 44 e i 55 centesimi di euro.

Questi conti approssimativi trovano conferma nelle tariffe dei servizi di car sharing della vicina Bologna, depurate dall’utile d’impresa, oppure nelle tabelle nazionali dei costi chilometrici ACI per i rimborsi di viaggio ai dipendenti che utilizzano la propria auto.

Queste tabelle, pubblicate alla fine del 2017 sulla Gazzetta Ufficiale, indicano infatti un rimborso chilometrico compreso tra i 42 centesimi per una utilitaria e i 56 centesimi per un’auto di media cilindrata.

Ne deriva che, se si percorrono 15.000 km all’anno, l’automobile ci costa tra i 6.300 e gli 8.400 €/anno, sempre se non cadiamo nella tentazione di acquistare modelli di classe superiore perché, in questo caso, i costi salirebbero in modo esponenziale.

Certamente è molto difficile condurre una vita famigliare senza un’automobile, ma è sicuramente possibile vivere senza possedere un’auto per ogni componente adulto e soprattutto senza considerare l’auto come l’unico mezzo di trasporto possibile. È infatti l’abuso quotidiano dell’auto che crea problemi di traffico e un intollerabile inquinamento atmosferico e acustico che purtroppo siamo tutti costretti a subire.

I dati dei PUMS testimoniano che a Modena il 47% degli spostamenti in auto sono al di sotto dei 2 chilometri e mezzo e circa il 20% sono addirittura inferiore ai 500 metri.

Se siamo attenti alla nostra qualità della vita e soprattutto se ci pensiamo bene, basterebbe fare a piedi o in bicicletta una buona parte di questi spostamenti, per avere una città più sana ed una salute fisica e mentale migliore perché, oltre a fare del sano movimento, ci potremmo permettere qualche vacanza in più.