Streets for kids: strade scolastiche ovunque

Venerdì 5 maggio c’è stata la terza mobilitazione “Streets for kids”: in 610 città europee (115 italiane) migliaia di bambini sono scesi in strada con girotondi, pedalate e giochi per chiedere più strade scolastiche. A Modena l’evento, per la seconda volta, è stato davanti la scuola dell’infanzia Saliceto Panaro.

Solo nel corso della mattina del 5 maggio a Modena ci sono stati ben quattro incidenti stradali: quando gli episodi di violenza stradale sono troppo diffusi (Modena è maglia nera da anni purtroppo) non si può più parlare di incidenti, di fatalità, ma occorre prendere atto di problemi sistemici di insicurezza stradale.

Anche presso la scuola dell’infanzia di Saliceto Panaro da anni i genitori lamentano velocità elevatissime dei veicoli vicino la scuola, solo dal 2010 ad oggi in quell’area di Modena si sono verificati più di 42 incidenti, la maggior parte con feriti e purtroppo anche mortali.

Quando in una strada la velocità normalmente raggiunta dai veicoli è superiore al limite in vigore significa che quel tratto stradale è stato mal progettato: non è accettabile che un veicolo possa raggiungere gli 80 kmh o più in un centro abitato, a maggior ragione davanti ad una scuola dove sulla carta il limite sarebbe dei 30kmh. Ed anche se nel PUMS c’è la previsione di aumentare in città le zone 30 e le strade scolastiche, quel comparto di Modena è completamente esclusa da questi benefici.

Molti genitori si sentono costretti a prendere l’auto per accompagnare i bimbi a scuola, perché farlo a piedi o in bici è troppo pericoloso, ed anche i ragazzi più grandi rinunciano per lo stesso motivo al loro diritto di muoversi autonomamente.

I “genitori ECOattivi” continueranno a sensibilizzare sul tema della sicurezza stradale anche in altre zone di Modena: la prossima iniziativa sarà il 17 maggio davanti la scuola dell’infanzia Tamburini. C’è tanta voglia di vivere in una città più a misura di persone, soprattutto per piccoli ed anziani, spesso i meno considerati. Noi di FIAB con ARIA supportiamo queste iniziative con eventi formativi e azioni concrete per promuovere “Modena Città 30”, una città più vivibile.

Nel resto d’Europa si punta verso una mobilità più democratica, con un riequilibrio degli spazi a favore delle utenze più deboli. Oltre ad un abbassamento dei limiti vengono istituite zone di quiete scolastica dove, almeno nelle ore di ingresso/uscita, il traffico motorizzato viene vietato. Chiediamo che quanto prima questo sia lo standard davanti ad ogni plesso scolastico modenese.

Città 30: una proposta di legge nazionale

Perdere 12 secondi per risparmiare tante vite

Una vita spezzata all’improvviso è un evento tragico che smuove il profondo del nostro cuore, specie se si tratta di una giovane vittima. L’attacco mortale di un orso in Trentino (evento peraltro rarissimo in Italia) ha acceso un intenso dibattito su come gestire questi grandi mammiferi, come contenerli, se abbatterne e quanti. Eppure, solo nel 2021 nelle “giungle urbane” italiane sono state uccise oltre 2000 persone, e quasi 150 mila sono state ferite (senza contare quelle uccise o ferite fuori città): è come se fossero stati feriti tutti gli abitanti di una città come Rimini o Livorno. I dati 2022 (non ancora ufficiali) segnano un aumento netto di questi numeri già terrificanti, con tutto quello che di devastante comportano per le vittime e i loro famigliari.

Purtroppo, un orso fa notizia ma a questi drammi siamo incredibilmente assuefatti, e il dibattito sulla causa di queste uccisioni e di questi ferimenti langue ancora: e la causa, secondo la polizia stradale, è principalmente la velocità dei veicoli motorizzati sulle strade delle nostre città.

Eppure, la soluzione, comprovata, è a portata di mano da anni: è nella riduzione del limite massimo di velocità urbana a 30 km/h. In Spagna per esempio, dove il limite dei 30 km/h è in vigore dal maggio 2021 su tutte le strade urbane, in sei mesi le collisioni sono diminuite di un quinto e i morti del 14%. Parliamo di decine di mamme, papà, ragazzini, bambini, nonni che possono continuare a sedersi a tavola con la loro famiglia, ridere, abbracciarsi: vivere, insomma.

Per questo Fiab insieme a Legambiente, Kyoto Club, Amodo, Clean Cities, Asvis e Fondazione Scarponi ha presentato a Bologna lo scorso sabato all’interno del simposio MobilitArs una proposta di legge nazionale sulla “Città 30” per l’aumento della sicurezza stradale nei centri abitati.

A chi obietta che ridurre a 30 km/h la velocità massima in città porterebbe alla paralisi, hanno risposto gli ingegneri di Polinomia, che hanno analizzato i dati dei flussi di traffico di Bologna: nell’ipotesi peggiore basata sulle assunzioni più conservative, la trasformazione di Bologna a città 30 costerebbe a ciascun automobilista 12 secondi in più per ogni spostamento. “Perdere” 12 secondi per salvare una vita: essere eroi non è mai stato più semplice.

D’altra parte, le amministrazioni che ritardano l’introduzione di questa misura salvavita stanno permettendo, colpevolmente, che sulle strade la gente continui a morire. Basta morti in strada, Città 30 subito.

Scarica la Presentazione della proposta di legge nazionale Citta 30

Ancora troppo pochi i ciclisti e i pedoni a Modena

Un pessimo segno per la mobilità e per la città.

Martedì 18 aprile i volontari di FIAB Modena hanno effettuato la semestrale rilevazione dei ciclisti nei 15 varchi stabiliti dal Comune di Modena nel 2005.

Dalle 7,30 alle 8,45 sono transitati 2856 ciclisti, con un calo del 28% rispetto a quelli contati nel settembre scorso e del 9% rispetto a quelli dell’aprile 2022. È in assoluto il risultato peggiore degli ultimi dieci anni, anche rispetto al recente periodo pandemico, fortemente condizionato dal lavoro e dallo studio svolto a casa.

Le strade più frequentate rimangono quelle di accesso al centro città: via Emilia Est ed Ovest, via Tagliazucchi, viale Medaglie d’Oro, via Sigonio e corso Canalchiaro, le più frequentate anche dai pedoni, risultati in crescita di circa il 7% rispetto ad aprile 2022 (ma ancora pochi).

Il Comune di Modena nel Piano Urbano della Mobilità Sostenibile del 2020 prevedeva di “migliorare le condizioni della circolazione e della sicurezza stradale, (…) favorendo il passaggio dall’uso generalizzato dell’auto privata alla mobilità dolce, ciclabile e pedonale” puntando alla “valorizzazione delle aree pubbliche come spazio condiviso e non più conteso tra auto, pedoni, ciclisti e trasporto pubblico”.

Ma in questi anni, per non toccare i parcheggi, ha visibilmente peggiorato la vita dei pedoni e dei ciclisti autorizzando l’occupazione dei marciapiedi da parte dei locali pubblici e delle attività commerciali, tollerando la posa di tavolini e attrezzature pubblicitarie abusive e autorizzando cantieri edili privi dei percorsi alternativi sicuri per pedoni e ciclisti indicati dal Codice della Strada. A rendere inservibile quel che resta dei percorsi per ciclisti e pedoni ci pensa poi spesso la sosta abusiva, anche questa apparentemente tollerata perché molto raramente sanzionata.

Per contro non sono migliorati i percorsi di accesso pedonale e ciclabile ai luoghi di lavoro e di studio e mancano le promesse zone quiete scolastiche.

Queste sono solo alcune delle azioni per la mobilità sostenibile indicate e non attuate dal Comune, ma pare proprio che anche quelle attuate non abbiano prodotto risultati di rilievo. Vien da chiedersi come pensi il Comune, di questo passo, di raggiungere il 20% degli spostamenti quotidiani in bicicletta (previsto al 2030), ma soprattutto come intenda ridurre quel 12% dei modenesi che usano giornalmente l’auto per spostamenti inferiori al chilometro e l’altro 32% che ne precorre meno di due.

Carrarmati o bimbi in bici? Visioni di due città

Carrarmati o bimbi in bici? Visioni di due città

Da qualche giorno si parla molto della collisione tra il SUV di Ciro Immobile, capitano della Lazio e calciatore della Nazionale, e un tram con 25 persone a bordo. La dinamica è al vaglio della polizia, resta il fatto che il SUV di Immobile, con una massa a vuoto di 2,5 tonnellate, è riuscito a far uscire dai binari un tram con un peso di oltre 30 tonnellate, fortunatamente senza conseguenze fatali per nessuno. Andrea Spinosa, esperto di trasporti, ha stimato con qualche calcolo di fisica che un tale effetto sul tram si poteva verificare con una velocità presunta del SUV di circa 80 km/h. Ma se invece fosse vero che non superava i 50 km/h, come da lui dichiarato, allora appare ancora più impressionante la potenza generata da questi mezzi.

Immobile, che stava accompagnando le figlie a un saggio di danza, ha commentato: “Se fossimo stati nella macchina piccola non so cosa poteva succedere, ce la siamo vista bruttissima”, ma vale il contrario: se al posto del tram ci fosse stata una “macchina piccola”, o qualcuno in bici o in monopattino, il bilancio della collisione sarebbe stato indubbiamente più grave. Invece, guidando a velocità ridotta (tipo 30 km/h) probabilmente ci sarebbe stato il tempo di frenare e questa collisione non si sarebbe verificata, e comunque con un’auto più piccola avrebbe avuto un impatto meno importante.

Le persone acquistano i SUV per sentirsi sicure, ma paradossalmente sono meno sicuri delle auto “normali”, sia per chi sta fuori che per chi sta dentro l’abitacolo. Chi è alla guida è ingannato dal senso di protezione che offrono, è incoraggiato a rischiare di più, ad accelerare di più, ma la loro altezza raddoppia le chances che si ribaltino in caso di collisioni. Le statistiche mostrano che la probabilità di morire in una collisione alla guida di un SUV è dell’11% più alta che in un’auto “normale”. I SUV sono ancor più letali per gli altri, a causa del loro peso enorme, della visibilità più ridotta (un bimbo davanti al cofano di un SUV risulta invisibile) e dell’altezza. Mentre in un’auto “normale” il paraurti colpisce un pedone alle gambe, lanciandolo sul cofano, un SUV lo colpisce direttamente al torso, o alla testa, e poi lo schiaccia con le ruote.

E’ questa la visione di città che vogliamo? Una città dove le strade urbane sono un territorio ostile, le collisioni sono sempre in agguato, e quindi bisogna guidare dei carrarmati per sentirsi “sicuri”? O una città dove le strade sono luoghi di incontro, interazione sociale, scambio, dove anche bambini anziani e disabili possono muoversi in sicurezza, dove si può camminare e pedalare e anche guidare un’utilitaria senza sentirsi sempre in pericolo di vita?

Cicloturismo e cammini: un antidoto all’overturism

Si sono concentrate in queste settimane alcune notizie sul mondo del turismo lento a piedi ed in bici, a partire con l’annuncio ad inizio marzo di un finanziamento di 10 milioni per lo sviluppo del cicloturismo in Appennino sulle tre direttrici delle ciclabili del Secchia (tratto Pescale-valico) e del Panaro (tratto Casona-Croce Arcana) e della storica Via Vandelli.

E’ dal 2013 con il progetto “Biciclette a Fiumi” (che coinvolgeva proprio gli argini del Secchia e del Panaro) che cerchiamo di spiegare le potenzialità di questo movimento: ora vediamo finalmente una grande consapevolezza dell’importanza di queste infrastrutture.

Infatti, il mondo dei viaggi attivi è in grossa evoluzione e lo testimoniano gli oltre 20.000 visitatori alla recente Fiera del Cicloturismo a Bologna, od il grande successo di percorsi nati dal basso come la “Via Vandelli” e la “Via degli Dei”.

Ne abbiamo avuto l’ennesima riprova anche lo scorso weekend al compleanno della Ciclovia del Sole, una infrastruttura che pur ancora incompleta è già una solida realtà capace di vivacizzare i territori attraversati.

Anche perché l’altra notizia fresca è quella proveniente dalle Cinque Terre, dove sono esplosi i problemi ben conosciuti del sovraffollamento turistico (overturism, come è stato definito dall’Organizzazione Mondiale del Turismo): un impatto eccessivamente negativo della qualità di vita percepita dei cittadini e delle esperienze dei visitatori.

Non si corrono questi problemi con camminatori e pedalatori, perché viaggiano in piccoli gruppi, prediligono mete minori a contatto con la natura, spesso fuori dalle calde stagioni estive, apprezzano le piccole attività economiche e culturali locali. Tra l’altro, viaggiando con bagagli leggeri, spendono molto sul territorio perché hanno bisogno di tutto.

E non si può parlare nemmeno di bolla effimera: da anni i tour operatori ci dicono che i viaggiatori stranieri hanno l’Italia in cima alle loro liste dei desideri appena troveranno tracciati sicuri e servizi diffusi. Ed è un numero in potenziale crescita esponenziale grazie alla diffusione delle bici elettriche.

Per i nostri territori è una occasione formidabile, che va tra l’altro a sopperire le difficoltà crescenti ed inarrestabili del prodotto neve: nelle scelte bisognerà avere come stella polare le esigenze del viaggiatore, senza farsi sviare da interessi locali. FIAB con la sua decennale conoscenza di questi fenomeni è a disposizione di tutte le amministrazioni per consigliare e supportare.

Nei panni di un datore di lavoro …

Migliorare l’efficienza sul posto di lavoro è semplice come passare da A(uto) a B(ici)

Tra chi chiede maggiori investimenti in ciclabilità, dovrebbero figurare ai primi posti i datori di lavoro. Diversi studi hanno dimostrato che i dipendenti che arrivano al lavoro in bicicletta sono di buon umore, energici e tonici, sembrano riposati e stanno focalizzati su quello che hanno da fare, sono svelti ed efficienti, hanno un’attitudine positiva verso i colleghi e il lavoro e si ammalano raramente.

Questo perché per andare in bici al lavoro non si resta mai imbottigliati nel traffico ad imprecare, si fa un moderato movimento fisico che secondo l’OMS porta ad una riduzione del 25% dei rischi di insorgenza di disturbi cardiovascolari e addirittura riduce l’incidenza di alcuni tipi di cancro. Tramite le endorfine che si liberano, pedalare ogni giorno migliora l’umore, la qualità del sonno notturno e la concentrazione, mentre l’attività fisica e i livelli più alti di vitamina D dovuta alla breve esposizione quotidiana al sole rinforzano il sistema immunitario.

Non tutti i lavoratori hanno le condizioni per poter cambiare le proprie abitudini: c’è chi abita troppo lontano dal lavoro o chi si può muovere solo in auto. Ma nonostante tutto c’è una grande parte di lavoratori che abitano a non più di 5-7km dal luogo di lavoro, stanno otto ore nello stesso stabile, mangiano velocemente sul posto a pranzo e tornano direttamente a casa la sera. Quanti ne potete contare tra le vostre conoscenze?

Tutti questi pendolari possono essere facilitati innanzitutto da una città a misura di bicicletta, ma anche da tanti piccoli accorgimenti che gli stessi datori di lavoro possono mettere in atto. Come testimoniano le imprese aderenti a CIAB (il Club delle Imprese Amiche della Bicicletta) è sufficiente attrezzare un parcheggio sicuro per le bici (a seconda della possibilità e dei bisogni si va da box coperti e chiusi con lucchetto, oppure uno spazio in magazzino), e poi uno spogliatoio con armadietti ed un lavabo per rinfrescarsi, o una doccia. Si può investire maggiori risorse in una flotta aziendale di bici oppure offrire ai dipendenti uno sconto sull’acquisto di una due ruote elettrica.

Tra l’altro i lavoratori in bicicletta non utilizzano lo spazio destinato al parcheggio auto, lasciando più posto per i colleghi che non hanno alternative all’auto privata per muoversi.

Insomma, un circolo virtuoso che fa bene ai lavoratori, alle imprese ed alle città in cui risiedono.

Alberi e ombra: un valore per pedoni e ciclisti. Ed automobilisti.

L’ombra è una funzione primaria dell’albero e permette una riduzione della temperatura e della radiazione, soprattutto in estate. In città il valore dell’ombra riguarda tutte le zone adatte per muoversi ed intrattenersi come i centri commerciali, le scuole, zone produttive, edifici pubblici e privati ma anche negli spazi inospitali come i parcheggi: chi non preferisce un parcheggio all’ombra?

Gli alberi sono indispensabili e rappresentano un valore aggiunto dal punto di vista estetico, della salubrità ed attrattività di un luogo: ne sentiamo il bisogno dappertutto, a maggior ragione in un viale alberato e ben ombreggiato che incentiva la mobilità attiva di chi si sposta a piedi ed in bicicletta: così anche ad ogni semplice spostamento si aggiunge il piacere di stare in un ambiente il più possibile naturale, bellezza per gli occhi e benessere fisico.

Gli alberi e le altre piante, come arbusti e siepi ci danno l’ossigeno fondamentale per la nostra vita: questa presenza risulta particolarmente efficace nelle strade tra le case e permette tra l’altro di conservare terreni più freschi che possono ritenere il sempre più limitato apporto di acque piovane per l’alimentazione delle piante stesse e delle falde idriche. E con carreggiate più strette, una delle opportunità che ci offrono le città 30 è anche quella di recuperare terreni permeabili desigillando l’asfalto in eccesso.

Ed ancora gli alberi e gli arbusti, con i loro fiori e frutti, sono imprescindibili per mantenere la biodiversità sia vegetale che animale, preziosa per la nostra stessa vita.

Tra i tanti motivi per conservare e incrementare la presenza di alberi e siepi nelle strade c’è anche il fatto che incentiva le persone a stazionare nelle strade e nelle piazze in cui risiedono, senza essere obbligati a cercare un parchetto per godere di questi vantaggi, elevando la sicurezza intrinseca di luoghi che, se non vissuti, diventano teatro di episodi tipici delle “terre di nessuno”.

E visto che la crescita di un albero richiede anni, è importante conservare il patrimonio arboreo pubblico esistente con interventi sulle piante solo qualora sia strettamente necessario, in piante malate o pericolanti, e col minimo lavoro necessario. E’ vero che radici, foglie e rami possono rappresentare un pericolo per chi cammina o pedala, ma questo non può essere una scusa per togliere verde, ma un incentivo a curarlo al meglio.

Le parole contano

Un codice di condotta per i giornalisti che si occupano di collisioni sulle strade: l’idea è dell’Università di Westminster e nasce dalla convinzione che una copertura giornalistica inadeguata può creare preoccupazioni ingiustificate, sviare l’attenzione dalle cause reali del problema, oscurare le soluzioni e persino generare aggressività.

La prima indicazione riguarda la massima accuratezza nel riportare quello che si sa della dinamica dei fatti. Si suggerisce poi di non usare il termine “incidente”, termine legato al caso, ma “collisione” o “scontro”; si chiede di menzionare le persone e non i veicoli (“un automobilista” e non “un auto”), per non nascondere dietro oggetti inanimati le responsabilità individuali. Così pian piano si costruisce una sensibilità che permette di evitare certi messaggi impliciti e pericolosi che possono inavvertitamente insinuarsi nel modo di riportare una notizia.

Un esempio dalla cronaca recente. “Cade in bici, un’auto lo travolge”: se leggiamo un titolo di questo tipo pensiamo ad un ciclista distratto, o inesperto, che avrebbe dovuto stare più attento. Nell’occhiello però si chiarisce “la portiera si apre all’improvviso, il rider su una bicicletta elettrica non riesce ad evitarla e cade a terra: in quel momento passa un’auto che lo travolge.” Come può una portiera “aprirsi” da sola? Ci deve essere stato qualcuno che l’ha aperta “all’improvviso”: nascondere la responsabilità dell’automobilista incauto lo assolve, invece prima di aprirla avrebbe dovuto controllare che nessuno stesse sopraggiungendo. Il rider è su una “bicicletta elettrica”, si legge, e “non riesce ad evitarla”: siamo così portati a pensare che, data la bici elettrica, il rider andasse probabilmente troppo forte, tanto che non è “riuscito” ad evitare quella portiera spalancata (lasciando intendere che invece avrebbe potuto “riuscirci”). Così, magari senza volerlo, chi scrive finisce per suggerire che il ciclista abbia avuto un buon grado di colpa. Infine, a sopraggiungere e travolgerlo è “un’auto”: di nuovo si parla del veicolo e non dell’attore umano, cioè un automobilista che non manteneva una adeguata distanza di sorpasso del ciclista (perché se fosse stata adeguata non l’avrebbe travolto anche in caso di caduta). Di nuovo il conducente del veicolo non viene menzionato e scompare agli occhi del lettore insieme alla sua responsabilità nell’accaduto.

Le parole contano: condizionano la psicologia del lettore e di conseguenza il comportamento, e vanno usate con estrema consapevolezza.

“Uomini al volante, pericolo costante”

“Uomini al volante, pericolo costante”
Le donne sono più prudenti alla guida e meno coinvolte in sinistri

“Donne al volante, pericolo costante”: sarà vero il vecchio adagio? Dati alla mano, si scopre facilmente che è proprio il contrario! In Svizzera, nel 2019 il Touring Club ha rilevato che le conducenti donne sono state responsabili di un quarto degli incidenti, senza eccezioni, in tutti i cantoni. Un trend confermato da una indagine effettuata in Belgio dal Vias Institute e riportata dal magazine francese AutoPlus, che ha mostrato che le donne al volante sono percentualmente meno coinvolte in incidenti, e hanno meno spesso torto. Quando sono coinvolte, si tratta di incidenti meno gravi rispetto alle loro controparti maschili: le donne rappresentano il 44% di chi ha conseguenze lievi e il 34% di chi subisce danni gravi. Non solo, ma per il Vias Institute ci sono 10 decessi per 1.000 lesioni corporali per incidenti con una donna al volante, rispetto ai 19 degli automobilisti maschi: quasi la metà. In Europa nel 2022, tra le persone responsabili di aver causato incidenti stradali l’84% erano uomini e sempre gli uomini rappresentavano il 93% dei conducenti ubriachi coinvolti in un incidente.

Dal 2012, per una sentenza della Corte di Giustizia Europea, questa minore pericolosità delle donne al volante non può più essere riconosciuta dalle compagnie assicurative con tariffe inferiori alla controparte maschile. Ma a cosa è dovuta?

I sinistri stradali sono causati perlopiù da velocità eccessiva, disattenzione o guida in stato di ebbrezza, e una nuova campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale in Francia punta il dito sul contributo della mascolinità tossica a questi comportamenti. Le auto sono da sempre simbolo di virilità e status per gli uomini e c’è un pregiudizio radicato secondo cui gli uomini hanno istintivamente dimestichezza alla guida. Così si genera nel guidatore uomo una eccessiva spavalderia nelle situazioni di pericolo: la velocità, i sorpassi pericolosi o la certezza di “reggere l’alcol” diventano i segni di competenza maschile. Eppure, paradossalmente, sono proprio gli insicuri che tendono a mascherare la loro mancanza di autostima dietro comportamenti da “macho”.

Quindi, donne al volante, grazie di cuore in nome di tutte le vite che ogni giorno risparmiate sulle strade con la vostra maggiore prudenza, e fate attenzione: se incontrate un uomo con un SUV enorme, che fa lo spavaldo, alza il gomito e spinge troppo sull’acceleratore “tanto lui ha il pieno controllo”, potrebbe essere pericolosamente affetto da maschilismo tossico. State in guardia.

Città 30 subito: basta morti in strada

E’ partita la campagna nazionale per la legge “città 30”

E così domenica scorsa siamo partiti con una campagna nazionale sulla sicurezza stradale che abbiamo chiamato “Città 30 subito, basta morti in strada” e lo abbiamo fatto con un flashmob in decine di città italiane andando a proteggere i passaggi pedonali.

E perché mai una associazione di ciclisti dovrebbe preoccuparsi di passaggi pedonali? Semplice, perché la pedonalità è la forma primaria di movimento, quella che (quasi) tutti abbiamo innata senza bisogno di nessun mezzo meccanico o motorizzato: prima o poi nella vita siamo tutti pedoni. Anche quelli che si dichiarano indefessi automobilisti prima o poi attraversano la strada per andare al bar.

Forse è per questo che esistono i sindacati degli automobilisti, quelli dei ciclisti, quelli degli utenti del trasporto pubblico ma non quelli dei pedoni: perché ognuno di noi dovrebbe aver accesso al suo status di bipede senza bisogno di lottare per veder rispettato questo diritto naturale.

Eppure, solo a gennaio in Italia sono stati uccisi oltre 51 pedoni, di cui la metà over 65, 3 under 18 sulle strisce pedonali e ben 7 mentre andavano a gettare l’immondizia (dati ASAPS). Ora, escludendo che gli anziani in ciabatte siano spericolati suicidi, ne possiamo dedurre solo che la violenza stradale motorizzata è fuori controllo, perché ovviamente nessuno è stato ucciso da una bici o da un monopattino.

Non esistono facili soluzioni, ma possiamo partire da regolare la velocità, il minimo comune denominatore che quando non è la causa diretta dell’impatto è quel fattore che ne moltiplica gli effetti nefasti. Per questo bisogna concretizzare subito il principio supportato da OMS, Parlamento Europeo e da decine di esperienze e casi di studio, che laddove vivono le persone la velocità massima non dovrebbe essere mai superiore a 30kmh.

Questa misura preliminare si porta dietro progressivamente nel tempo una serie di conseguenze ed opportunità: minor velocità vuol dire carreggiate più strette e meno parcheggi, più spazi per ampi pedonali, ciclabili sicure, corsie riservate per trasporto pubblico, verde in strada, panchine, playground per ragazzi.

Una “città 30” è più bella, vivibile, silenziosa, sicura, pulita, e tutela tutti i “ragazzi” che vogliono essere indipendenti dagli 8 agli 80 anni: dovrebbe quindi essere supportata in maniera trasversale, anche da quei cittadini incalliti che vogliono continuare ad andare al bar in auto. Possono continuare a farlo, ma a 30kmh.